Ripubblico una recensione del 14/5/2013, uscita anche il 24/5/2015, che mi è tornata in mente leggendo sul giornale dell'arresto di una banda di deliquenti specializzata in truffe agli anziani. Il libro, edito da Sellerio nel 1999, è piuttosto straordinario e merita davvero di essere letto. Questa insistenza da parte mia è dovuta al fatto che tratta un argomento a mio parere abbastanza terribile, spregevole e molto attuale, di cui non mi pare si parli granché.
Non
avere letto In veste d’agnello, di
Celia Dale (1912- 31 dicembre 2011) noir o poliziesco o thriller che lo si voglia considerare, è
un vero peccato. Le notizie biografiche
su questa scrittrice sono scarse, una foto la mostra con una faccia
certo non bella
eppure di straordinaria facciosità. Fu sposata, lavorò come segretaria
di uno
scrittore (o editore, i dati che ho trovato sono discordi), fu critica
letteraria, pubblicò tra il 1943 e il 1988 tredici romanzi e una
raccolta di
racconti. Questa credo sia l’unica sua opera tradotta in italiano, il
che è
sicuramente un ulteriore gran peccato. Pubblicata quando la sua autrice
aveva settantasei anni, affronta uno degli argomenti più sgradevoli e
moralmente disgustosi
che conosca, cioè le truffe agli anziani, ma lo fa in maniera davvero
egregia,
acchiappando il lettore dalla prima pagina e portandoselo appresso senza
sforzo
fino all’ultima.
Londra, anni ottanta: Grace Bradby e Janice, alias Mrs
Black e
Mary, uscite dal carcere insieme e coabitanti per convenienza, si
presentano a
casa di vecchiette che vivono sole in veste di inviate dei servizi
sociali, le
imbottiscono di balle a proposito di possibili somme integrative alla
pensione,
poi Mary – l’assistente – si offre di fare una bella tazza di tè,
riempie di
sonnifero quella della padrona di casa che si addormenta, dopodiché le
due
hanno tutto il tempo di rovistare con calma e portarsi via tutto, la
pensione,
i risparmi se ci sono, i pochi oggetti che possono essere rivenduti ai
mercatini
delle pulci o ai bottegai poco scrupolosi: insomma la vita, i ricordi,
l’identità delle vittime. Il bottino non è ricco ma facile da piazzare, e
facendo tre o quattro colpi al giorno ci vivono bene in due.
Grace è più
anziana, piccola, robusta e affabile, ed è la mente: pianifica, punta le potenziali vittime all’ufficio
postale quando ritirano la pensione e le segue fino alle loro abitazioni, si
segna gli indirizzi, controlla le targhette, poi si premura di disfarsi
immediatamente della refurtiva, sempre in mezzo alla folla, sempre il più
lontano possibile da casa. Janice è l’anello debole: bruttina, pettinata come
John Lennon, totalmente vacua, romantica, alla ricerca di un uomo che la tratti
bene, vittima di impulsi autolesionisti come tenere piccoli oggetti trafugati. Sono
due personaggi magnifici, soprattutto Grace, che malgrado la sua naturale
amoralità, la sua totale mancanza di empatia, il modo cinico e spontaneo con cui
delinque e manipola le vite altrui, non riesce a suscitare rifiuto, per il modo
magistrale con cui Celia Dale conduce la sua narrazione. Poi c’è un giovanotto
che entra casualmente nella loro vita, e un uomo solitario che fa scattare
nella mente fertile di Grace un piano assai più ambizioso…
Non dico niente
sulla trama perché è avvincente e piena di colpi di scena. Dico solo che è un
romanzo eccellente, ed è una vergogna che non sia più conosciuto. Dipinge
vividamente la Londra degli anni ’70/80, swinging e cosmopolita forse, nei
giusti quartieri, ma piena di sacche di dignitosa miseria o di ignominioso
benessere dove non arrivano né la moda, né i turisti, né la musica, neppure gli
immigrati, una Londra più vicina a quella umanissima di Dickens che al nostro
immaginario contemporaneo. Fa pensare anche a certe figure dei romanzi di
Barbara Pym, vite grigie e nascoste come i loro sentimenti. Tutte le vecchiette
prese di mira da Grace e Janice sono altrettanti personaggi completi, mai
descritti come tipi o macchiette, ma sempre persone, riconoscibili nella loro
unicità e diversità. Un personaggio grandioso è Marion Robinson, l’ex attrice
egocentrica ma non stupida che diffida di Grace, e vive di ricordi tra
fotografie e abiti di scena, legata alle proprie abitudini di vecchia che non
ammette di essere stata messa da parte dalla vita, sicuramente ispirata alla
realtà (Celia Dale era figlia dell’attore James Dale).
Nei pensieri del
poliziotto che cerca di risolvere il caso delle vecchiette derubate, perché non
tutto va sempre bene alle due delinquenti e prima o poi qualche errore lo
commettono, c’è a un certo punto un desolato ritratto della condizione senile: Rinchiusi dentro covi e tane in tutta
l’Inghilterra, uomini e donne anziani tenevano duro, con coraggio o malumore,
ubriachi o sobri, matti o sani di mente, ma con il diritto alla vita finché
durava, confortati dai loro tesori, dagli oggetti che testimoniavano che erano
stati giovani, che avevano amato ed erano stati amati, che avevano lavorato,
che avevano delle capacità, che contavano qualcosa. Derubarli era una sorta di
omicidio, privarli con l’inganno del loro passato significava disprezzare la
loro dignità. Anch’egli è un personaggio accattivante, altruista, capace di
accogliere, entusiasta e contento del proprio lavoro, bonario, e insieme
ingenuo e tradito dal bisogno di essere amato. Ecco, l’amore manca a tutti in
questo romanzo, o chi ce l’ha deve nasconderlo, e c’è anche chi, come Grace,
non ha mai saputo che cosa farsene e non sa neppure nominarlo: Il matrimonio non è così eccitante. […] Non
sono mai stata interessata al sesso, cara, è solo l’aspetto legale della
situazione a essere più vantaggioso, se si è sposati.
Tutto
questo è raccontato in modo piano e veloce, oggettivo, attentissimo ai
particolari concreti che dipingono un’epoca, ricco di interni di cui sembra di
sentire l’odore e intravedere le penombre, senza indulgere in emotività o
eccessi di psicologia, sempre in terza persona ma alternando il punto di vista
di Grace, di Janice e del poliziotto. Purtroppo la traduzione di Rosalia Coci
inciampa e barcolla, appoggiandosi a un lessico a dir poco sorprendente: per
limitarsi alle pagine 120-122, confonde fodere e tappezzeria, introduce neologismi come graticolato per graticcio, ci accompagna nel piccolo patio circondato da pareti dietro le tende che si
intuisce poi essere una veranda, o meglio un balcone verandato, ci racconta di una proficua
mattinata in giro per la Harrow Road dove, a dispetto della conurbazione di
edifici popolari, trovò alcune enclavi di vecchie casette a schiera, nei
seminterrati delle quali si annidavano ancora alcune promettenti vecchiette per
il giorno dopo. Non è che voglio essere pignola, ma un libro così bello
avrebbe meritato una maggiore cura.
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venerdì 23 febbraio 2018
domenica 24 maggio 2015
Le dimenticate -3. The dark side of London: se andate a Londra, questi sono i romanzi da mettere in valigia come alternativa allo Shard e al Royal baby. Celia Dale, In veste d'agnello e Marie Belloc Lowndes, Il pensionante
Londra, anni ottanta: Grace Bradby e Janice, alias Mrs Black e Mary, uscite dal carcere insieme e coabitanti per convenienza, si presentano a casa di vecchiette che vivono sole in veste di inviate dei servizi sociali, le imbottiscono di balle a proposito di possibili somme integrative alla pensione, poi Mary – l’assistente – si offre di fare una bella tazza di tè, riempie di sonnifero la tazza della padrona di casa che si addormenta, dopodiché le due hanno tutto il tempo di rovistare con calma e portarsi via tutto, la pensione, i risparmi se ci sono, i pochi oggetti che possono essere rivenduti ai mercatini delle pulci o ai bottegai poco scrupolosi: insomma la vita, i ricordi, l’identità delle vittime. Il bottino non è ricco ma facile da piazzare, e facendo tre o quattro colpi al giorno ci vivono bene in due.
Grace è più anziana, piccola, robusta e affabile, ed è la mente: pianifica, punta le potenziali vittime all’ufficio postale quando ritirano la pensione e le segue fino alle loro abitazioni, si segna gli indirizzi, controlla le targhette, poi si premura di disfarsi immediatamente della refurtiva, sempre in mezzo alla folla, sempre il più lontano possibile da casa. Janice è l’anello debole: bruttina, pettinata come John Lennon, totalmente vacua, romantica, alla ricerca di un uomo che la tratti bene, vittima di impulsi autolesionisti come tenere piccoli oggetti trafugati. Sono due personaggi magnifici, soprattutto Grace, che malgrado la sua naturale amoralità, la sua totale mancanza di empatia, il modo cinico e spontaneo con cui delinque e manipola le vite altrui, non riesce a suscitare rifiuto, per il modo magistrale con cui Celia Dale conduce la sua narrazione. Poi c’è un giovanotto che entra casualmente nella loro vita, e un uomo solitario che fa scattare nella mente fertile di Grace un piano assai più ambizioso…
Non dico niente sulla trama perché è avvincente e piena di colpi di scena. Dico solo che è un romanzo eccellente, ed è una vergogna che non sia più conosciuto. Dipinge vividamente la Londra degli anni ’70/80, swinging e cosmopolita forse, nei giusti quartieri, ma piena di sacche di dignitosa miseria o di ignominioso benessere dove non arrivano né la moda, né i turisti, né la musica, neppure gli immigrati, una Londra più vicina a quella umanissima di Dickens che al nostro immaginario contemporaneo. Fa pensare anche a certe figure dei romanzi di Barbara Pym, vite grigie e nascoste come i loro sentimenti. Tutte le vecchiette prese di mira da Grace e Janice sono altrettanti personaggi completi, mai descritti come tipi o macchiette, ma sempre persone, riconoscibili nella loro unicità e diversità. Un personaggio grandioso è Marion Robinson, l’ex attrice egocentrica ma non stupida che diffida di Grace, e vive di ricordi tra fotografie e abiti di scena, legata alle proprie abitudini di vecchia che non ammette di essere stata messa da parte dalla vita, sicuramente ispirata alla realtà (Celia Dale era figlia dell’attore James Dale).
Nei pensieri del poliziotto che cerca di risolvere il caso delle vecchiette derubate, perché non tutto va sempre bene alle due delinquenti e prima o poi qualche errore lo commettono, c’è a un certo punto un desolato ritratto della condizione senile: Rinchiusi dentro covi e tane in tutta l’Inghilterra, uomini e donne anziani tenevano duro, con coraggio o malumore, ubriachi o sobri, matti o sani di mente, ma con il diritto alla vita finché durava, confortati dai loro tesori, dagli oggetti che testimoniavano che erano stati giovani, che avevano amato ed erano stati amati, che avevano lavorato, che avevano delle capacità, che contavano qualcosa. Derubarli era una sorta di omicidio, privarli con l’inganno del loro passato significava disprezzare la loro dignità. Anch’egli è un personaggio accattivante, altruista, capace di accogliere, entusiasta e contento del proprio lavoro, bonario, e insieme ingenuo e tradito dal bisogno di essere amato. Ecco, l’amore manca a tutti in questo romanzo, o chi ce l’ha deve nasconderlo, e c’è anche chi, come Grace, non ha mai saputo che cosa farsene e non sa neppure nominarlo: Il matrimonio non è così eccitante. […] Non sono mai stata interessata al sesso, cara, è solo l’aspetto legale della situazione a essere più vantaggioso, se si è sposati.
Tutto questo è raccontato in modo piano e veloce, oggettivo, attentissimo ai particolari concreti che dipingono un’epoca, ricco di interni di cui sembra di sentire l’odore e intravedere le penombre, senza indulgere in emotività o eccessi di psicologia, sempre in terza persona ma alternando il punto di vista di Grace, di Janice e del poliziotto. Purtroppo la traduzione di Rosalia Coci inciampa e barcolla, appoggiandosi a un lessico a dir poco sorprendente: per limitarsi alle pagine 120-122, confonde fodere e tappezzeria, introduce neologismi come graticolato per graticcio, ci accompagna nel piccolo patio circondato da pareti dietro le tende che si intuisce poi essere una veranda, o meglio un balcone verandato, ci racconta di una proficua mattinata in giro per la Harrow Road dove, a dispetto della conurbazione di edifici popolari, trovò alcune enclavi di vecchie casette a schiera, nei seminterrati delle quali si annidavano ancora alcune promettenti vecchiette per il giorno dopo. Non è che voglio essere pignola, ma un libro così bello avrebbe meritato una maggiore cura.

Marie Belloc Lowndes, di padre
francese e madre inglese, nacque a Londra e trascorse la giovinezza in Francia;
appartenente a una famiglia ricca di celebrità (il fratello, Hilaire Belloc, fu
un famoso poeta e scrittore cattolico) fu scrittrice prolifica e di successo
fino alla morte.
Queste due recensioni sono già apparse in questo blog, rispettivamente il 14/5/2013 Celia Dale (Le dimenticate, 4) e il 21/5/2013 Marie Belloc Lowndes (Le dimenticate, 5).
martedì 14 maggio 2013
Le dimenticate, 4: Un romanzo da leggere solo perché è bellissimo: Celia Dale, In veste d'agnello
Tutto
questo è raccontato in modo piano e veloce, oggettivo, attentissimo ai
particolari concreti che dipingono un’epoca, ricco di interni di cui sembra di
sentire l’odore e intravedere le penombre, senza indulgere in emotività o
eccessi di psicologia, sempre in terza persona ma alternando il punto di vista
di Grace, di Janice e del poliziotto. Purtroppo la traduzione di Rosalia Coci
inciampa e barcolla, appoggiandosi a un lessico a dir poco sorprendente: per
limitarsi alle pagine 120-122, confonde fodere e tappezzeria, introduce neologismi come graticolato per graticcio, ci introduce nel piccolo patio circondato da pareti dietro le tende che si
intuisce poi essere una veranda, o meglio un balcone verandato, ci racconta di una proficua
mattinata in giro per la Harrow Road dove, a dispetto della conurbazione di
edifici popolari, trovò alcune enclavi di vecchie casette a schiera, nei
seminterrati delle quali si annidavano ancora alcune promettenti vecchiette per
il giorno dopo. Non è che voglio essere pignola, ma un libro così bello
avrebbe meritato una maggiore cura.
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