martedì 26 aprile 2011

Andrea Camilleri, Gran Circo Taddei

Sono una ammiratrice di Andrea Camilleri, leggo buona parte di quel moltissimo che pubblica, mi piace quasi sempre e comunque mi dà sempre piacere. Confesso che ho una netta preferenza per i non-Montalbano, senza per questo trascurare le vicende del commissario. Mi piace tantissimo Vigata, il mondo su una capocchia di spillo. Ho una passione per i racconti, per cui non potevo certo perdermi questo nuovo libro. E non sono rimasta delusa, anzi, mi ha divertito un sacco, sia per le trame "grassottelle", pervase di sana e allegra sensualità, gusto per la beffa, figure femminili sempre astute e piene di risorse. La congiura è appunto il racconto di una beffa crudele organizzata dalle un gruppo di donne nei confronti di una loro simile che se la merita appieno. In Regali di Natale un giovanotto sveglio e fortunato trae vantaggio da un violento imbroglio contro un gruppo di ricchi, tanto scemi quanto appassionati al gioco d'azzardo. Il protagonista di Il merlo parlante è il tipico piffero di montagna, che credendo di essere più furbo degli altri finisce per farsi fregare (anzi, trattandosi di una storia di sesso, per farsi tradire). Gran Circo Taddei mette in scena una frenetica commedia degli equivoci dove, tra avidità di sesso, di cibo e di denaro e con l'ausilio di un leone, un altro piffero viene pifferato. La fine della missione narra dell'insolita vocazione di un pio benefattore, mentre Un giro in giostra è la malinconica storia della vita di un nato sfigato. La trovatura è il mio preferito: una maga scalcinata ma fortunatissima trova l'amore facendo del bene anche a distanza di anni dopo la sua morte. La rivelazione è ambientato dopo la liberazione della Sicilia da parte degli americani nel 1943, quando i comunisti rientrati da carcere e confino cercavano di riorganizzare le sezioni e ogni militante aveva il suo peso, anche se la sua vita aveva preso una svolta inaspettata.
Certo Camilleri ha scelto di rappresentare un mondo dove il male non è mai del tutto tale, dove la mafia sta sullo sfondo, prevale il teatrino sul dramma, l'atmosfera non è noir ma vivacemente colorata. Per me questo non è certo un limite, anzi, fa sì che io abbia sempre voglia di leggerlo, e che mi metta di buon umore. La sua grande maestria è nell'uso della lingua, che sa piegare a ogni necessità (anche qui abbondano le esilaranti lettere scambiate tra le autorità fasciste), nella capacità di disegnare personaggi credibili e fortemente caratterizzati pur tenendosi lontanissimo
da qualsiasi accenno di psicologismo, nell'occhio benevolmente cinico e capace di trovare un filo di divertimento in qualsiasi umana vicenda, per quanto immonda e oscura possa essere.
Non ha senso cercare nei suoi scritti quello che lui non vuole metterci. E nel suo campo è un grande, inimitabile e bravissimo.

giovedì 21 aprile 2011

Alan Bennett, Una vita come le altre

Ho molto amato altri libri di Alan Bennett (così a memoria, soprattutto La sovrana lettrice, La cerimonia del massaggio, Signore e signori) e anche questo l'ho trovato un bel libro, anche se molto diverso dalla maniera frizzante e spiritosa che contraddistingue l'autore. Qui siamo piuttosto nel campo della sobrietà che confina facilmente con la depressione. Almeno questa è l'impressione che mi ha lasciato, a lettura finita, Una vita come le altre. Forse non tutti i ricordi d'infanzia sono condivisibili senza il rischio di annoiare chi ascolta o legge. Il fatto è che quasi tutti hanno avuto almeno un paio di nonni/e, di genitori, zii e zie, fratelli ecc; e chi non li ha avuti, forse non è interessato a ascoltarne le storie, a meno che non cerchi rassicurazione sul fatto che è stato veramente fortunato fin dall'inizio. Ci vuole qualcosa che renda unico o universale il parentado altrui per farcelo sorbire. Quello di Alan Bennett secondo me non lo è. O almeno, rinunciando alla sua scrittura spiritosa e pungente, rinuncia a farcelo apparire tale. Figlio di un macellaio introverso e molto composto e di una casalinga gravemente depressa che trascorre anni dentro e fuori dalle cliniche psichiatriche, precocemente intelligente, studioso e esibizionista, Bennett cresce a Leeds in una normale famiglia piccolo borghese. Ci narra di suo padre e di sua madre, delle due sorelle della madre, di un segreto, il suicidio del nonno materno, gelosamente custodito per anni e scoperto per caso, delle gite e dei Natali, degli ultimi anni della madre in una casa di riposo anticamera della morte (indimenticabili le inservienti euforiche e affettuose). Forse a lui ha dato molto scriverne, forse è una specie di risarcimento o omaggio alla famiglia, ma ha me non ha lasciato molto. La parte dedicata agli ultimi anni della madre mi ha fatto pensare, per contrasto, a quanto mi aveva coinvolto un libro pur distaccato e minimalista come Ricordi di mia madre di Yasushi Inoue. Certo Una vita come le altre si fa leggere, è pur sempre l'opera di uno scrittore notevole, ci dà uno spaccato dell'Inghilterra dagli anni '30 agli anni '70 acuto e interessante, rappresenta in punta di penna dei caratteri che più british non si può. Ma forse un eccesso di britannico aplomb lo rende un po' freddo, forse, a dirla tutta, un po' depresso e deprimente.

mercoledì 20 aprile 2011

ROBERTA ANAU, ASINI, OCHE E RABBINI


Fresco di stampa per le edizioni e/o questo bel libro, che la quarta di copertina definisce romanzo ma in realtà è tutt’altra cosa, anzi, molte altre cose. È innanzitutto una dichiarazione di appartenenza e identità ebraica, piena di affetto e orgoglio. È un’autobiografia che si diverte a ricostruire un teatrino famigliare pullulante di tutto ciò che è vita, dalle manifestazioni alte come la religione, la tradizione, alle sue espressioni più basse e corporee, che tanto divertono i bambini, nulla disdegnando né dimenticando; e la voce della protagonista fa rivivere davanti ai nostri occhi i personaggi della sua infanzia (alcuni larger than life come l'amata-temuta-ammirata madre Fernanda), l’amatissima Ferrara e le sue nebbie avvolgenti e tiepide, gli oggetti, i cibi, gli spazi della “casa d’angolo” in città e della Luchinata, la casa di campagna delle estati di libertà e natura, le parole (moltissime) che trasmettono la cultura ebraica e i riti familiari, quelle del dialetto ferrarese paterno e soprattutto quelle del nonno materno Orazio, piemontese e depositario di formule adatte a qualsiasi occasione. Man mano che Roberta cresce, lascia Ferrara per la gelida Torino in seguito alla morte del padre, al calore della famiglia d’origine si sostituisce il matrimonio, la nascita di una figlia, dolori grandi, grandissimi, e piccole difficoltà, le fatiche e le gioie della vita degli adutli, la voce diventa più dolente e il mondo un po’ più monocromo. Ma non diminuisce la sensazione di ricchezza che questo libro trasmette. Il punto di forza è la scrittura sapiente di Roberta Anau, euforica e barocca, amante dell’accumulo fin dal titolo, dei sinonimi, delle liste di paragoni e metafore, pimpante e esagerata. Una scrittura che vuol farsi notare, non teme di portare via la scena ai contenuti, soprattutto all’inizio in cui sembra che voglia rendere conto dello stupore goloso di una bambina di fronte alla vita bella e nuova, tutta da scoprire. È viscerale e carnale, cresce su se stessa, un pensiero tira l’altro, non ha bisogno di fatti cui appoggiarsi, è sovrabbondante e ellittica, espressionista. Fa un generoso uso di ironia, condimento paragonabile solo all’amato grasso d’oca. Sa operare trasformazioni favolose sulla realtà (basti come esempio l’episodio della conserva di pomodoro di pagina 125), caratterizza i numerosi personaggi con voci sempre personali, li accarezza con amore e li punzecchia senza pietà nel caso che lo meritino.
Asini, oche e rabbini è un libro intensamente originale sia nell’affrontare l’argomento mille volte trattato della ricostruzione di un mondo dell’infanzia, sia nell’appassionata dichiarazione di appartenenza ebraica, nella sensualità con cui racconta i cibi, la scoperta della sessualità, la baldanza giovanile e le prime malinconie dell’età, definite con felicissima ironia le ultime stagioni della mia “età della ragione”. Per concludere, ottima la scelta editoriale di mettere in copertina i genitori di Roberta, ritratti nello splendore del loro giorno di nozze. Un esauriente glossario riunisce i termini ebraici disseminati nel testo.
Roberta Anau ha vissuto a Ferrara e a Torino, è stata insegnante e ora gestisce un agriturismo, La Miniera, nel Canavese, dove propone cibi della tradizione ebraica e piemontese. Ha pubblicato con Elena Loewenthal Cucina ebraica (Fabbri 2000), La cucina della Bibbia (Il leone verde 2002) con Daniela Messi e Gianburrasca: ragazzo di marzapane e cervello di crema (Il leone verde 2010).