Che bel romanzo quello di Laura Bosio. Uscito nel 2007 da Longanesi, finalista al Premio Strega e al Premio Viareggio, è riedito da Tea nel 2009, quindi è facilissimo trovarlo. La storia: nel 2004, l'io narrante, una donna ancora giovane, reduce da un matrimonio finito, va a trovare Bianca, l'ex suocera novantaquattrenne che vive alla Torricella, la tenuta agricola di cui ancora si occupa, nel Vercellese. Una grande risaia. Nel volgere di una settimana la vita della protagonista cambia. Anche lei è originaria di Vercelli, ma se ne è allontanata presto, ora vive in Svizzera facendo traduzioni. Si intuisce che non è felice, ma nemmeno disperata. Ha necessità di una svolta e alla Torricella la trova, sia a livello esistenziale che sentimentale, proprio con l'aiuto di Bianca. Intorno all'anziana padrona si muovono personaggi memorabili, prima fra tutte Orientina, la suora "svestita" che ha scelto di vivere nella tenuta dove è diventata il catalizzatore di molte energie e affetti; Fondo l'ex nazista redento dalla rinuncia a tutto, compresa la propria identità; Filippo, il nipote che ama la terra e avrà un'importanza grande anche per la protagonista; Albino il vecchio fattore, Vittoria la cuoca, Remo, Felice la badante ecuadoriana, Dante il ritardato, e altri sullo sfondo. Un evento tragico, l'uccisione di un ragazzo cinese, ha portato scompiglio alla Torricella, e provocato la sparizione di Orientina e Fondo. Questo mistero si chiarirà alla fine, ma incombe per tutta la narrazione come una nuvola minacciosa che si specchia nella risaia. Che è la vera protagonista del romanzo. La storia del riso, delle sue origini e della sua coltivazione, dei pericoli che lo minacciano (io ho adorato la storia dei grillotalpa), delle tecniche attuali e di quelle sparite, il mondo scomparso delle mondine, la modernità che irrompe ma non distrugge. E la natura sconosciuta della risaia, la bellezza di quel "mondo d'acqua" per usare una terminologia che non piace alla protagonista, ma a Laura Bosio sì. Gli animali che ci vivono, tanti, molti di più di quanti noi che alle risaie ci passiamo vicino senza fermarci potremmo mai immaginare. I colori, le stagioni appunto, la magia di un mondo dove la fatica si deve necessariamente sposare con la sapienza e lo studio perché il riso è difficile da coltivare, delicato, necessita di cure esperte. Tutte queste notizie si legano in modo perfetto alla narrazione vera e propria facendo de Le stagioni dell'acqua una piccola enciclopedia della risaia, appassionante e amichevole. Perché questa è la caratteristica che più mi ha presa nella lettura: una scrittura accogliente, morbida, che fa venire voglia di avvolgersi nelle pagine e rimanervi a lungo, al sicuro, sognando il cielo che si rispecchia nell'acqua, nel "mondo capovolto" della risaia di cui Laura Bosio ci svela con gentilezza i misteri.
mercoledì 27 ottobre 2010
lunedì 11 ottobre 2010
Irfan Orga, Una famiglia turca
Irfan Orga (1908-1970) non è né un etnografo né uno storico, è solo uno scrittore che narra le sue esperienze, capace però di descrizioni vivaci e eccellente nel ricreare atmosfere d’antan viste con l’occhio di un bambino, che si direbbe particolarmente compatibile con il suo modo a volte candido, quasi ingenuo, di narrare. Consiglio senz’altro Una famiglia turca, avvincente romanzo autobiografico in cui Orga racconta la vita quotidiana a Istanbul dagli ultimi anni dell’Impero ottomano al 1940, attraverso le vicende di una ricca famiglia borghese in seguito rovinata dalla Prima Guerra mondiale.
Le figure della madre e della nonna, donne allevate per vivere protette dai loro uomini e chiuse in case confortevoli improvvisamente costrette a uscire per cercare il cibo, a muoversi da sole nelle strade, a cucinare, cucire e svolgere tutte quelle incombenze che hanno sempre creduto degradanti, a subire umiliazioni legate alla loro condizione di donne sole e impoverite, sono tratteggiate lucidamente e senza eccessiva indulgenza. Lo spaccato della società istanbuliota che ne esce è vivido, anche i personaggi minori risaltano con efficacia sullo sfondo tragico di quegli anni. C’è un divertente episodio, nel periodo dell’infanzia dorata, in viene narrata per filo e per segno la complessa cerimonia della circoncisione, festa di iniziazione che, come titola il capitolo, riguarda “un argomento squisitamente maschile”. La decisione di abbandonare il velo presa dalla madre di Orga quando durante la guerra, ben prima della disposizione in tal senso di Atatürk, è costretta a andare a lavorare in un laboratorio dell’esercito, suscita sconcerto e riprovazione nel vicinato, e è narrata con il solito candore. L’autore ammette che fu proprio lui a chiederle di rimetterlo, molto più tardi, quando andava a trovarlo alla scuola militare, per evitare i commenti offensivi dei compagni.
Dopo avere toccato il fondo della miseria e delle umiliazioni, i figli alla scuola dei poveri dove mangiano bacche di eucaliptus e radici per non morire di fame, la madre mettendosi a lavorare, lentamente le cose cominciano a andare meglio dopo la guerra, i figli maschi sono accettati alla scuola militare, si impone sulla scena Kemal Atatürk, la proclamazione della Repubblica cancella definitivamente i resti della gloria ottomana. Ci sono pagine interessanti sugli aspetti minori delle riforme di Atatürk, ad esempio la proibizione di usare il fez e l’imposizione del cappello all’occidentale, che suscitano resistenze e stratagemmi per eluderle. A questo proposito penso che l’omino ancora oggi dipinto sui cartelli dei passaggi pedonali in Turchia, un tizio energico dal passo lungo e ben disteso con il cappello in testa che mi mette di buonumore ogni volta che lo vedo, sia un residuato di quei tempi. C’è la sparizione degli armeni dal collegio militare, sulla quale Orga non spreca parole né spiegazioni. Ci sono i grandi cambiamenti, la vita che va avanti, il progressivo sprofondare nella follia della madre, fino al 1940, quando la madre muore e la famiglia è definitivamente disgregata.
La postfazione del figlio Ateş è illuminante e completa bene la narrazione, dando una breve biografia della vita in Inghilterra di Irfan Orga, sostanzialmente poco felice si direbbe, sempre ossessionata dalle ristrettezze economiche e non proprio armoniosa in famiglia. La sua fama letteraria è legata a questo romanzo, a una biografia di Atatürk e a Un viaggio in Turchia, interessantissima relazione di un viaggio tra i nomandi Yuruk dei monti Tauri, oltre a alcuni libri di per ragazzi e altri di ricette turche. Siccome l’autore non giunse mai a una padronanza perfetta dell’inglese, i suoi testi furono editati dalla moglie tanto che nella biografia di Atatürk compare come coautrice. Oltre a essere di gradevolissima lettura, Una famiglia turca è utile per capire quegli anni complicati e seguire la trasformazione della Turchia da impero decrepito a stato moderno attraverso le concrete vicende di un testimone oculare. Anche in questo libro, edito da Passigli, la traduzione di Luca Merlini è molto incerta; ad esempio, il Mar di Marmara diventa “la Marmara” che scorre mormorando come il Piave.
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