RASO
------------------------------------------------------------------D
Pioveva
da otto mesi. Nel villaggio tutti avevano imparato a nuotare, compresi i
bambini più piccoli; galleggiavano nelle culle come ranocchi, e le mamme li
appendevano alle travi del soffitto quando volevano farli sgocciolare un po'.
Le case erano decorate da ghirlande di funghi bianchicci lungo i bordi delle
facciate, pesciolini argentei sguazzavano dietro le finestre del pianterreno,
gli uomini pescavano i lucci nelle botole delle cantine. Nelle strade allagate
sciami di barchette si spostavano da una casa all'altra. Il ticchettio della
pioggia e lo sciacquio dei remi erano diventati il sottofondo della vita
quotidiana.
Miriam,
la sarta, cuciva seduta dietro l'abbaino della soffitta. Le sue mani
scivolavano sulla stoffa umida, l'ago le sfuggiva sovente dalle dita bagnate. Era
felice perché era innamorata e sapeva anche di essere ricambiata. Quello che
stava cucendo era il suo abito da sposa, a ogni punto un sorriso segreto le
allargava il viso. "Sposa bagnata, sposa fortunata" cantava il suo
cuore. Le dita scivolose piantavano l'ago nella stoffa, lo tiravano fuori
dall'altra parte e davano uno strattone al filo per fermare il punto. Il raso
bianco e viscido, coperto di goccioline iridescenti, prendeva forma a poco a
poco, prima il corpetto, poi la gonna, poi le maniche, infine la cuffietta e il
velo di pizzo antico. Miriam cuciva e sorrideva, la pioggia batteva allegra e
incoraggiante al finestrino.
Quando
fu troppo buio, scese al piano inferiore a cuocersi qualcosa per cena. Fare il
fuoco era sempre più difficile. A stento riuscì a cucinare un guazzetto di
carpa con funghi. Era triste mangiare sola, ma erano gli ultimi giorni prima
delle nozze. La ragazza sorrideva tra sé al pensiero di quando avrebbe dovuto
cucinare per due, inventando nuovi modi per rendere appetitoso il pesce melmoso
e gli insipidi funghi che ormai erano l'unico cibo disponibile. Scucchiaiava la
sua brodaglia e sorrideva, sorrideva, perché la pioggia era amichevole e
l'amore splendeva come il sole tra le nuvole.
"Quando
Dario tornerà" pensava "gli preparerò una zuppa di rane e dei funghi
canditi. Lui mi bacerà sugli occhi e nel collo, mi sbottonerà la camicetta, io
arrossirò un pochino e poi..."
Qui
i suoi pensieri si fecero un po' confusi, il sorriso si trasformò in risatina.
"Ci
sposeremo, tornerà il sole, asciugherà tutto, e saremo felici per sempre."
Com'era
quando splendeva il sole? Non riusciva a ricordarlo bene, ma doveva certamente
essere bellissimo.
Dario
era partito tre settimane prima con altri giovani in cerca d'aiuto. Non erano
ancora giunte notizie, ma tutti li attendevano di ritorno da un giorno
all'altro. Nella mente degli abitanti del villaggio i soccorsi avevano
l'aspetto di una schiarita tra le nuvole, di terra fumigante sotto i raggi del
sole e di calore che scacciava l'umidità dalle ossa.
Miriam
ritirò le lenzuola che aveva stese accanto al fuoco perché si asciugassero un
po', preparò il letto e si coricò. Durante la notte la pioggia aumentò di
intensità fino a trasformarsi in temporale. Le persiane sbattevano, l'acqua si
riversava a scrosci contro le tegole e i vetri, in certi momenti il rumore era
così forte che sembrava di trovarsi sotto una cascata, ma i tetti resistevano e
nelle case ci si sentiva al sicuro.
La
mattina, il temporale era cessato. Dal cielo scendeva una pioggerellina grigia
e tiepida come l'acqua della doccia, così sottile che era quasi un piacere
farsi spruzzare la faccia aprendo le finestre.
"Oggi
sarà una bellissima giornata" si disse Miriam, tornando a sedersi accanto
all'abbaino per terminare il suo abito da sposa.
Ormai
aveva tutto il tempo di dedicarsi al proprio corredo. Nessun abitante del
villaggio aveva più bisogno della sua opera, ognuno si vestiva alla meno peggio
con sacchi e coperte, badando solo a coprirsi come poteva dall'umidità e dal
freddo.
Verso
mezzogiorno la pioggia aumentò di nuovo. Quando Miriam scese per prepararsi il
pranzo trovò la cucina allagata, inutilizzabile. Ricuperò un paio di pentole
che galleggiavano nell'acqua torbida, una scatola di fiammiferi da una mensola,
un po' di legna per fare il fuoco, e si rifugiò nella soffitta. Il pomeriggio
fu lungo e la scarsa luce non le permise di andare molto avanti nel suo lavoro.
La sera, l'acqua aveva ormai raggiunto anche la soffitta. Avvolse con molta
cura l'abito di raso bianco in un telo impermeabile, s'arrampicò dal davanzale
dell'abbaino fin sul tetto e si sistemò alla meno peggio accanto al comignolo.
Anche sui tetti delle case vicine vi era gente, le conversazioni si
intrecciavano, mentre le barche dondolavano ormeggiate ai comignoli.
La
notte era buia e fredda. Miriam sgranocchiava funghi crudi per tenersi sveglia
e non cadere in acqua, sorridendo appena appena tra sé. Aveva messo il suo
fardello ben steso su uno spiovente del tetto perché non si stropicciasse,
fermandolo con qualche tegola per impedire alle raffiche di vento di portarlo
via. Verso l'alba si addormentò. Quando riaprì gli occhi, sicura di aver
dormito pochi istanti, una luce grigia illuminava il villaggio.
C'era
molta agitazione tra i comignoli, esclamazioni soffocate, un andirivieni di
barchette, uno sciacquio inquieto. Miriam si alzò in piedi a fatica
appoggiandosi al tetto con le due mani. Scrutò attentamente la foschia e infine
riuscì a distinguere la causa di tutto quel movimento. In lontananza, dalla
parte dove un tempo c'era una pianura coltivata e verdeggiante, avanzava
lentissima una nave maestosa, pavesata di luci malgrado il chiarore sempre più
intenso del mattino. Man mano che si avvicinava tagliando l'acqua con la prua e
sollevando due lucide onde, sul villaggio scendevano il silenzio e
l'immobilità. Gli abitanti ritti in piedi allungavano il collo e trattenevano
il respiro contemplandola. La pioggia si era diradata, larghe lente gocce si
spiaccicavano con un suono ritmato sulle tegole e sull'acqua.
Cominciarono
a levarsi esclamazioni di sollievo, meraviglia, grida di gioia e battimani. Il
cuore di Miriam batteva furioso. C'era di sicuro Dario sulla nave, Dario che
aveva trovato i soccorsi e ora tornava trionfalmente e li avrebbe portati tutti
in salvo in un posto asciutto e soleggiato, dove avrebbero potuto mangiare pane
e frutta e carne.
La
nave procedeva silenziosa, emanando sicurezza e luce, ma c'era qualcosa che non
andava. Ormai giunta all'altezza delle case, a una distanza di qualche decina
di metri, non accennava a fermarsi né a rallentare l'andatura. Sui ponti e
dietro agli oblò illuminati si stagliavano delle figure umane immobili, con il
viso rivolto verso i tetti che spuntavano dall'acqua, muti, senza un sorriso.
Miriam all'improvviso fu sicura di riconoscere Dario, ma non riuscì a emettere
il grido che le soffocava la gola. Rimase impietrita sotto le raffiche di
pioggia che aumentavano di intensità.
"Bisogna
fermarli!" gridò qualcuno. "Facciamo dei segnali, facciamoci
vedere!"
"Facciamo
un fuoco!"
Questa,
naturalmente, era un'idea assurda.
"Una
bandiera, qualcosa di bianco, che si veda da lontano e attiri la loro
attenzione!"
La
vicina di casa di Miriam si arrampicò sulle tegole scivolose fino a
raggiungerla.
"Il
tuo vestito da sposa! Il raso è lucido, si vede bene. Dove l'hai messo? Dammelo."
Miriam
non l'aveva ascoltata, ma quando la vide afferrare il pacco impermeabile si
scosse e corse a fermarla.
"Non
toccare il mio vestito! Quello mi serve per sposarmi quando Dario
tornerà!"
La
donna le diede uno spintone. Miriam riuscì a evitare di cadere in acqua solo
aggrappandosi al comignolo con tutte le sue forze.
Il
pacco fu aperto. Un uomo infilò un bastone nelle maniche dell'abito che dopo
pochi istanti sventolava agitato da mani volenterose e disperate. Miriam
guardava la pioggia che inzuppava il raso bianco, le pieghe acciaccate della
gonna, il merletto antico inzaccherato dal fango. I suoi occhi aridi e
brucianti non avevano lacrime, solo le gocce di pioggia le rigavano le guance e
le scendevano nel collo.
La
bianca bandiera sventolò a lungo, gli abitanti del villaggio gridarono e
gridarono, ma la nave non si fermò. Proseguì superba e serena, si lasciò dietro
speranza e disperazione e continuò ad allontanarsi finché il grigiore compatto
dell'orizzonte la inghiottì, e disparve in silenzio come in silenzio era
apparsa. Dopo qualche minuto una grande ondata grigia e lucente investì le
case, strappando dai tetti qualche vecchio e qualche bambino. Si dovette andare
a ripescarli con le barche prima che affogassero.
Il
tempo passava. Tutti rimanevano incerti, senza più parole, seduti sulle tegole
bagnate, finché nel primo pomeriggio qualcuno si accorse che la pioggia aveva cessato
di cadere. Il cielo ancora grigio non riversava più sulla terra l'interminabile
cascata che li aveva oppressi per tanti mesi. Dopo qualche ora, si udì un
grido.
"L'acqua
sta scendendo!"
Era
vero. L'acqua defluiva dalle vie, a poco a poco le case emergevano, la gente
rientrava dalle finestre dei piani alti e cominciava il faticoso lavoro di
ripulire e sgombrare le stanze dal fango e dai detriti. Al tramonto, il manto
compatto di nubi si squarciò a occidente. Un raggio di sole si allungò, rosso e
arancione, fino a lambire le case, facendo brillare i vetri delle finestre.
Tutto il villaggio sembrava in fiamme. Gli abitanti uscirono nelle strade
intasate dal fango per sentire sulla pelle il bruciore insopportabile e
infinitamente gradevole del sole.
Passarono
alcuni mesi, e fu di nuovo estate, come quando la pioggia aveva cominciato a
cadere. L'erba era ricresciuta tra i ciottoli delle strade, nei cortili si
sentivano di nuovo chiocciare le galline e abbaiare i cani. Il fango era stato
spalato, le case ripulite, la vita aveva ripreso il suo ritmo normale.
Miriam,
seduta su una seggiola fuori dall'uscio, cuciva sorridendo da sola. I clienti
erano numerosi ora che la vita era tornata a fervere, le donne volevano abiti
per il ballo, gli uomini avevano bisogno di completi eleganti e indumenti per
il lavoro. Ma Miriam cuciva anche per sé. Nelle lunghe sere estive, mentre se
ne stava seduta sulla sua seggiola, le sue agili dita lisciavano il raso che
aveva acquistato nella vicina città, un punto dietro l'altro il suo abito da
sposa riprendeva forma. Non aveva più il merletto antico, ma il tulle poteva
andare bene lo stesso. Non era mai stata una ragazza pretenziosa. Era bello
cucire nella sera azzurra, sognando dolcemente il ritorno di Dario, che non era
mai ricomparso, come nessuno di quelli che erano partiti con lui. Ma sarebbe tornato
di certo.
"Lascia
perdere, Miriam" le dicevano le vicine. "Dario e i suoi compagni sono
ragazzi giovani, pieni di voglia di conoscere il mondo, chissà dove sono
adesso."
A
lei non importava aspettare. Si era abituata a sedere fuori dell'uscio la sera,
a cucire finché c'era un po' di luce. Poi rientrava, si cucinava la cena,
magari più tardi andava a fare quattro chiacchiere con una vicina, o qualcuno
veniva a trovarla. Non era una brutta vita, ora che la mattina si potevano
spalancare le finestre per fare entrare il sole, uscire per le strade,
chiacchierare nei negozi e passeggiare in campagna. C'erano tante cose da fare,
bastava muoversi lentamente e pensare solo al ritorno di Dario, senza
soffermarsi sulla sequela di giorni che la separavano da quel momento. Per
questo Miriam era contenta che il raso fosse un materiale così difficile da
cucire: punto dopo punto, gugliata dopo gugliata la sua vita si svolgeva
tranquilla e senza scosse.
Quando
giunsero le prime foglie gialle e le prime nebbie d'ottobre, l'abito da sposa
era finito. Miriam tornò ancora una volta in città per comprare un manichino
sul quale dispose la sua opera, completa di velo e coroncina di fiori di seta.
Ritto in un angolo della stanza in cui la ragazza lavorava e i clienti
provavano i vestiti, divenne una presenza silenziosa che metteva a disagio chi
lo guardava. Per lei invece era una fonte continua di orgoglio e
rassicurazione. Ora la sera veniva buio presto, faceva freddo, naturalmente non
sarebbe più stato possibile sedere fuori dalla porta a cucire. Miriam se ne
stava in casa a leggere, ascoltare la radio e pensare a Dario. Le serate erano
lunghe, ma non le pesavano.
A
novembre ricominciò a piovere. Dapprima fu una pioggerellina grigia e
impalpabile, che quasi non spruzzava neppure i vetri e inumidiva appena il
volto, ma col passare dei giorni divenne più fitta e insistente, e infine
ricominciarono le raffiche torrenziali che facevano tremare le pareti e
sembravano sempre sul punto di scoperchiare i tetti. Questa volta, gli abitanti
del villaggio non aspettarono passivamente che il diluvio finisse. A una a una,
le famiglie radunavano i loro averi, masserizie, bambini e animali sulle
macchine, sui trattori, sui camion e partivano. Era chiaro che non c'era molto
tempo da perdere, perché le strade che portavano al villaggio cominciavano a
trasformarsi in pantani, il fiume nel suo letto in mezzo ai campi minacciava di
straripare dagli argini ricostruiti durante l'estate. Sotto la pioggia battente
le file dei fuggitivi si snodavano come lucidi serpenti.
Il
villaggio era ormai quasi del tutto spopolato. Miriam sedeva accanto alla radio
che ancora trasmetteva pubblicità e ballabili provenienti da qualche luogo in
cui il cielo era sereno, forse addirittura splendeva il sole. I suoi vicini,
tra gli ultimi che si erano decisi a partire, vennero a chiederle se voleva
andare con loro. Ma Miriam non aveva voglia di partire. Le piaceva il rumore
della pioggia e l'odore di umido che pervadeva già tutta la casa.
"Che
cosa resti a fare?" le chiese la vicina. "Se non parti ora non potrai
più farlo, non ci sono più mezzi di trasporto. Questa sera sarai del tutto
sola. Vieni via finché sei ancora in tempo!"
Lei
ringraziò e rimase.
Venne
la sera, ed era bello sentire il vento che scuoteva le persiane mentre in casa
tutto era immobile e silenzioso. Miriam leggeva accanto alla stufa; c'era
ancora legna. Quando giunse l'ora di cena, si alzò per cucinare qualcosa.
Aprendo la credenza fu lieta di vedere che vi erano spuntati dei funghi. Ne
raccolse alcuni, e canticchiando cominciò ad affettarli per prepararsi una
cenetta come piaceva a lei.