Due libri per chi ama i racconti, scritti da due autori che io pensavo, entrambi, molto più giovani di quanto siano in realtà (di Michele Orti Manara ho assistito a una presentazione al Salone del Libro di Torino 2018 e ha l'aria giovanissima, vi assicuro) e, entrambi, molto, molto bravi.
La perdita di te (Edizioni Clandestine, traduzione dall'inglese di Barbara Gambaccini con contributi di Elisabetta Pellini, basata sulla traduzione dal turco di Hande Eagle) di Yekta Kopan, nato nel 1968 a Ankara e ora residente a Istanbul, poeta, narratore, saggista, conduttore radiofonico, doppiatore e sceneggiatore, è una veloce raccolta di cinque racconti, tutti in prima persona, in cui si parla di perdite appunto, soprattutto del padre, di rapporti, di donne, di pittura, di persone. Non hanno importanza né la trama né, in fondo i personaggi. Sono riflessioni su se stesso che si avviluppano e si sfrangiano, affascinando come un soffitto coperto di specchietti che riflette le figure spezzettandole e ripetendole. Sono anche racconti moderni, che parlano di un paese moderno e di un autore moderno perfettamente a suo agio a Istanbul come a Londra. Sicuramente cercherò qualcos'altro di quest'autore per farmi un'idea più chiara, e lo consiglio a chi è interessato alla Turchia e ai racconti. Però spero che Edizioni Clandestine, se decide di continuare a pubblicarlo, dedicherà una maggiore attenzione alla traduzione. Non ho la minima idea se sia fedele o no, che cosa si sia perso nel passaggio dal turco all'inglese, ma quello che vorrei sottolineare è che l'italiano ha le sue leggi, che magari il traduttore non conosce ma vanno rispettate se non si vuole che il lettore si deprima e si scoraggi.
Come ho detto, Michele Orti Manara l'ho visto dal vivo e posso assicurare che è molto simpatico e disinvolto. Adesso che ho letto Il vizio di smettere, uscito con la valorosa Racconti Edizioni, posso dire anche che è estremamente bravo (e la copertina di Francesca Protopapa particolarmente attraente). Sedici racconti di cui alcuni brevissimi, tutti al presente e nervosi, veloci, talora solo dialoghi (Diglielo e basta), in cui non disdegna l'assurdo e l'inesplicabile (Una vita in venti minuti) né teme di entrare in prima persona in situazioni complesse (Post-it), rappresentando e narrando senza sprecare una parola, con una scrittura netta, precisa, sicura, la scrittura di chi sa quello che fa e come lo vuole fare. Sia che parli di un gatto o di un collaboratore domestico straniero o di una donna ossessionata da uno stalker, Orti Manara lo fa con le parole giuste e la giusta misura. Anche di questo autore aspetto con piacere la prossima uscita, augurandomi che la sua bravura non diventi virtuosismo, la sua sicurezza riesca a fargli evitare la frigida perfezione da scuola di scrittura. Orti Manara tiene un blog con il bellissimo nome di nepente. Ma comunque, e lo dico da Figlia di Chtulhu, uno con una maglietta così andrà sicuramente lontano. E io glielo auguro di cuore.
martedì 26 giugno 2018
lunedì 25 giugno 2018
Angelica tra stelle e gomitoli: Elena Grecchi parla di Il cuore in ballo
L'amica Elena Grecchi parla di Il cuore in ballo sul suo blog LaGrecchi - Stelle, trame e gomitoli
Che tipo è una ragazza di vent’anni al giorno d’oggi? Di quelle che vivono da sole, laureate con centodieci e lode e dignità di stampa, fanno la ballerina e per mantenersi anche ogni altro genere di lavoro? Se avete voglia di scoprirlo dovete leggere Il cuore in ballo di Consolata Lanza, Buckfast Edizioni.
Con una prosa allegra e molto ironica Consolata ci porta nel mondo di Angelica e sembra di cadere indietro nel tempo, quando si era più magri, più disponibili e la cosa più importante in assoluto era “la compenetrazione di due anime” o una scopata fantastica come sintetizza un personaggio del libro!
In questo romanzo allegro e leggero seguiamo le vicende di Angelica, per lo più amorose, e l’eterno dilemma tra scelte di vita stabili e concrete e il colpo di testa.
Mi chiedo se la scelta del nome sia una citazione di Angelica, personaggio creato da Anne e Serge Golon protagonista di una serie di libri ambientati in Francia al tempo del re Sole e resa celebre dai film tratti dai romanzi. Anche questa Angelica aveva una vita sentimentale piuttosto intensa…
Consolata ha uno stile ritmato, molto ironico e ci consente di distrarci dal nostro presente almeno per qualche minuto se non per qualche ora, se volete conoscerla meglio vi consiglio di seguire il suo blog, Anaconda Anoressica, con un nome così non vi viene voglia di andare a vederlo?
https://lagrecchi.it/
Che tipo è una ragazza di vent’anni al giorno d’oggi? Di quelle che vivono da sole, laureate con centodieci e lode e dignità di stampa, fanno la ballerina e per mantenersi anche ogni altro genere di lavoro? Se avete voglia di scoprirlo dovete leggere Il cuore in ballo di Consolata Lanza, Buckfast Edizioni.
Con una prosa allegra e molto ironica Consolata ci porta nel mondo di Angelica e sembra di cadere indietro nel tempo, quando si era più magri, più disponibili e la cosa più importante in assoluto era “la compenetrazione di due anime” o una scopata fantastica come sintetizza un personaggio del libro!
In questo romanzo allegro e leggero seguiamo le vicende di Angelica, per lo più amorose, e l’eterno dilemma tra scelte di vita stabili e concrete e il colpo di testa.
Mi chiedo se la scelta del nome sia una citazione di Angelica, personaggio creato da Anne e Serge Golon protagonista di una serie di libri ambientati in Francia al tempo del re Sole e resa celebre dai film tratti dai romanzi. Anche questa Angelica aveva una vita sentimentale piuttosto intensa…
Consolata ha uno stile ritmato, molto ironico e ci consente di distrarci dal nostro presente almeno per qualche minuto se non per qualche ora, se volete conoscerla meglio vi consiglio di seguire il suo blog, Anaconda Anoressica, con un nome così non vi viene voglia di andare a vederlo?
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giovedì 14 giugno 2018
Un viaggio della mente, del cuore e degli occhi: Lawrence Durrell, The greek islands
Sono un po' sparita di ultimo ma non è che abbia battuto la fiacca, ho letto libri un po' così e poi mi sono imbattuta in The greek islands di Lawrence Durrell.
Excusatio non petita: di nuovo un libro in inglese, di cui non sono riuscita a trovare traccia di traduzione in rete. L'ho trovato in una cartolibreria di Corfù e non sono riuscita a resistere malgrado sia scritto in corpo microscopico stile messaggio tra spie, con l'idea di dargli un'occhiata qua e là. Ho avuto una passioncella per Lawrence Durrell e il suo Quartetto di Alessandria e altro, anni fa sono anche andata a vedere la sua casa di Corfù, insomma un acquisto tra il doveroso e l'incuriosito. Ho cominciato a sfogliarlo cercando le isole che conosco meglio, ho letto qualche pagina e poi ho ricominciato dal principio e non sono più riuscita a staccarmente.
Uscito nel 1978, The greek islands sembra un reperto della cività cicladida, una di quelle kukles che ho sempre sognato di trovare su una spiaggia deserta tra cocci e conchiglie. Il fatto è che si tratta di un repertorio pressoché completo delle isole abitate della Grecia, a esclusione di Cipro, in cui non si nomina né un ristorante né una spa né un albergo né un pub né un resort. Sembra impossibile, sembra incredibile ma è così. Durrell parla della civiltà delle isole prima della megali catastrofì del turismo di massa. Non mi vergogno di sembrare una snob, ma ho avuto l'immensa fortuna di poter intravedere (e immaginare) quel che ne restava, poi per molti anni me ne sono tenuta lontana per riprendere in seguito a frequentarle sapendo che erano diventate un'altra cosa. Gradevolissima, bellissima, ma niente a che vedere con quello che erano state per secoli. E su certe isole non ho messo e non metterò più piede, voglio ricordarle com'erano, come si dice. Ora, sarò snob ma non sono scema, so che il turismo ha riportato vita, benessere e gente in luoghi paradisiaci ma spopolati, dove la vita era dura, la povertà spingeva all'emigrazione, ogni pugno di grano era frutto di fatica. Ma ha anche spazzato un'intera, mirabile civiltà, non c'è altro da dire.
Lawrence Durrell ha conosciuto benissimo la Grecia, vi è vissuto a lungo, e in particolare ha viaggiato in barca a vela tra le isole, come si intuisce dal fatto che riporta sempre le condizioni dei porti d'arrivo, e spesso su queste si basa per giudicare la piacevolezza o meno dell'isola stessa. Il suo interesse precipuo, però, è legato alle tracce del mondo classico che vi si possono trovare, ai legami mitologici o storici con la Grecia antica. In seconda istanza viene la bellezza della natura ( le sue preferite sono Corfù, Rodi e Creta, in ragione della vegetazione lussureggiante) e pari merito, la
simpatia e l'empatia per i greci contemporanei intesi più come individui che come popolo.
Su molti dei suoi giudizi non sono affatto d'accordo (come si fa a dire che i villaggi della mastichochoria di Chios non sono interessanti? evidentemente non li ha visti!), altri mi sembrano assurdi (non sbarca neppure a Samotracia, una delle mie passioni, indispettito dalla mancanza di un porto e inquietato dalla presenza del santuario dei Cabiri, affermando che è cupa, è barbarica [...] sentii i cannibali che scaldavano i pentoloni). Va be', ognuno ha le sue fisime; e quelle di Lawrence Durrell ci stanno come quelle di chiunque altro.
Ma lui ha avuto il merito di scrivere un libro parziale, informatissimo sulle cose che interessano a lui, appassionante come un romanzo, bellissimo, felicemente fuori tempo, fortemente personale, pieno di fascino e denso di aneddoti, personaggi e descrizioni vivacissime. Con una utilissima appendice su flora e fauna. Verrebbe voglia di trovarsi con Lawrence Durrell davanti a un bicchiere di retsina e un piattino di olive (lui preferirebbe uzo e polipo, lo so) a discutere delle rispettive opinioni su questa o quell'isola, in gara di informazioni e conoscenza dei luoghi, in una taverna riparata dal vento ma abbastanza vicina al mare da farcene sentire il respiro.
P.S. E siccome anche stando fermi si possono fare viaggi, ecco che mettendo a posto il volume di cui sopra nello scaffale dei libri in inglese, che cosa scopro? Che l'ultimo della fila al quale lo stavo appoggiando era esattamente lo stesso, con il biglietto del traghetto Lesbo - Chios del 24/8/2003 come segnalibro tra le pagine. Se non è un viaggio nella memoria (bucata come un setaccio) questo...
Excusatio non petita: di nuovo un libro in inglese, di cui non sono riuscita a trovare traccia di traduzione in rete. L'ho trovato in una cartolibreria di Corfù e non sono riuscita a resistere malgrado sia scritto in corpo microscopico stile messaggio tra spie, con l'idea di dargli un'occhiata qua e là. Ho avuto una passioncella per Lawrence Durrell e il suo Quartetto di Alessandria e altro, anni fa sono anche andata a vedere la sua casa di Corfù, insomma un acquisto tra il doveroso e l'incuriosito. Ho cominciato a sfogliarlo cercando le isole che conosco meglio, ho letto qualche pagina e poi ho ricominciato dal principio e non sono più riuscita a staccarmente.
Uscito nel 1978, The greek islands sembra un reperto della cività cicladida, una di quelle kukles che ho sempre sognato di trovare su una spiaggia deserta tra cocci e conchiglie. Il fatto è che si tratta di un repertorio pressoché completo delle isole abitate della Grecia, a esclusione di Cipro, in cui non si nomina né un ristorante né una spa né un albergo né un pub né un resort. Sembra impossibile, sembra incredibile ma è così. Durrell parla della civiltà delle isole prima della megali catastrofì del turismo di massa. Non mi vergogno di sembrare una snob, ma ho avuto l'immensa fortuna di poter intravedere (e immaginare) quel che ne restava, poi per molti anni me ne sono tenuta lontana per riprendere in seguito a frequentarle sapendo che erano diventate un'altra cosa. Gradevolissima, bellissima, ma niente a che vedere con quello che erano state per secoli. E su certe isole non ho messo e non metterò più piede, voglio ricordarle com'erano, come si dice. Ora, sarò snob ma non sono scema, so che il turismo ha riportato vita, benessere e gente in luoghi paradisiaci ma spopolati, dove la vita era dura, la povertà spingeva all'emigrazione, ogni pugno di grano era frutto di fatica. Ma ha anche spazzato un'intera, mirabile civiltà, non c'è altro da dire.
Lawrence Durrell ha conosciuto benissimo la Grecia, vi è vissuto a lungo, e in particolare ha viaggiato in barca a vela tra le isole, come si intuisce dal fatto che riporta sempre le condizioni dei porti d'arrivo, e spesso su queste si basa per giudicare la piacevolezza o meno dell'isola stessa. Il suo interesse precipuo, però, è legato alle tracce del mondo classico che vi si possono trovare, ai legami mitologici o storici con la Grecia antica. In seconda istanza viene la bellezza della natura ( le sue preferite sono Corfù, Rodi e Creta, in ragione della vegetazione lussureggiante) e pari merito, la
simpatia e l'empatia per i greci contemporanei intesi più come individui che come popolo.
Su molti dei suoi giudizi non sono affatto d'accordo (come si fa a dire che i villaggi della mastichochoria di Chios non sono interessanti? evidentemente non li ha visti!), altri mi sembrano assurdi (non sbarca neppure a Samotracia, una delle mie passioni, indispettito dalla mancanza di un porto e inquietato dalla presenza del santuario dei Cabiri, affermando che è cupa, è barbarica [...] sentii i cannibali che scaldavano i pentoloni). Va be', ognuno ha le sue fisime; e quelle di Lawrence Durrell ci stanno come quelle di chiunque altro.
Ma lui ha avuto il merito di scrivere un libro parziale, informatissimo sulle cose che interessano a lui, appassionante come un romanzo, bellissimo, felicemente fuori tempo, fortemente personale, pieno di fascino e denso di aneddoti, personaggi e descrizioni vivacissime. Con una utilissima appendice su flora e fauna. Verrebbe voglia di trovarsi con Lawrence Durrell davanti a un bicchiere di retsina e un piattino di olive (lui preferirebbe uzo e polipo, lo so) a discutere delle rispettive opinioni su questa o quell'isola, in gara di informazioni e conoscenza dei luoghi, in una taverna riparata dal vento ma abbastanza vicina al mare da farcene sentire il respiro.
P.S. E siccome anche stando fermi si possono fare viaggi, ecco che mettendo a posto il volume di cui sopra nello scaffale dei libri in inglese, che cosa scopro? Che l'ultimo della fila al quale lo stavo appoggiando era esattamente lo stesso, con il biglietto del traghetto Lesbo - Chios del 24/8/2003 come segnalibro tra le pagine. Se non è un viaggio nella memoria (bucata come un setaccio) questo...
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lunedì 11 giugno 2018
Un romanzo di corsa: Alessandro Dutto, sangue sul Tour
Una brevissima segnalazione di sangue sul Tour (la minuscola è voluta) di Alessandro Dutto (anche qui, a seguire la grafica del libro, ci vorrebbero le minuscole, ma va be'), veloce come il romanzo medesimo, un noir insolito e un po' sperimentale. L'autore è prima di tutto editore, insieme al fratello Fabrizio, della magnifica Araba Fenice di Boves, di cui molto ho letto e spesso ho parlato, e poi anche scrittore in proprio di testi legati alla tradizione piemontese e agli autori piemontesi, tutti reperibili sul sito dell'Araba Fenice.
La storia non è complicata ma sicuramente originale. Durante il Tour di France, nella salita sul Tourmalet dei Pirenei, un camper esplode provocando venticinque morti. Il Tour viene interrotto, la polizia annaspa tra le ipotesi più disparate, terrorismi vari, false piste e belle donne equivoche, il brigadiere Dupont combatte con l'ottusità dell'ispettore Gobain, i media impazzano, ma alla fine, come è giusto, tutto si chiarisce con soddisfazione anche del lettore (come me) del tutto ignaro di ciclismo, Tour e campioni relativi.
La sperimentazione consiste nel fatto che l'autore ha eliminato tutte le parti narrative, di raccordo, raccontando la vicenda solo attraverso dialoghi composti di brevi battute e monologhi, e in parte anche la punteggiatura e le maiuscole. Questo non rende le cose troppo difficili per il lettore e la vicenda è godibile fino alla fine.
La storia non è complicata ma sicuramente originale. Durante il Tour di France, nella salita sul Tourmalet dei Pirenei, un camper esplode provocando venticinque morti. Il Tour viene interrotto, la polizia annaspa tra le ipotesi più disparate, terrorismi vari, false piste e belle donne equivoche, il brigadiere Dupont combatte con l'ottusità dell'ispettore Gobain, i media impazzano, ma alla fine, come è giusto, tutto si chiarisce con soddisfazione anche del lettore (come me) del tutto ignaro di ciclismo, Tour e campioni relativi.
La sperimentazione consiste nel fatto che l'autore ha eliminato tutte le parti narrative, di raccordo, raccontando la vicenda solo attraverso dialoghi composti di brevi battute e monologhi, e in parte anche la punteggiatura e le maiuscole. Questo non rende le cose troppo difficili per il lettore e la vicenda è godibile fino alla fine.
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