Below Stairs,
di Margaret Powell, è un libro autobiografico uscito nel 1968, in cui l’autrice
racconta la sua vita di cuoca residente presso famiglie abbienti negli anni ’20
e ’30 del secolo scorso. Ebbe un grande successo in patria, ispirò serie
televisive e film, tra cui in parte anche la fortunatissima (e davvero
notevole) serie tv inglese Downton Abbey,
che a ottobre tornerà in televisione con la seconda stagione. Margaret Powell, nata
a Hove, in Gran Bretagna, nel 1907, iniziò a lavorare a quindici anni come
sguattera di cucina, migliorò la sua posizione fino diventare cuoca, poi
abbandonò la carriera per sposarsi con un lattaio con cui ebbe tre figli maschi.
Durante la seconda guerra mondiale fu costretta a tornare a lavorare come
domestica a ore. Più tardi, per poter condividere i discorsi dei figli che
studiavano in scuole esclusive, si mise a studiare e pubblicò queste memorie
che le dettero fama e denaro. Morì nel 1984. Recentemente (dicembre 2012) è uscita l'edizione italiana per Einaudi Stile Libero, con il titolo (che non mi pare granché) Ai piani bassi, con la traduzione di Carla Palmieri e Anna Maria Martini.
Per
un lettore italiano, io penso, questo libro non risulterà così appassionante
come per gli inglesi. La prima parte, che racconta un’infanzia povera in una
famiglia numerosa, è francamente poco interessante per l’atteggiamento della
scrittrice, del genere “ai miei tempi non avevamo la televisione ma ci
divertivamo molto di più”. In controluce ci si legge anche una classe operaia
molto diversa da quella italiana, con abitudini assai più sociali e emancipate,
ma la miseria è brutta dappertutto e le storie di Margaret Powell toccano corde
piuttosto conosciute. Man mano che la ragazza cresce e si addentra nella vita
lavorativa, la sua coscienza di classe aumenta, e così pure il suo risentimento
per le differenze economiche e soprattutto per l’ineffabile presunzione di
superiorità dei datori di lavoro – si sa che gli inglesi non brillano per
democraticità sociale né per semplicità nei modi. Le vicende specifiche, le
condizioni di lavoro, i personaggi appena sbozzati sono molto meno
interessanti, anche perché si sente che Margaret Powell non è una scrittrice,
la sua maniera di narrare è piatta e un po’ noiosetta. Per intenderci, non è Quel che resta del giorno di Kazuo
Ishiguro. Comunque, un valore
documentario ce l’ha, e piacerà soprattutto agli anglofili impenitenti che non
si stancano mai di cene di sette portate e parafuoco di ottone lucidi.
Consiglio di leggerlo insieme al Diario di una lady di provincia, di E. M. Delafield, del 1930, uscito nel 2010 da Neri Pozza con la traduzione di M. Pareschi. Qui abbiamo la visione del mondo delle padrone di Margaret Powell, le signore capaci di vivere con grazia e grande scialo di sense of humour, understatement e chi più ne ha più ne metta, la loro situazione di privilegio mai messa in discussione. Il mondo è fatto così, a scale appunto, chi nasce lady può trovare il tempo, tra le mille incombenze della sua vita indaffarata, di vedere il mondo attraverso la lente dell’ironia, chi nasce cuoca è costretta a prendere tutto sul serio. Certo la lady di Delafield è divertente, si permette di essere blandamente eccentrica, sa quanto e come si possono infrangere le regole senza uscirne affatto, ride di se stessa, dei propri tic, delle proprie limitazioni, delle proprie insicurezze, tanto ha ben chiara la propria collocazione sociale che niente può mettere in discussione. Lettura che più leggera non si può ma molto efficace nel far sorridere di un mondo (credo) scomparso, dove lo snobismo era tale che la mancanza di denaro poteva essere oggetto di autoironia e, sotto sotto, di un certo autocompiacimento.
Consiglio di leggerlo insieme al Diario di una lady di provincia, di E. M. Delafield, del 1930, uscito nel 2010 da Neri Pozza con la traduzione di M. Pareschi. Qui abbiamo la visione del mondo delle padrone di Margaret Powell, le signore capaci di vivere con grazia e grande scialo di sense of humour, understatement e chi più ne ha più ne metta, la loro situazione di privilegio mai messa in discussione. Il mondo è fatto così, a scale appunto, chi nasce lady può trovare il tempo, tra le mille incombenze della sua vita indaffarata, di vedere il mondo attraverso la lente dell’ironia, chi nasce cuoca è costretta a prendere tutto sul serio. Certo la lady di Delafield è divertente, si permette di essere blandamente eccentrica, sa quanto e come si possono infrangere le regole senza uscirne affatto, ride di se stessa, dei propri tic, delle proprie limitazioni, delle proprie insicurezze, tanto ha ben chiara la propria collocazione sociale che niente può mettere in discussione. Lettura che più leggera non si può ma molto efficace nel far sorridere di un mondo (credo) scomparso, dove lo snobismo era tale che la mancanza di denaro poteva essere oggetto di autoironia e, sotto sotto, di un certo autocompiacimento.
I
due libri sono perfetti per gli anglofili desiderosi di prendere un tè con una gentildonna,
servito da una cameriera in guanti bianchi. Chi ha apprezzato, che so, Gosford Park di Altman, si aspetti
qualcosa di meno cattivo, di meno preciso, ma certamente più genuino: due libri
che sono proprio stati scritti rispettivamente upstairs e downstairs. E
non si perdano Downton Abbey, la
serie più costosa della televisione inglese, con attori superbi, ambientazioni
che fanno sognare e vicende appassionanti, sia ai piani alti che nel seminterrato.