Il nostro vulcanico Massimo Tallone ha fatto di
nuovo centro con Il fantasma di piazza
Statuto (edizioni e/o), pezzo di bravura in cui dà voce a Annetta, quasi
settantenne governante della famiglia Doro e ex portinaia nel medesimo stabile.
La storia è un vero giallo come Dio comanda, con scale che scricchiolano,
dipinti misteriosi, galleriste procaci, morti e investigatori privati (per
quanto sui generis). In più ci sono medium,
sedute spiritiche e fantasmi. Un pittore morto, fruscii notturni, segreti
sepolti in un computer. Il tutto a Torino, che è sempre una gran bella location,
in luoghi ben descritti e riconoscibili, con una piccola trasferta in collina,
giusto il tempo per una marenda sinoira.
E abbandonato per una volta il Cardo, scorrettissimo, puzzone e sgangherato
eroe dei suoi precedenti romanzi, questa volta Massimo Tallone, con l’esilarante
monologo interiore di Annetta che copre
tutta la vicenda del romanzo, ha creato un distillato di sabauda riservatezza, perbenismo,
rispetto per le regole, consapevolezza dei ruoli sociali, amore per le tradizioni,
il tutto condito da un filino di tranquilla ironia. È un ricamo bandera per
voce sola, una coperta all’uncinetto di parole precise come la vita e
divertenti come un solletico beneducato. Non dirò una parola di più sulla
storia perché qui c’è il mistero, e il plot non tollera spiate. Chi poi avesse
la nostalgia del Cardo, delle sue schifezze e della sua abilità a dipanare
misteri, non ha che da aspettare l’autunno, quando uscirà la sua prossima
avventura.
lunedì 28 maggio 2012
lunedì 21 maggio 2012
L'onore della casa, il piacere di Laxness
Halldór
Laxness, L’onore della casa
Edito
per la prima volta in lingua originale nel 1933, pubblicato in prima edizione
da Iperborea nel 1996 e nel 2011 in quarta edizione nella traduzione di Paola
Daziani Robertsson, questo romanzo breve, o racconto lungo, di Laxness mi ha
dato tutto il piacere che mi aspettavo. Siamo a Eyvik, cittadina islandese dedita
alla pesca, da cui Reykjavik si raggiunge via mare solo nella bella stagione,
piccola (adesso gli islandesi sono trecentomila, ma allora erano ancora meno) ma
con una società ben strutturata e vivace. La famiglia del prevosto (qualunque
cosa sia) è la più in vista, tanto che viene chiamata la Gente per antonomasia,
come la loro dimora è la Casa. Vi sono due figlie, Thurithur e Ranveig, una
bella e l’altra buona. Entrambe vanno a completare la loro educazione in Danimarca,
a un’età stranamente avanzata per gli standard dell’epoca. Thurithur ritorna
pronta per il matrimonio che l’aspetta, Ranveig torna in attesa di un figlio. Da
quel momento si tratta di ristabilire, appunto l’onore della Casa, con tutti i
mezzi possibili. Basterebbe aspettare, perché nel paese il caso di una ragazza
che genera un figlio fuori da matrimonio non è insolito né scandalizza alcuno: normalmente riacquistava la propria
reputazione due o tre anni dopo, e se poi non si discostava dalla via della virtù
per sette anni dall’incidente, tornava di nuovo pura. Ma l’onore non si può
affidare semplicemente al passare del tempo, e Thurithur si arroga il ruolo di
custode del buon nome della famiglia cercando di tenere tutto sotto controllo,
soprattutto Ranveig, che nella sua grande bontà si lascia fare terribili torti,
dedicandosi alla tessitura in cui eccelle. Negli anni succedono cose che non si
possono controllare, la vita è spietata e cercare di correggerne gli errori,
forse, è inutile.
La
grande scrittura di Halldór Laxness fa di questo crudele e divertente apologo
una lettura indimenticabile. L’ipocrisia e il cinismo della minuscola società di
Eyvik e della proba Thuritur sono descritti con un umorismo distaccato che non
cede mai al moralismo, ma non impedisce al giudizio essere severo e senza
scusanti.
L’unico
difetto del libro, secondo me, è il prezzo un po’ eccessivo: 10,50 € per 100
pagine postfazione compresa mi sembrano un po’ troppe. Però, bisogna dire,
Laxness li vale tutti.
venerdì 4 maggio 2012
DARIO LANZARDO, IL DESIDERIO DELL'ACQUA
A
un anno da quando Dario Lanzardo ci ha lasciati, questo delizioso libretto di
ricordi d’infanzia ci riporta con forza la sua voce. Durante gli anni della
guerra, dal 1940 al 1945, la famiglia Lanzardo, padre madre e tre figli, fu
sfollata a Fosdinovo in Lunigiana, il paese della madre. Ci sfilano davanti i numerosi
parenti, nonni zie e zii, doverosamente ricordati con le loro bizzarrie, gli
abitanti più caratteristici, il parroco, gli amici della banda, la chiesa piena
di fascino e i furti dei cristalli del lampadario, il prete povero. Tra le mole
figure descritte spiccano quelle dei genitori di Dario, la madre poetessa e il
padre fotografo. C’è l’oscuro episodio che sarà ripreso nel romanzo Il principio di Archimede, un uomo e una
donna che lottano nel buio, la donna che cade dal parapetto della piazza o
forse è spinta, l’uomo che si allontana senza darle aiuto e la cui identità non
sarà mai scoperta. Dario è il più piccolo della banda di ragazzi dediti a
imprese rischiose, ma non si tira mai indietro. C’è la guerra, e non si può
dimenticarlo mai: ma i ragazzi che scorrazzano liberi dalla mattina alla sera,
della guerra conoscono soprattutto la libertà, la mancanza di controllo, e la
possibilità di guadagnare vendendo i residui lasciati dai combattimenti. Questa
è la parte forse più affascinante del libro, queste imprese al limite dell’incoscienza,
dalla raccolta di schegge di rame per
rivenderle alla passeggiata sul campo di mine. C’è il bellissimo
episodio dell’esplorazione del castello dei Malaspina dopo che i tedeschi
l’hanno abbandonato, la ricerca dei relitti, la magia della scoperta delle
antiche armi, le tracce dei nemici fuggiti che contano solo in quanto
commerciabili. Dopo la guerra c’è la scoperta del mare e l’innamoramento definitivo
per l’acqua, non più solo quella da bere golosamente ma soprattutto quella
salata in cui nuotare e navigare.
La
narrazione al presente accentua l’impressione di un tempo immobile in cui Dario
colloca la ricostruzione minuziosa di un mondo e di un momento di vita, più
statica che narrativa, fitta di episodi e aneddoti che sono vere e proprie
fotografie in movimento. Alla fine sono immagini piene di grazia quelle che
restano in mente, di giochi, di capanne nei boschi, della piccola Laura uccisa
da una scheggia di granata, di passi leggeri di bambini che sfiorano le mine
senza farle scoppiare, dello spettacolo malgrado tutto affascinante dei
bombardieri che spuntano dall’orizzonte con il loro carico di bombe che esplodono sulla pianura con lampi e boati
secchi secondo un disegno geometrico di grande perfezione come la tessitura di
un tappeto. C’è molto altro nelle pagine di questo libro che appare così
smilzo. C’è la vita e c’è la morte viste con gli occhi di un bambino curioso di
tutto e dotato di una memoria eccezionale, capace di arricchire qualsiasi scena
con particolari visivi che la rendono indimenticabile: già allora, occhi di
fotografo.
Completano
il volume la sensibile postfazione di Liliana Lanzardo e una serie preziosa di
fotografie relative al periodo descritto, di Dario e dei suoi familiari.
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