LEZIONI PRIVATE
Domenica mattina. Le
tende spalancate, il sole che entrava a fiotti, rivelando la polvere negli
angoli e qualche ragnatela vigliacca, nascosta sulla tappezzeria a fiori. Maria
Mazzei si stiracchiò, sciabattò in cucina, mise la moka sul fuoco. Sul tavolo
la aspettava il giornale comprato la sera prima da uno strillone. Un lusso, la
domenica, avere il giornale senza dover uscire.
Poi, il rituale delle
telefonate.
"Sì, mamma, sto bene.
Non so ancora che cosa farò. Magari, se ho tempo, passo a trovarti più
tardi."
"Ehi, Giovanna,
ciao! Come è andata ieri sera? Io sì,
con Nicola mi diverto sempre. Va be', diciamo che sono stata bene. Però vorrei
prendere un po' di distanza, non voglio farmi coinvolgere troppo. Magari due
passi nel pomeriggio, fa così bello! Sì, richiamami."
"Oh Nicola, sei già
sveglio? Sì, anch'io ti ho pensato. No, ho da lavorare. Eh, lo so che è un
peccato con questo sole! Ma se non lavoro oggi, avrò una settimana infernale.
Grazie di avermi chiamato. Ti telefono io."
"Chi, Paolo? Ci
conosciamo? Ah, certo. No, mi spiace, non so andare in bicicletta, e poi ho mal
di gola. Sì, va bene, ci risentiamo."
Una doccia, depilazione,
crema su tutto il corpo, maschera di argilla, smalto sulle unghie. Che cosa mi metto? Minigonna di stretch,
camicia di seta viola, sandali con otto centimetri di tacchi, orecchini di
strass a cuore e basta. Né mutande né reggiseno. Se mi vedesse il preside! Non
direbbe niente, mi guarderebbe fisso, colando disapprovazione dagli occhi e
dalla bocca. I miei allievi, invece, si darebbero gomitate ridendo.
E adesso che cosa
faccio?
Maria Mazzei,
professoressa di lettere in un liceo di tradizione, uscì nel sole sfolgorante
del mezzogiorno e fece il giro dell'isolato. Per strada c'era poca gente.
Qualche padre con un bambino per mano, due o tre signore anziane che tornavano
da messa, il solito gruppo di adolescenti vocianti che stazionavano ai
giardinetti, chiamandosi tutto il tempo a gran voce, come per paura di non
riconoscersi l'un l'altro:
"Ale! Vale! Sami!
Fede! Robi! Franci! Tizzi!"
Maria cambiò
marciapiede; di adolescenti ne aveva abbastanza durante la settimana. Comprò un
mazzo di fresie dalla fioraia davanti alla chiesa e tornò a casa. Sul portone incrociò
il ragazzo del terzo piano, quello che incontrava quasi tutte le mattine in
giacca e cravatta andando al lavoro. Ora portava una tuta e al suo fianco
saltellava un cane, un bastardino allegrissimo, bianco e nero. Odio gli uomini
in tuta, pensò Maria, ma questo è proprio un bel ragazzo. Come mai è solo, di
domenica? Forse la sua morosa pranza in famiglia e si vedono al pomeriggio.
"Che carino questo
cane."
"Non è mio, è di
mia sorella. Lo tengo solo per due giorni. Ora mi tocca anche portarlo a passeggio."
"Con una così bella
giornata."
Fermi davanti alla
porta, si guardarono negli occhi per un attimo.
"Perché non viene a
fare due passi?"
Ardito, il giovanotto.
Perché no? Non ho niente da fare.
"Poso i fiori e
torno."
La magia della giornata
di primavera, la passeggiata al Valentino non ancora invaso dalla folla
pomeridiana, il profumo dell'erba nuova, le chiacchiere fitte per conoscersi,
scambiandosi informazioni appena abbellite su se stessi, l'ondeggiare di Maria
sui tacchi inadatti alla circostanza, l'allegria sfrenata del cagnolino ubriaco
di aria e di sole... Per fortuna il cielo si coprì e divenne necessario tornare
a casa prima che scoppiasse il temporale.
"Vuoi venire a
mangiare due spaghetti da me?"
Più tardi, nel letto
disfatto, Maria osservò con irritazione che il suo smalto fresco si era
rovinato. Il telefono aveva trillato tre volte senza che lei rispondesse.
Andrea si era dato molto da fare, in maniera un po' ginnica ed esibita, aveva
fornito, nell'insieme, un'ottima prestazione. Proprio quella parola le era
venuta in mente sul più bello: prestazione. Aveva sorriso, e lui, subito:
perché ridi? Ridi di me? Oh no caro, sorrido di piacere.
Adesso però mi
piacerebbe che te ne tornassi al terzo piano. Invece, ci furono ancora due
Martini, un paio di sigarette, nella penombra del crepuscolo grigio, poi
finalmente Andrea se ne andò. Era un po' verboso, il ragazzo. Un po'
compiaciuto, un po' troppo cosciente della sua rigogliosa giovinezza, ma
nell'insieme simpatico, gentile, persino galante. Maria ridacchiò pensando a
due o tre complimenti a doppio taglio che le aveva fatto. Devo sembrargli
sull'orlo del crollo finale. Era sinceramente stupito che una come me possa
permettersi di andare in giro senza reggiseno, che i miei gusti musicali si
spingano al di là di Lucio Dalla, persino che abbia qualcuno dei libri che
legge anche lui. Se avesse anche un filo di autoironia, sarebbe veramente una conoscenza interessante. Va
be', un modo piacevole di passare la domenica.
Da quel giorno se lo
trovò sovente davanti alla porta di casa, un sorriso d'intesa sul volto ben
sbarbato, ogni tanto due fiori o una bottiglia di vino in mano. Sempre vino
rosso, che lei non poteva soffrire. La baciava, la spingeva in camera da letto,
scopava con grande energia, e parlava, parlava mentre lei, svagata, pensava ai
fatti suoi. Gli bastava un 'eh già' o un 'ma davvero?' ogni tanto. Maria aveva
sempre trovato rilassanti gli uomini che parlano tanto. Erano piacevoli quegli
incontri senza impegno, la distraevano dalle storie più complicate vissute con
altri, uomini della sua età con un mucchio di problemi, mogli, figli, lavoro,
curiosi di lei, pieni di richieste, esigenti. Andrea non aveva grandi esigenze:
chiedeva solo un applauso per le sue esibizioni sessuali, un orecchio per le
sue parole, un bicchiere di Martini. Non le faceva mai una domanda. Suonava
alla porta, se lei rispondeva andava dritto allo scopo, se no scendeva al terzo
piano e si ripresentava il giorno dopo.
Andrea aveva un vizio
segreto: scriveva. Spesso le raccontava i suoi successi, l'applauso inebriante
ricevuto alla premiazione del concorso 'Una poesia per la pace', il racconto
pubblicato sulla rivista trimestrale 'Cultura e società', i complimenti della
giuria, le proposte di pubblicazione a pagamento che gli erano piovute addosso
dopo il premio. La prima volta lei aveva ascoltato con interesse, poi a poco a poco era scivolata negli 'eh
già' di sempre. Intanto pensava: 'e se mia madre quest'estate non trova nessuna
amica con cui andare in montagna, io che faccio? Piuttosto che passare anche
solo quindici giorni con lei, mi spacco volontariamente una gamba. Certo Nicola
andrà al mare con i figli, non avrà nemmeno un giorno libero per me. E se mi
chiamano per la maturità? Sono troppo stanca, non posso proprio lavorare tutto
luglio. In California con Giovanna, manco a pensarci. Non mi sento né Thelma né
Louise. Cazzo, ma un uomo gentile con cui fare un viaggio non esiste in nessun
angolo del mondo? Che vita di merda la mia, quarant'anni e ogni anno lo stesso
problema, come passare le vacanze.'
Ogni tanto le arrivava
una frase di Andrea, 'lui ha detto che con il mio talento non posso che
sfondare presto', 'in fondo non è vero che solo chi è già nel giro riesce a
pubblicare', 'ieri sera vedendo una falena ho pensato che', 'io sono fatto
così', 'le voglio proprio provare tutte', 'non credi anche tu che un aquilone
in cielo sia un'immagine bellissima?', 'ho in testa la storia di una barbona
che capisce la poesia meglio di qualunque
critico'.
Oh certo, sì sì sì. Gli
dava un bacino sul petto, allungava una mano in posti strategici, ansimava un
po' ed ecco che lui ricominciava. Come sei riposante. Che fortuna averti
incontrato quel mattino di aprile. Continua ad agitarti e a parlare, che va
bene. Intanto io mi rilasso.
Un sabato sera ozioso
(di solito non si vedevano di sabato, lei aveva altro da fare e lui se ne stava
al computer, esaltato dalla musa e dal Martini fino alle ore piccole) Maria
cedette a un impulso d'affetto. In fondo, l'aveva salvata da una serata di solitudine,
suonando alla sua porta proprio quando Nicola le aveva appena detto che la
moglie era andata al mare rifilandogli i ragazzi.
"Fammi leggere le
tue cose" gli mormorò nel collo.
Lui corse al terzo piano
e tornò in un baleno con un plico di manoscritti, una pila di riviste, con la
stessa sollecitudine dei suoi allievi quando consegnavano un tema.
"Li leggo
subito" disse lei, e si addormentò appena Andrea fu uscito.
La mattina dopo, alle
nove, lui suonò alla sua porta. Maria, strappandosi a fatica da un sogno
consolatorio, gli aprì in pigiama. Sulla faccia di Andrea c'era un'espressione
che lei conosceva bene.
'Professoressa, ce li ha
portati i temi?' le risuonò nelle orecchie.
Cazzo, i temi! Non ho
proprio avuto tempo, ragazzi. Ma davanti alla faccia ansiosa di Andrea non osò
dare la solita risposta. Mentre il caffè usciva gorgogliando dalla moka, le sue
labbra formularono spontaneamente una bugia.
"Sono stata sveglia
tutta la notte a leggere. Stupende le tue poesie, le preferisco persino alla
prosa. Dammi qualcos'altro."
Solo che Andrea non era
facile da distrarre come gli studenti. Le diede giusto il tempo di bere il
caffè, poi cominciò a fare domande precise, 'che cosa esattamente ti è
piaciuto, perché più le poesie dei racconti, ma non ti sembra che il
personaggio del vecchio anarchico sia proprio ben riuscito? e della 'Canzone
del rospo solitario', che cosa ne pensi? Ti sembrano più azzeccate le metafore
o i paragoni? Io ho tutta una teoria sui paragoni, vediamo se l'hai capita
bene, ne parla Caterina in 'Passeggiando con un gelato in mano''. Parlava e
parlava, certo, ma si aspettava anche delle risposte. Maria non sarebbe stata
all'altezza della situazione neanche dopo tre caffè e una brioche, figurarsi
con solo mezza tazzina nello stomaco. Cominciò a sentirsi confusa e imbarazzata
come all'università, quando tentava un esame senza essersi preparata, contando
sulla presenza di spirito.
Dopo un po', Andrea
smise di parlare e la guardò negli occhi.
"Ma allora non hai
letto niente!"
A Maria si strinse il
cuore vedendolo così dispiaciuto. Balbettò qualcosa, 'era tardi, ero un po'
assonnata', ma lo sguardo ferito di Andrea la accusava di assassinio, rapina,
stupro, malversazioni, percosse agli animali, strage nella metropolitana. Cercò
di rimediare baciandolo. Inutile, lui la respinse, corse in camera da letto a
ricuperare le sue opere, la spiaccicò sul pavimento con un 'bugiarda!' a mezza
bocca, e uscì sbattendo la porta.
Maria rimise la moka sul
fuoco, prese uno yogurt dal frigorifero e vi affondò il cucchiaino guardando il
mattino pieno di sole fuori dalla finestra. Cominciava a provare un certo
sollievo, insieme alla pena al pensiero di Andrea, solo nel suo appartamento
polveroso, che certo stava sfogliando ansiosamente i suoi manoscritti,
chiedendosi come aveva potuto affidarli a una simile sciacquetta.
Suonò il telefono.
"Sì, mamma, magari
più tardi faccio un salto."
"Oh Giovanna, con
una giornata così possiamo andare a mangiare qualcosa sul Po."
"Nicola, da dove
chiami? Come stanno i ragazzi? No, non ho voglia di venire al cinema. C'è
troppo sole."
"Paolo? Ne è
passato del tempo! No, scusa, sembra che lo faccia apposta, ma sono allergica a
tutto e con questo tempo sono costretta a restare tappata in casa. Dammi il tuo
numero, ti richiamo io."
Mi sono persa un amante
giovane e vigoroso, pensò facendo la doccia. Queste sono certo le parole con
cui si definisce Andrea pensando a me: un amante giovane e vigoroso. Gliel'ho
letto in faccia decine di volte mentre facevamo l'amore. Un amante giovane e
vigoroso insieme a una donna di quarant'anni assetata di sesso. Speriamo che
non scriva come pensa.
Uscì sul balcone che
dava in strada per asciugarsi i capelli al sole. Andrea era lì sul marciapiede
e stava buttando una borsa di plastica piena di carte nel cassonetto della
spazzatura. Oh povero ragazzo! Ora lo chiamo e gli dico di non fare lo scemo,
non è così grave che ieri sera io abbia trascurato i suoi parti letterari, se
mi avesse dato tempo li avrei letti di sicuro. Per un attimo si sporse dal
parapetto, poi nelle orecchie le risuonarono tutte le parole che lui avrebbe
impiegato per spiegarle il suo tremendo delitto. Rientrò in casa e chiuse piano
piano la portafinestra. Una lezione di vita, pensò. Potrà farne un racconto. Ci
siamo fatti del bene a vicenda. Lui mi ha fatto risparmiare un sacco di Valium,
e io gli ho dato un argomento su cui scrivere. Non si è professoresse per
niente.
(Non ho trovato la data di scrittura, ma immagino che possa situarsi intorno al 1990, più prima che dopo).
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