Le letture che si fanno in viaggio sono importanti perché acquistano profumo e sensi dai posti che ci stanno intorno. In questi giorni non sono stata fortunatissima - su tre libri che ho letto, due sono dei bei no rotondi e uno un sì.
Cominciamo dai no. Visto che mi trovo in Grecia, mi sono fatta tirare a leggere l'ultimo
Petros Markaris, Il
prezzo dei soldi (ediz. originale 2017), tradotto in italiano da Andrea Di Gregorio, che mi ha confermato i motivi per cui, dopo l'entusiasmo iniziale, ho smesso di leggerlo: una trama tutta telefonata (non succede niente se non degli ammazzamenti), un pensiero piuttosto elementare (qui si
![](webkit-fake-url://276fdaff-a5e3-4697-9197-a616300704ad/imagejpeg)
tratta della ripresa della Grecia, inizialmente attribuita a un voto fatto dalla moglie del commissario Charitos di digiunare per tutta la quaresima, poi spiegata con loschi spostamenti di denaro sporco - e qui sta tutto il succo) e per il resto uno stanco ripetersi sulle beghe tra colleghi poliziotti (di interesse veramente men che minimo), Adriana con i suoi proverbi e le sue ghemistà, i cenni al passato e il comunista in disarmo Zizi, Caterina e le sue banalissime vicende (nel prossimo volume sarà sicuramente incinta). Insomma, tempo sprecato e basta. Per fortuna è corto, e adatto a una lettura spezzettata.
Peggio mi sento con
Apparenti suicidi di
Stuart MacBride, tradotto da Fracesca Noto, una serie di
![](https://3.bp.blogspot.com/-vRwZCSGlDKU/Wc9kzJbbqQI/AAAAAAAAFlM/dkN8-pMkmo0yDoRQNlKUDUUt0cd-Foo0QCLcBGAs/s1600/macbride.jpg)
brevi racconti thriller (o noir? non ho mai capito la differenza) legati da un'unità di luogo, Oldcastle in Scozia, e di tempo, i giorni precedenti il natale, e collegati circolarmente l'uno all'altro da personaggi che rispuntano e si sviluppano. E questo, l'aspetto strutturale, è il più interessante. Per il resto le storie, tutte raccontate dal punto di vista della vittima o del cattivo, sono abbastanza prevedibili e soprattutto talmente caricate di paradossale violenza, cattiveria, sfiga, coincidenze sovrabbondanti e intrecci esagerati, da risultare stucchevoli e emanare sovente un fastidioso sentore di moralismo. Ma soprattutto il troppo stroppia, e MacBride esagera davvero con la sua programmatica perfidia, di modo che man mano che si va avanti nella lettura l'interesse diminuisce e l'attenzione crolla.
Per fortuna c'è il sì, che proviene dalla (ri)lettura di un classico che a suo tempo mi aveva incantato e questa volta mi ha di nuovo pienamente convinta:
Il ponte di San Luis Rey di
Thornton Wilder. Un libro strano, complesso, per niente ruffiano né legato alla contemporaneità. Ma la ricostruzione delle vite spezzate come nel 1714 a Lima in Perù si spezza il ponte di vimini costruito dagli Incas, è affascinante come il mondo remoto che ne scaturisce. Nulla accomuna la nobildonna pazza all'orfanella né agli altri crollati nell'abisso se non il momento della morte, e questo spinge frate Ginepro, che è scampato al disastro, a interrogarsi sul disegno divino che sta dietro all'accaduto. Ma nel romanzo prevalgono l'aspetto umano, le vicende palesi e i sentimenti segreti dei personaggi. Un gran bel romanzo, la cui edizione originale è del 1927, tradotto da Maurizio Bartocci.
Nessun commento:
Posta un commento