martedì 23 febbraio 2016

La reinvenzione dell'Eden: Roberta Anau, Un'ebrea terra terra

Roberta Anau con Francesca Mogavero (Golem Edizioni)
A cinque anni di distanza da Asini, oche e rabbini, Roberta Anau ci consegna l'ideale proseguimento della sua autobiografia iniziata proprio con quel bel romanzo, affrontando i lati della sua vita più recente che erano rimasti un po' in ombra. I temi sono sempre quelli, grandi e spesso gravi, ma affrontati da Roberta Anau con piglio garibaldino che lascia trapelare appena, qua e là, un sottofondo pulsante di dolorosa inquietudine. Si parla quindi di ciò che accade dopo che l'autrice e il suo compagno di vita si traferiscono alla Miniera, ora lussureggiante e addomesticato agriturismo, ma all'inizio territorio selvaggio che si estende su un pendio scosceso e boscoso, crivellato di gallerie in abbandono, infestato da bestie e umani da cui bisogna difendersi per sopravvivere.

In questo Eden canavesano i due sono Adamo e Eva, che talvolta si trasforma in Santippe. Così se il ritratto di Adamo è impietoso, a Eva non viene risparmiato niente. Lei è la protagonista assoluta, lui un pallido e silenzioso comprimario, tutti gli altri semplici comparse. I personaggi vicini sono definiti con soprannomi, come Sorella Ela e Fratel Cucciolo, per tenere a distanza il rovente aubiografismo di cui è impastato (per usare una metafora culinaria che si addice a pennello) il testo. Ma veramente magistrale è la scrittura, frizzante, in continuo alternarsi di registro alto e basso, ruvida ma sapientissima, maestra nel dominare con mano ferma la materia scivolosissima del ricordo, veloce, nervosa, concreta, e abbondantemente speziata da termini ebraici, ferraresi, piemontesi ecc (cui è dedicato un apposito e provvidenziale glossario) ricca di un'ironia che le procura il grande merito di non cedere mai al compiacimento né agli abbandoni lirici o allo psicologismo cui l'argomento si prestava, costellata inoltre di allegri acrostici in rima. Questa scrittura barocca, debordante, amante dei sinonimi e degli elenchi, lussureggia e ribadisce con forza senza rifuggire dall'espressione dialettale né dalle parolacce estemporanee e assai gustose. 

La Miniera è il grande amore, il progetto in cui si intravede il futuro, che dà speranza e soddisfazione, e anche il motore da cui parte la seconda vita di Adamo e Eva, che vi si dedicano secondo le rispettive inclinazioni. Il lavoro manuale, il contatto con la terra, permette a Eva di farsi pioniera nel deserto, di creare un giardino là dove c'erano solo pietra, ferro e terra rossa e riappropriarsi dell'Eden da cui è stata scacciata.
E questo spiega anche il primo significato del titolo, cioè un'ebrea che la terra la tocca, la lavora, ci si sporca le mani e così facendo riscopre il suo ebraismo, se ne appropria orgogliosamente e lo approfondisce: il cambiamento dà impulso all'apprendimento, smentendo il secondo significato (un'ebrea che conosce poco la sua cultura). Ll'Eden diventato agriturismo si riempie anche degli amatissimi animali tra cui primeggiano cani e oche, mentre l'autrice si dedica a perfezionare una sua passione, cioè la cucina con cui conquista gli ospiti, diventando una nota esperta di cucina ebraica, invitata a convegni, eventi, giornate di cultura ebraica e trasmissioni televisive. Esplora la cucina della tradizione, abbandonando progressivamente le abitudini non kasher (fantastico il tormentato rapporto di Roberta Anau con il maiale, che assurge a statura quasi mitica nelle sue parole e faceva già capolino in Asini, oche e rabbini) e recuperando le ricette che facevano sua madre e sua nonna, i piatti delle feste, i rituali familiari e della comunità.

Gli inverni sono lunghi e bui alla Miniera, propizi alla lettura e soprattutto alla scrittura. Così nasce Asini, oche e rabbini che, oltre a meritare alla sua autrice allori e soddisfazioni, la riporta a Ferrara, la città dell'infanzia e della prima adolescenza, delle radici, dell'ebraismo come identità condivisa. Qui i personaggi si fanno numerosi, oltre alla formidabile mamma Fernanda e al nonno piemontese Orazio compaiono i nonni ferraresi, zii malcompresi, vecchi amici che riemergono dalla polvere dei ricordi, e si fanno inaspettate scoperte di segreti familiari. Ferrara riconquistata diventa l'altro polo della vita di Roberta Anau, alla pari con la beneamata Miniera. E non si può concludere altrimenti che con le sue parole: Mi porto appresso ingredienti, conserve, strumenti personali e un orgoglio solitario, ennesima dichiarazione di diversità, dato che sento di rappresentare una minoranza nella minoranza, e comunque una vera bestia rara. Essere più rari che unici è sempre meglio del contrario, e negli anni con qualche altra rarità sono venuta a contatto.

 
   

 
 

Nessun commento: