Dovrò
eterna riconoscenza all’amica Claudia che mi ha regalato questo romanzo, lettrice di
grande sensibilità oltre che raffinata scrittrice. È molto che non incontravo
un libro che mi desse questo senso di perfezione. Una storia che più esile non
si può: una trentasettenne indipendente, Tsukiko, incontra un suo ex professore
di liceo sui settanta. Frequentano lo stesso locale dove si recano a bere in
solitudine, a mangiare, a scambiare due parole con il padrone. Siedono accanto
al bancone, scelgono le stesse pietanze senza accordarsi, bevono le stesse
bevande, si ubriacano senza rimorsi, si parlano senza raccontarsi niente. Non si
mettono mai d’accordo per incontrarsi, lasciano fare al caso. A poco a poco si
avvicinano, fanno qualche passeggiata insieme, una gita, una merenda sotto i ciliegi.
Si danno sempre del lei. Il professore tratta Tsukiko come quando erano al
liceo, dove aveva fama di tipo ostinato e severo. Però la tratta anche con
dolcezza, anzi, con accoglienza, senza giudicarla. Lei vorrebbe avvicinarsi di
più, vuole amore, intimità, lui non si scosta ma tra di loro c’è un muro d’aria
che si comprime senza cadere. Parlano di cose quotidiane, bisticciano per il
baseball, mangiano misu, polipo, balena, abalone, funghi, tofu, alghe, bevono
birra e sakè, si interessano al cibo, alle bevande. Il professore interroga
Tsukiko, lei non osa fargli domande. Ma è amore: un amore totale, pieno di
pudore e dignità ma anche di tenerezza, di calore del corpo, di nostalgia e di
perfezione. Non voglio però fare torto a La
cartella del professore estraendone significati che la magnifica autrice ha
affidato esclusivamente a gesti minuti, a notazioni minime, a parole sempre
concrete. Questo romanzo ha la necessità, l’assolutezza delicata e priva di
esibizionismo della pittura giapponese, un ramo di fiori di ciliegio o una
nevicata sull’acqua. Crea due personaggi e un mondo con il minimo di tratti,
come una calligrafia. Si vorrebbe che non finisse mai. E io, che sono nemica
delle emozioni e quando leggo mi faccio prendere solo a livello di piacere
estetico, alla fine mi sono anche commossa. Eppure non riesco a immaginare una
scrittura meno di pancia, meno ruffiana.
Kawakami
Hiromi è nata nel 1958 e questo è il suo primo romanzo che pubblicato in
Italia, nella limpida traduzione di Antonietta Pastore. Jiro Taniguchi ne ha
tratto una graphic novel intitolata Gli
anni dolci, Rizzoli 2010.
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