Allora, due parole di avvertimento: non credo che questo libro sia tradotto in italiano (almeno, io non ho trovato nessuna traduzione in rete) perciò va letto in inglese, inoltre richiede una certa conoscenza dell'India o almeno una passione. Secondo me è indispensabile anche leggerlo in ebook perché il dizionario incluso permette di comprendere i numerosissimi termini angloindiani utilizzati dall'autore, e il ricorso a Wikipedia chiarisce le allusioni a avvenimenti e personaggi citati. Ma vale la pena, vi assicuro, vale davvero la pena di leggerlo.
Khushwant Singh è uno scrittore potente, irriverente e interessante; consiglio vivamente, oltre al suo libro più famoso,
Quel treno per il Pakistan, il trasgressivo e commovente
Delhi, e
La compagnia delle donne. Ma ce ne sono tanti altri che meritano di essere letti.
Questo
The Sunset Club, il Club del Tramonto, Kushwant Singh l'ha scritto a novantacinque anni: e già questo sarebbe un motivo di interesse, ma in realtà non ne ha affatto bisogno. E' un libro incantevole, e basta. Tre amici, tutti e tre personaggi pubblici e di successo ormai pensionati
ultraottantenni, tutti i giorni, nel tardo pomeriggio, si ritrovano su
una panchina nei Lodhi Gardens a Delhi, davanti al Bara Gumbad, antica moschea Mogul molto amata
perché la sua cupola ha la forma della mammella di una ragazza. Sharma è un bramino rigido, ascetico e bacchettone, conservatore in politica, che vive con una sorella nubile che lo tiene a stecchetto; il ricco nawab Baig è un musulmano bon vivant, amante dell'alcol, del fumo e delle donne, con una moglie sollecita che veglia sul suo benessere e gli racconta le notizie interessanti del giornale mentre lui si limita a leggere i necrologi e i risultati sportivi; il sardar Boota Singh è un Sikh libero pensatore, irriverente, pronto a spararle grosse e lucido osservatore della vita, vedovo, propenso alla bottiglia, in cui si può riconoscere l'autore.
La vicenda comincia il 26 gennaio 2009 e si conclude il 15 gennaio 2010. Scandite dai mesi e dal cambiare
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Bara Gumbad, Lodhi Gardens, Delhi |
delle stagioni a Delhi, non solo sfondo ma protagonista al pari dei tre chiacchieroni sulla loro panchina, le loro deliziose conversazioni vertono sui temi più svariati: la religione, su cui Boota ama provocare il bigotto Sharma e confrontarsi con l'orgoglioso Baig, la politica che tocca avvenimenti scottanti del momento e chiama in causa il giovane passato dell'India indipendente, il sesso su cui, come due scolaretti indisciplinati, Baig e Boota si scambiano ricordi e confidenze spudorate quando non c'è Sharma, le difficoltà di evacuazione che costituiscono un argomento appassionante da sviscerare (è il caso di dirlo) fino in fondo soprattutto per Boota, la modernità che arriva anche nei Lodhi Gardens, la vita locale, le fioriture e il clima di Delhi, il cibo, il whisky amato da tutti e tre e mille altri. Spesso, per concludere una discussione, Baig cita uno dei suoi amati poeti mogul, primo fra tutti il grande Mirza Ghalib. Non si vorrebbe mai smettere di origliare i loro discorsi, ma quando comincia a fare fresco arrivano i servitori con gli scialli per coprire le vecchie spalle dei loro padroni e convincerli a tornare a casa.
Come ho già detto questo libro si apprezza meglio se si conosce almeno un po' l'India. Ma può essere letto anche come propedeutico a un incontro con quel merviglioso e spaventoso paese, che lascia sempre un segno in chi lo visita. E poi, scusate la rozzezza della mia traduzione, come dice l'autore nella
Apologia iniziale:
I miei lettori potranno pensare che quello che scrivo è di cattivo gusto - inaccettabile in una compagnia beneducata. Così sia. Non sono mai stato conosciuto per la mia cortesia o correttezza. Se siete offesi da qualcosa in questo libro, mettetelo via.
2 commenti:
Mannaggia mannaggia... ma perché non inventano le pillole "imparalingua" che la sera ne prendi una e il mattino dopo sai la lingua che desideri?...
Adorerei questo libro, come ben puoi immaginare. Ma la mia "conoscenza" (ah ah!) dell'inglese fa sì che io possa leggere al massimo i fumetti, e non certo quelli complessi (tipo Alan Moore o Grant Morrison). Uffah. E ancora uffah.
Un bacione!
Sai che io penso sempre che se dovessi chiedere un superpotere, vorrei quello di parlare tutte le lingue. Vorrei la fiammella della Pentecoste! Per il momento ti abbraccio.
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