AA VV, RACCONTI DELL’ANATOLIA, a cura di Necdet Adabağ, Gremese 2008
Questo
interessante volume è pubblicato con il patrocinio del Ministero della Cultura
e del Turismo della Repubblica turca, e curato dal Dipartimento di
Italianistica dell’università di Ankara “con l’intento di diffondere la
conoscenza della novellistica di carattere realistico e fantastico”. Non è
citato il traduttore perché vari nomi (alcuni italiani, altri turchi) si
alternano da racconto a racconto. Una breve e chiara introduzione di Ayşenur Külahlioğlu Islam, docente di
Letteratura turca moderna all’Università di Başkent, è tutto il paratesto che
viene fornito al lettore, se si eccettuano le brevi, e davvero poco
soddisfacenti, note biografiche degli autori, dal più “antico”, nato nel 1883,
al più giovane, nato nel 1964. Per esempio, sarebbe stato utilissimo sapere
l’anno di pubblicazione di ogni racconto, ma non se ne fa cenno.
I
testi sono ben trentacinque, alcuni brevissimi altri più corposi, e non da
tutti è possibile farsi un’idea del valore dell’autore, ma nel complesso
l’interesse del volume supera di gran lunga la frustrazione. Non posso dire di
essermi fatta un’idea della novellistica turca, ma certo ho potuto cogliere
alcune indicazioni molto stimolanti. Ad esempio la grande diffusione di temi
surreali, onirici, metafisici, e la scarsità di bozzetti, molta vita
metropolitana e poca campagna, amore declinato nei temi dell’incomunicabilità
(perdonate la parolaccia!) più che della passione o del dramma. Ben tre
racconti sono di ambiente carcerario, alcuni affrontano il destino femminile ma
di sbieco, senza polemica né tragedie, e non sono solo le donne a scriverli.
Tra i trentun autori sono riuscita a identificare sette scrittrici, ma siccome
i nomi turchi non mi sono familiari e nelle note spesso non c’è nessun
aggettivo né pronome che permetta di distinguere il sesso, può darsi che ce ne sia
qualcuna in più. Certo bisogna tenere conto dei criteri di scelta e dei gusti
del curatore, ma colpisce la scarsità di temi sociali affrontati direttamente,
mentre sono molte le osservazioni interessanti che si possono fare spigolando
nei testi di qualsiasi argomento. Tra i racconti che mi hanno colpito di più,
il bellissimo La voce di Sabahttin
Ali (1907-1948), struggente apologo sui danni che può combinare l’incontro tra
un talento naturale del canto e un benintenzionato pasticcione; il tentativo un
po’ ingenuo ma illuminante di affresco sociale utilizzando l’unità di luogo e
di tempo di una serata in un grande palazzo, Il palazzo Çalişkur sotto la luna di Haldun Taner (1918-1994); Le lettere, di Tahsin Yücel, in cui un
condannato viene condotto al patibolo in un’atmosfera di profonda compassione
umana nella miseria condivisa dell’analfabetismo e della miseria; gli altri
racconti carcerari, Lupo di Erdal Öz
e Un ragazzino di nome Bariş di Sevgi
Soysal, i cui protagonisti sono rispettivamente un sindacalista torturato e un
gruppo di ragazze appartenenti a organizzazioni terroristiche di estrema
sinistra; L’eletta, che regala un
piccolo stringimento di cuore con un equivoco, la vicenda di una ragazza che
prende sul serio le teorie del giovanotto che ama precludendosi così la
possibilità di essere ricambiata.
Spesso
i libri che recensisco sono davvero marginali, e questo è un esempio perfetto.
Non so quanti possano essere i lettori che visitano un blog augurandosi in cuor loro di trovarvi la
recensione di un’antologia di racconti turchi. Eppure io penso che questo sia
un libro importante, e meriti di essere conosciuto. Certo non è divertente come
un thriller svedese, e anche recensirlo non è stato facilissimo. Ma apre una
tendina, uno spiraglio su una letteratura e un mondo di cui conosciamo poco, a
parte il sublime Orhan Pamuk e la pateracchiosa Elif Shafak, e di ultimo forse
Mario Levi (presente nell’antologia). La Turchia forse non preme più con convinzione per
entrare in Europa, e sta abbandonando la sua ormai lunga storia di
laicità per un ritorno a un Islam più aggressivo. È un paese giovane e in
grande sviluppo, molto più moderno di quanto ci possiamo immaginare guardandolo
di qua. È organizzato e credo abbia molte risorse. Si può essere d’accordo o no
sulla sua entrata in Europa (io per esempio non lo sono affatto) ma vale la
pena di cercare di conoscerlo. Se non si può o non si vuole andarci (un gran
peccato, è anche un paese affascinante, gravido di storia come forse nessun
altro, pieno di città vivaci, con un’ottima cucina, buoni alberghi, strade ben
tenute, prezzi ottimi, gabinetti puliti e a pagamento ogni due passi come
neanche in Giappone – segno inconfondibile di civiltà), cominciamo con la
cultura. Qualche film arriva, qualche libro anche. Sarebbe ora che imparassimo
almeno a non confondere i turchi con gli arabi, come capita a molti, troppi
italiani anche acculturati.
Mehmet Yashin, Il vostro fratello nel segno dei
pesci, Gremese 2010, traduz. dal turco di Rosita D’Amora e Anna Lia Proietti
Di
nuovo dalla casa editrice Gremese, benemeritissima e coraggiosa, arriva questo (che
chiamo romanzo anche se romanzo non è) interessante e coraggioso esperimento
narrativo di Mehmet Yashim. Non vorrei che esperimento
suonasse come riduttivo, non è affatto nelle mie intenzioni. Ma Il vostro fratello nel segno dei pesci,
uscito nel 1994 in Turchia, prima opera narrativa molto acclamata e premiata
nel 1995 del premio Cevdet Kunder di un autore già ben noto come poeta, ha
molti elementi di originalità, e la struttura è il primo. È quel tipo di libro,
per intenderci, che da noi avrebbe difficoltà a essere pubblicato e anche,
preventivamente, a essere scritto. Opera liberissima, preoccupata solo di se
stessa, della sua armonia interna, del suo significato spezzettato e ripetuto ma
evidentissimo, della sua lingua ricchissima, delle sue immagini nervose e dei
personaggi precisi e sfuggenti insieme. Si presenta come una serie di racconti,
o di storie per meglio dire, che hanno tutte come centro l’identità – o il
rifiuto dell’identità. L’autore è nato nel 1959 a Nicosia, turco cipriota, e
questo la dice già lunga. Vive tra Nicosia, Istanbul e Cambridge, ha passato
lunghi anni in esilio, ha vissuto nell’infanzia i traumi della guerra
greco–turca a Cipro. I suoi personaggi, tra cui due, Michel e Memet sono forse
dei suoi alter ego, ritornano da una storia all’altra e si dibattono tra le
loro identità multiple: sono turchi con madri greche e padri circassi, ebrei
ciprioti, ragazzi occidentalizzati in un paese tradizionalista, costretti a
farsi passare per stranieri per non essere oggetto di scherno e riprovazione,
sono ragazze libere di famiglia kemalista con madri musulmane osservanti,
parlano indifferentemente turco, greco o inglese, vogliono essere chi sono,
senza etichette che comunque non esistono per descrivere la loro diversità. Non
è un libro facile, Mehmet Yashin è poeta e si sente, ha una immaginazione
fervida, sa mescolare molti linguaggi e molti registri, al lettore chiede di
essere sempre all’erta e seguirlo con fiducia su sentieri talvolta impervi. Ma è
uno di quei libri che riservano un grande premio a chi si addentra nelle loro pagine:
umanità, dolore e allegria, incanto delle parole e stimolo per il pensiero.
Alle
traduttrici, Rosita D’Amora e Anna Lia Proietti, tutta la mia ammirazione per
un lavoro che immagino molto complesso.
2 commenti:
Ciao Consolata. Mmmhhh, un buon pezzo che fa venire l'acquolina in bocca... Che ne diresti di fargli fare un giro su LN out-of-print? Fammi sapere, un grosso abbraccio, Max.
of course! onoratissima caro max.
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