Tra le molte immeritate fortune di cui ho beneficiato nella mia vita c'è anche quella di abitare a due passi dal cinema Massimo, il che mi permette di vedere bei film decidendolo all'ultimo momento e correndoci, per così dire, in pantofole. Ieri ho finalmente colmato una vergognosa lacuna: ho visto Il gabinetto del dottor Caligari (Robert Wiene, 1920) in una copia restaurata dal laboratorio italiano L'immagine ritrovata della Cineteca di Bologna. Non vi farò l'affronto di raccontare la storia che sicuramente conoscete, dirò solo che che c'è un villaggio tedesco, una fiera annuale, un ambiguo dottore che espone al pubblico un sonnambulo che risponde alle domande di chi lo interroga, un assassino in libertà, una fanciulla in pericolo, due studenti innamorati della suddetta fancuilla, eccetera eccetera.
Non sarò certo originale dicendo che ne sono rimasta stregata. Come già l'anno scorso con Metropolis, mi hanno affascinato soprattutto le scenografie e la recitazione. Scenografie geniali, fondali dipinti che sono il massimo dell'espressionismo, semplici come concezione (fondali appunto) ma capaci di ricreare un paesino con le stradine medievali, le prospettive distorte che rispecchiano l'incubo e la follia che le genera dando un senso di incertezza, di precarietà, di vertigine incontrollabili e di grandissima bellezza visiva. Anche gli interni sono meravigliosi, claustrofobici per distorsione e sempre aperti sull'esterno con grandi vetrate e spacchi di luce come lacerazioni.
La recitazione è anch'essa superespressionista, antinaturalistica, e irresistibile. Soprattutto il dottor Caligari, un Werner Kauss talmente diabolico da risultare sublime. E mi hanno preso il cuore le ragazze alla fiera, i gendarmi, gli impiegati del municipio, il tipo dell'organetto con la scimmia, i signori in cappello (cappello alto ma non proprio a cilindro cui non sono riuscita a dare un nome) pronti a intervenire per ristabilire l'ordine, e naturalmente gli incantevoli pazzi nel cortile del manicomio. Ma il rovesciamento di punto di vista narrativo alla fine, oltre a sorprendermi perché nella mia santissima ignoranza non me l'aspettavo, mi ha fatto pensare molto, ripensare al senso di tutto il film, al perché di quella straordinaria scenograzia, al potere del cinema... e mi ha anche fatto ripensare a film come Il sesto senso o The others, che evidentemente non sono così originali in fondo. Proprio vero che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, e nemmeno nel buio della sala cinematografica.
4 commenti:
Davvero bello, Il gabinetto del dottor Caligari. Gli anni '20 del secolo scorso sono stati grandi.
Quando ero molto giovane ho seguito tutta una rassegna sul cinema espressionista tedesco al CUC, ma era troppo presto per poterli apprezzare davvero. Adesso sembra incredibile la creatività che c'è dietro a un film come questo, sia tecnica che artistica, rispetto ai pochi mezzi a disposizione.
Ho visto una copia, non proprio restauratissima, del Kabinet nel 1990, al corso di cinema dell'Università tenuto da Daniele Tomasi e anch'io ne sono rimasto incantato!
Tra l'altro fu proprio durante quella proiezione che ebbi una (soggettivissima eh!) "iluminazione" improvvisa: la Magia esisteva ed era il Cinema! Cos'altro se non il Cinema ci permette infatti di vedere - e dunque dialogare con - i morti?...
(La proiezione successiva fu Vampyr di Dreyer, altro capolavoro, a mio parere assai diverso dal Kabinet, che se non hai visto ti consiglio vivissimamente)
@ Orlando: se trovo Vampyr non me lo perdo. Magari l'ho visto a suo tempo, ma come ho già detto a Massimo ero troppo giovane e gnurante per capirlo. Eh sì, penso anch'io che il cinema sia magia. Ma io mi spingo più in là, e ti dico che anche la fotografia è magica. Molto. Ciao e a prestissimo.
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