giovedì 30 maggio 2019

Panait Istrati, qualsiasi opera va bene, sono tutte bellissime: Le récits d'Adrien Zograffi

 Questo non è un post come gli altri, ci tengo in particolar modo in quanto parlo di un mio grande amore, Panait Istrati, di cui ho appena finito di leggere Les récits d'Adrien Zograffi. Di Panait Istrati io ho letto molti anni fa, e come prima cosa, il meraviglioso Kyra Kyralina (recensione, edito per la prima volta nel 1978 nella benemerita Universale Feltrinelli) di cui non mi stancherei mai di parlare (Les chardons du Bagaran, Il bruto), e mi ha davvero folgorato. Allora ho continuato a leggerlo (La famiglia Perlmutter),e alla fine sono riuscita a trovare in rete questo Les récits d'Adrien Zograffi vol. I, II, III, IV, che comprende Kyra Kyralina, Oncle Anghel, Presentation des Haiducs e Domnitza de Snagov, Edizioni BZ, per 1,11 €, in una versione ottima, con dizionari inclusi, note, ben impaginata ecc. Certo è in francese, perché l'autore scriveva in questa lingua, e solo in un momento successivo ha tradotto in romeno qualcuna delle sue opere. Ma si trovano anche molte opere tradotte in italiano o in inglese, la maggior parte a prezzi irrisori o addiritura gratuite. Non sono l'unica a amare Panait Istrati con passione e dedizione. Leggetelo, e ditemi se non è uno scrittore assolutamente meraviglioso, indispensabile.   

Panait Istrati a Atene con Nikos Kazantzakis
In questa raccolta, nel II, III e IV volume si parla estensivamente degli Haiduc, banditi idealisti che si davano alla macchia vivendo nei boschi e nelle montagne della Romania per difendere gli abitanti, i contadini e gli schiavi, oppressi e sfruttati dai boiardi locali, dall'Impero Ottomano, dai commercianti greci, dalla Russia o dalle potenze occidentali che talvolta ficcavano il naso da quelle parti nella speranza di guadagnarci qualcosa. Siamo alla metà dell'Ottocento, dopo la guerra di Crimea, e la Romania sta cercando faticosamente e dolorosamente di ottenere l'unificazione. Gli haiduc sono una compagnia disparata, composta da persone di ogni genere, compresi appartenenti al clero, e dopo la lunga supremazia di Cosma, la direzione del gruppo e delle sue operazioni è presa da una donna, la bella e tostissima Florea Codrilor. Di ognuno Panait Istrati ci narra passato, motivazioni, imprese, illustrando così la storia del suo paese ma soprattutto il suo pensiero libertario, la sete di giustizia, il dolore della povera gente, e la bellezza dei selvaggi boschi in cui si nascondono.

Non sto a raccontare le storie perché sono veramente molte, e la bellezza di questi scritti è anche la
loro labirinticità, gli intrecci tra i mille personaggi che si rincontrano di storia in storia, gli avvenimenti sono fitti e compongono un armonioso, avvincente, coloratissimo e fiabesco ricamo, proprio come quelli delle donne che compaiono in queste vicende, lontane nel tempo e nello spazio ma capaci di avvincerci con i loro fili colorati. Questa, lo ammetto, è una dichiarazione d'amore, ma siccome non sono gelosa né possessiva vorrei che tutti conoscessero Panait Istrati e lo amassero come lo amo io.      

lunedì 27 maggio 2019

Interrogare se stessi per capire gli altri: Loris Maria Marchetti, Tappeto mobile

Riprendo il discorso a proposito di una raccolta di racconti, che come non mi vergogno di ripetere ad nauseam sono la forma letteraria che preferisco sia come scrittrice che come lettrice, di cui avevo già parlato: Tappeto mobile di Loris Maria Marchetti, poeta, saggista e narratore torinese. Ho avuto occasione di rileggerli per una presentazione cui ho partecipato, e la rilettura mi ha fornito molta materia di riflessione e approfondimento perché i racconti di Loris Maria Marchetti, oltre al piacere che offrono a chi li legge, sono anche pieni di spunti per cui se ne potrebbe parlare per ore. E i livelli di lettura sono molti. Dietro a ogni racconto c’è un io narrante che si interroga sull’identità dei personaggi o sulla natura dei loro rapporti, e soprattutto su se stesso, sulla definizione della propria identità. E' un libro molto raffinato, piccolo come dimensioni ma di grande impatto, che consiglio a tutti coloro che nella lettura non cercano solo la soluzione del solito delitto, ma sperano di trovare anche un'eco, forse persino una risposta ai tanti interrogativi che la vita ci pone continuamente. 

Per quel che riguarda la struttura, come ho già detto sono racconti in prima persona, ma l’io narrante è sempre anonimo. Talvolta attore, talvolta spettatore o ascoltatore, comunque non reticente, anzi prodigo di informazioni su di sé, sulla propria vita e sulle proprie convinzioni, non è difficile immaginarlo come un personaggio unitario anche se l'autore evita accuratamente di attribuirgli un nome. Molto sensibile al fascino femminile, attento alle donne che gli stanno intorno, in Colonna sonora ci mette a parte di ciò che pensa sull’amore, dal che possiamo dedurre che dietro al suo apparente disincanto da dandy sabaudo e molto borghese si nasconde un cuore romantico e passionale. Soffermandoci su ogni racconto, al di là dell'intreccio quasi inesistente e del procedere in apparenza svagato della voce narrante, si scopre un sostrato profondo e una costruzione studiatissima. A questo proposito, particolare e sorprendente è il ribaltamento che spesso avviene in maniera così sottile e raffinata da diventare chiaro solo a una seconda lettura. Possiamo dire che il tema centrale è l’identità, e la ricerca della verità sulle persone e sulle relazioni tra persone.

Il primo dato, quello che colpisce di più a una lettura “di svago”, forse, è la scrittura preziosa. In un momento di sciatteria e approssimazione linguistica come quelle di oggi, la sua prosa si distingue immediatamente. E’ una prosa dichiaratamente, volutamente e sontuosamente letteraria, che non teme periodi lunghi, subordinate e un lessico ricercato e preciso, in questi dieci racconti in cui l’autore inanella lacerti della memoria, piccoli brandelli di ricordi.

Poi l’atmosfera e i personaggi. Gli intrecci, l'ho già detto, quasi non esistono o sono pretesti per esercitare quello che a Loris Maria Marchetti interessa di più, cioè l’analisi dei comportamenti e delle persone con cui si trova a interagire, siano essi amici, colleghi, vicini di casa. E proprio qui Tappeto mobile rivela la sua natura più profonda: tutte le storie comportano dei disvelamenti, parlandoci della realtà come appare e poi di ciò che si capisce solo a posteriori, delle persone che non sono mai quello che appaiono, dei segreti nascosti sotto la facciata di ognuno, cercando di ricostruirne il senso attraverso le intermittenti epifanie della verità, scrutando quel tanto o quel poco che emerge del grande mistero che ognuno nasconde in sé, nel profondo, coprendosi con la menzogna o semplicemente perché è incapace di mostrasi come è. Nella seconda lettura si evidenziano la struttura, i ribaltamenti, i personaggi che si trasformano, si nascondono, cambiano nome, occultano informazioni fondamentali del proprio passato. Su questo concordo completamente con Loris Maria Marchetti, ciò che arriva ai nostri occhi spesso distratti (ma i suoi sono attentissimi e pieni di empatia) non è che una pallida ombra della realtà, sempre molto più complessa di quello che appare. E per fortuna che ci sono scrittori come lui, speleologi dei sentimenti, che con attenzione, umanità e sapienza scavano per portare alla luce tesori di inquieta raffinatezza.

Perché un’altra caratteristica che colpisce è l’empatia con cui sono descritti i personaggi. Non ci sono personaggi negativi, meschini o cattivi, i lati oscuri hanno sempre una loro ragion d’essere che l’autore cerca e trova, nella sua indagine acuta e precisa. L’analisi psicologica è profonda e particolareggiata, non c’è sfumatura di sentimento o pensiero che sfugga alla lente d’ingrandimento dell’io narrante sempre anonimo ma sempre centrale, o almeno presente, in tutte le vicende.
L’atmosfera è sovente quella di un passato ricordato con cura ma non nostalgico, c'è una Torino sparita, luoghi, abitudini e ruoli analizzati, sviscerati, ricostruiti con acribia e profonda umanità, cercando cause e spiegazioni, gesti minimi, tic rivelatori e sofferenze nascoste. Ci sono spesso andirivieni tra passato e presente, ricostruzioni di un mondo sparito ma vivido, mai descritto in modo compiaciuto o ridicolizzante come purtroppo usa adesso, in romanzi che credono di ricostruire un ambiente (il tipico “ho fatto moltissime ricerche”), mentre si limitano a mettere in fila luoghi comuni e banalità. Qui non c’è la costruzione di un fondale ma la comprensione di una realtà lontana nel tempo, senza nessun cedimento alla retorica della nostalgia.
Il titolo Tappeto mobile si riferisce proprio al fatto che le storie narrate vanno dagli anni '50 agli anni '90 del '900, scivolando verso l'oggi come la vita.

Poi, i personaggi femminili. Ci sono le ragazze, le donne (molte) che suscitano l'attenzione dell'io narrante, sempre pronto a interrogarsi su parole e comportamenti propri ed altrui, in particolare femminili. Su tutto si stende una patina di lontananza, che in certi momenti fa sospirare où sont les filles d'antan, ma poi con un robusto colpo d'ala si torna all'oggi. Il narratore analizza, scruta i rapporti uomo-donna interessandosi soprattutto al margine, al punto in cui si incontrano, che impedisce di dare una definizione netta e rigida al rapporto distinguendo tra amore, amicizia, passione. Ci sono le rose che non colsi - forse: ma l’io narrante si interroga su quello che avrebbero da dire le rose, come in Il vernissage, Il vizio di Guido Laurenzi, Colonna sonora. Tra le figure di donne si distingue l’amica (con cui intrecciare la bella amicizia) dall’amore furioso, analizzate e scorporate in mille dettagli e sfumature, in un collage di caratteristiche femminili: l'eleganza, la bellezza, la snellezza, la signorilità, i capelli, sono le immagini un po’ stereotipate (ma pronte a essere rimesse in discussione da un sogno erotico) secondo le quali ogni donna viene catalogata.

Nel primo racconto, Il compagno Rodolfo, si parla di ragazzini. Il narratore, invitato a casa da un compagno di classe dell'alta borghesia apparentemente amico, si trova sottoposto a uno scherzo crudele. E crudele è anche la vendetta finale dell’autore. Apparentemente è un racconto infantile, venato di crudeltà sia da parte del carnefice che da quella della vittima. L'esperienza è di quelle che tutti abbiamo sperimentato prima o poi, e che si capiscono molti anni dopo… la vita è costellata di questo tipo di delusioni.

I cancelli di Mirafiori è sicuramente il mio preferito. Il protagonista è Giovanni Pairetta, ex carabiniere ora guardia giurata ai cancelli della Fiat, marito della portinaia dello stabile borghese in cui abita il narratore, uomo del fare, leale e dedito al lavoro, l’Illustrato Fiat sempre in tasca, sa fare tutto con le mani ed è sempre disponibile a aiutare i ragazzini. Rappresenta l'epitome di Torino com’era prima della disgregazione anche sociale portata dalla sparizione della civiltà industriale. Quando va in pensione impazzisce, e non si riprende più. Con pochi tratti e un solo personaggio Loris Maria Marchetti ricostruisce una città, i suoi valori che sembravano eterni in questo apologo sulla fine di un’epoca. Il suo valore è sia individuale che storico.

Una famiglia è un'indagine a posteriori su una famiglia di vicini, di cui in realtà l’unica visibile e conosciuta era la moglie, fedifraga ma non chiacchierata. Un mistero, personaggi quasi fantasmi, sfuggenti, anomali su cui l'autore si interroga per ricostruirne il significato.

Il corteggiamento di una ragazza cui l’io narrante non sa sottrarsi ma sopporta con fastidio è il nucleo di Letterature comparate. Durante un ballo al Circolo degli Ufficiali, assistiamo alla salutare reazione della ragazza che lo manda a stendere alla fine. E se la cava benissimo senza di lui, sembra dire la conclusione.   

Brivido nero ha una struttura talmente raffinata che a una prima lettura non si coglie (o almeno non l'ho colto io) il parallelismo, o la specchiatura, tra le due trame che si intrecciano, e i due personaggi principali: entrambi diversi, anzi opposti, a quello che si crede che siano (Cristazza la pazza in realtà una bravissima ragazza, anonima e banale, scambiata per un caso di omonimia, e Umberto-Carlo depresso non per carattere ma per una terribile esperienza che ha appena vissuto, entrambi chiamati con soprannomi legati alla loro identità fittizia, entrambi accomunati dalla paura irrazionale per il nero, persona o animale, simbolo sempre di qualcosa di oscuro nascosto non nel simbolo stesso ma nell’interno del personaggio, entrambi scoperti-conosciuti dall’io narrante per un avvicinamento casuale, dovuto alla paura di cui si diceva) insomma una specularità perfetta e così ben nascosta da richiedere molta attenzione per essere riconosciuta come lavoro di costruzione. Comunque godibilissimo anche se ci si ferma al mero dato narrativo.   

Il caso e la memoria producono un effetto positivo per l’amico Leonardo in Il dono di Mnemosine, ambientato all'epoca dell'inaugurazione del primo ristorante cinese a Torino. qui dominano le figure femminili in particolare Maria Beatrice la tappabuchi, che ha tutte le doti ma è bruttina.

Un’irruzione in casa del narratore da parte di vigili del fuoco che vanno a salvare la vicina impazzita che vuole suicidarsi è lo spunto iniziale di Il pianoforte di Rah’el Ornstein. I due sono accomunati dalla musica e dalla solitudine di lei, che sovente lo va a trovare. Lei è una pianista sublime, lui appassionato di musica, ma Rah'el non accetterà mai di suonare in sua presenza. Così come, lei viennese ebrea, non accenna mai alle sue vicende durante la seconda guerra mondiale. E quando esce dalla clinica apparentemente guarita, si trasferisce in Israele ma rimpiange il suo pianoforte.

Il vernissage: di nuovo personaggi che non sono chi dicono di essere, neanche nel nome. qui, con una giravolta abilissima, abbiamo due narratori interni. Al vernissage di una mostra di Jacopo Ginevra, il pittore viene riconosciuto come Lorenzo Valli da una donna molto attraente. Un flashback ci spiega di quando si erano conosciuti, lui adolescente e lei bambina. Molto gustosa la presentazione del critico trombone. Non sapremo niente circa il motivo del cambio di nome, ma c’è di nuovo il rovesciamento di identità e due figure femminili contrapposte, l’attraente, nuova, bella Letizia, e la timida, fedele, devota, effacée Elisa, che, non si sa quanto contenta del suo ruolo, sta sullo sfondo con dedizione.

Il narratore di Il vizio di Guido Laurenzi, si interroga, a distanza di molto tempo, sul motivo per cui  al collega Laurenzi piacevano solo le bionde longilinee con i capelli lisci anche se aveva una moglie tutta diversa. Quando in ufficio arriva Aurelia, molto più giovane, Guido perde la testa e la corteggia finché lei si rivolge a un collega bello, elegante e playboy che le dà un consiglio arguto e efficace. Aurelia poi si sposa ma Guido perde il pelo ma non il vizio, come verifica il narratore in un casuale incontro in piazza san Babila. Sullo sfondo la figura di un'impiegata sposata con prole, che non ha bisogno di consigli per trarre vantaggi dai suoi capelli biondi e lisci.

Colonna sonora è una lunga lettera a Lavinia. Questo è il testo più particolare e anche rivelatore. La lettera è iperdettagliata nell’analizzare una possibilità di sentimento girando e rigirando ipotesi, sottigliezze, sfumature, possibilità, interrogativi. Non ci sono fatti né intreccio, solo possibilità emotive e esistenziali messe sotto una lente d’ingrandimento, ma qui si rivela pienamente il senso del continuo interrogarsi e interrogare del narratore: la sua domanda fondamentale non è chi sei tu, ma chi sono io. Ma a questa domanda, naturalmente, Lavinia non sarà in grado di rispondere.

Infine due parole su una precedente opera di narrativa:
Raffinatissima operazione di ricupero del ricordo e delle ondivaghe passioni dei vent'anni, Le imperfette quadriglie d'agosto di Loris Maria Marchetti si pone come una danza, appunto, fatta di avvicinamenti e allontanamenti, repulsioni e attrazioni, all'interno di un gruppo di ragazzi in vacanza a Milano Marittima negli anni '60 del secolo scorso. Sullo sfondo di miti, comportamenti, musiche e aspettative tipiche di quegli anni, l'esile vicenda di Eliana e dell'io narrante si dipana a passo di danza in una prosa elegantissima, sorvegliata con la cura e la sapienza dei classici, senza nessun cedimento alla retorica della nostalgia, attraverso un'analisi continua dei moti del cuore, quasi prustiana per precisione e complessità.