martedì 28 giugno 2016

Ecco, lì vorrei andare a prendere un caffè: Dominique Fabre, La cameriera era nuova

Un'altra felicissima scoperta dovuta alla benemerita Calabuig (a cui vorrò ancora più bene quando si deciderà a fare la versione digitale dei suoi libri) di lettura velocissima ma magnetica, capace di creare un mondo con mezzi minimi e parole quotidiane: La cameriera era nuova di Dominique Fabre.

Un amichevole monologo del cameriere di bistrot Pierre, detto Pierrot mon ami (un omaggio al romanzo di Raymond Queneau) o Pierrounet, cinquantaseienne un po' in disarmo che legge Primo Levi, che mescolando le sue osservazioni sulla realtà che lo circonda, gli avventori del bar, gli altri che vi lavorano, l'irrequieta coppia dei proprietari, flash sul suo passato, riesce a catturare la simpatia e l'attenzione del lettore che si ritrova immerso nel mondo evocato. Sono vicende minime ma i personaggi indimenticabili tratteggiati con pochi particolari, Amédée il cuoco che segue il cliché del nero sempre allegro e ha una miriade di belle cugine, il padrone pasticcione e seduttore, la padrona bisognosa di sostegno ma pronta a ricambiare le cortesie con una coltellata nella schiena, Sabrina dal gran sorriso e Madeleine la cameriera nuova, il ragazzo vestito di nero che legge sempre, insomma il bar-ristorante le Cercle e chi lo frequenta sono molto difficili da lasciare alla fine del breve (89 pagine) romanzo. Bella e scorrevole traduzione dal francese di Yasmina Melaouah.

giovedì 23 giugno 2016

Un arcobaleno di racconti, poesie e sceneggiature: AAVV, OVER60-MEN

E' uscita presso la casa editrice Elmi's World un'antologia di racconti a tema LGTB che affronta di petto, come dice il titolo, quella che un tempo si chiamava vecchiaia e ora, se non si vuole usare l'orrida espressione "terza età" che sa di minestrina, servizi sociali, badanti e dentiere, non ha nome. Anzi, non si nomina e non se ne parla, perché fa lo stesso effetto di quando ci si trova all'improvviso davanti a uno specchio nella penombra: paura e ribrezzo. Ottima quindi l'iniziativa di raccogliere nove racconti, due poesie e una sceneggiatura che ci raccontano con ironia, con tenerezza, con dolore, con rimpianto, con simpatia, con coraggio e sincerità quella che è una fase della vita e come la vita va trattata, senza guanti bianchi ma anche senza fare sconti "over60" come al cinema.

L'antologia è a cura di Gianluca Polastri, la vigorosa prefazione è di Angelo Pezzana, la postfazione Lambda Terza Età, ricca di indicazione pratiche, è di Enzo Cucco.

I racconti sono Sarebbe stato bello di Ivan Cotroneo, Parlarne con i grandi di Andrea Demarchi, Te vogio ben - appunti di sceneggiatura di Gianni Farinetti, Poco più di trent'anni di Giorgio Ghibaudo, Il nonno di Heidi. Reloaded di Stefano Paolo Giussani, Il poeta Pasolini di Giancarlo Pastore, L'ultima immagine dell'amore di Gianluca Polastri, Limiti di accesso di Eduardo Savarese, Leo e Giò vanno al cinema di Roberto Schinardi; le poesie Si parva licet, Morivo e basta, Oggi che il Foro Italico dissimula e Un piccolo Arpagone di Franco Buffoni e La teoria degli inguini di Stefano Moretti, oltre a Le candele di Kostantin Kavafis in esergo, nella traduzione poetica di Gianluca Polastri; la sceneggiatura La memoria del pesce rosso di Veronica Coppo, Francesca Nozzolillo, Alessio Posar, Michele Prencipe per la regia di Lorenzo Romoli. Completano il volume i riassunti dei racconti e le biografie degli autori.
 
Cito dalla presentazione della casa editrice: A Torino dal 2014 è funzionante uno Sportello Terza Età LGBT dove chiunque si può rivolgere per segnalare casi di persone che hanno bisogno di aiuto. Il numero di persone lgbti che necessitano di accompagnamento (non usiamo la parola assistenza perché troppo impegnativa e la parola accoglienza perché riduttiva) è molto più impegnativo di quanto le risorse finora messe in campo possano affrontare. Nel maggio del 2016, dunque, comincerà il secondo corso di formazione per volontari e volontarie, ma per poter operare è necessario avere dei fondi. Quest’antologia è nata proprio con questa funzione: raccogliere contributi affinché lo Sportello Terza Età LGBT possa rimanere attivo ed efficiente. Tutti gli autori che hanno collaborato alla realizzazione di questo libro, hanno infatti devoluto i propri diritti d’autore a favore di questa iniziativa.
“Over60″ – men è però solo la prima antologia di due nell’ambito di questo progetto. A settembre 2016 vedrà la luce un secondo volume, che raccoglierà racconti e poesie declinati al femminile: sarà la volta di “Over60 – women”.

Il motivo per cui lo consiglio a tutti, anche e soprattutto a chi non si riconosce direttamente nelle tematiche, è semplice: oltre che interessante per tutti è un bel libro, e basta. 

lunedì 20 giugno 2016

Gioventù, amore e morte a Berlino: Sabahattin Ali, La Madonna col cappotto di pelliccia


Uscito per la prima volta nel 1943, La Madonna col cappotto di pelliccia di Sabahattin Ali è stato ripubblicato in Turchia nel 2002, come ci informa nella prefazione (tradotta dall'inglese da Francesca Ferrua) Feride Çiçekoğlu, autrice di Non sparate agli aquiloni, diventando una delle letture più popolari tra i giovani che occuparono Gezi Park nel 2013: fenomeno che si può spiegare tanto con la personalità e la breve, tragica vita dell'autore quanto con il contenuto del romanzo. Nel 2015 Scritturapura lo ha lodevolmente pubblicato in italiano, nella traduzione dal turco di Rosita D'Amora.

La madonna col cappotto di pelliccia ha una curiosa struttura con un doppio io narrante. Nella parte introduttiva, un giovane scrittore senz'arte né parte viene assunto per i buoni servigi di un amico in una grande azienda, a Ankara. Dato che è l'ultimo arrivato, si trova a condividere la stanza con un oscuro travet, Raif Efendi, traduttore dal tedesco, introverso e solitario. Un lento avvicinamento lo porta a frequentarne la casa, intravederne la squallida vita familiare, e infine a entrare nella sua intimità leggendo un vecchio diario. E qui, con la voce di Raif Efendi, si entra nel vivo del romanzo, dove le tracce autobiografiche sono evidenti. Come Sabahattin Ali, che vi soggiornò dal 1928 al 1930, Raif in gioventù si reca a Berlino per studiare la produzione del sapone profumato, visto che la sua famiglia possiede alcuni oliveti e un saponificio. Impara il tedesco ma non conosce quasi nessuno, se non gli ospiti della pensione dove vive, finché nella sua solitudine irrompe un'immagine femminile, l'autoritratto di una pittrice di nome Puder, che lui battezza "Madonna col cappotto di pelliccia" perché gli ricorda la Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto.
Andrea del Sarto, La Madonna delle Arpie

Le vicende successive, i suoi rapporti con Maria Puder, gli sviluppi e la conclusione, costituiscono una delicata fantasia romantica, dal sapore vagamente decadente, non aliena da tocchi di patetismo. Il tono, malgrado la drammaticità, ha una delicatezza adolescenziale, un forte gusto di tenerezza. La cosa che colpisce è che tra queste pagine cui si può rimproverare solo una certa verbosità, una ripetitività come se l'autore si preoccupasse molto che il lettore capisca bene quello che vuole dire, non c'è assolutamente la storia maggiore né la politica, non compare nessun conflitto di cultura o religione, tra vecchio e nuovo, tra modernità e tradizione, ma solo sentimenti e emozioni. In un certo senso è un romanzo totalmente antimoderno. Quello che fa piacere è non trovarvi nessun giudizio sulla ragazza tedesca e la sua libertà, sebbene poi incontriamo anche un malinconico matrimonio inteso come dovere sociale.

Certo La Madonna col cappotto di pelliccia difficilmente potrà avere sul lettore italiano l'impatto avuto sui ragazzi di Gezi Park, ma è un bel romanzo straniante che ci parla da un passato non troppo lontano, pieno di verità, gioventù e sofferenza.

venerdì 17 giugno 2016

Maneggiare con cura 3: solo per veri intellettuali e lettori d'acciaio, Annie Ernaux, Il posto

Uscito in Francia nel 1983 e in Italia nel 2014, Il posto di Annie Ernaux è un romanzo strenuamente autobiografico in cui l'autrice ricostruisce la vita di suo padre, a cavallo della metà del novecento, con estrema economia di parole, dall'originaria condizione di contadino a quella di operaio poi proprietario di un bar drogheria. La figura del padre appare ogni tanto in qualche fotografia, si seguono i suoi cambiamenti di lavoro e di residenza, le trasformazioni che coinvolgono anche la madre e di conseguenza la figlia, che attraverso lo studio si differenzia fino ad allontanarsi dalla vita dei genitori.

Un libro estremamente raffinato forse, che con una prosa scarna fino alla secchezza, un grandissimo risparmio di parole ma anche di sentimenti, di emozioni, di tutti quei particolari che rendono attraente un libro facendo trasparire quello che sta sotto ai fatti nudi e crudi, non riesce a comunicare nessuna empatia né a suscitare l'interesse per un personaggio descritto esclusivamente dall'esterno. In qualche recensione ad altri libri della Ernaux ho letto espressioni come "disarmante semplicità" e "senza artificio". Ecco, penso che siano l'esatto contrario della sua scrittura: non vi è niente di semplice né di spontaneo in queste pagine, che sono spasmodicamente ricercate nell'eliminazione di fronzoli e morbidezze, nella costruzione spezzata e episodica, organizzata in immagini non cronologiche. 

Un libro intensamente francese per intellettualismo e rigore, rarefatto tanto che a tratti leggendolo manca l'aria, in cui la storia del novecento si intravede in filigrana attraverso la storia individuale, di un'autrice notissima e ammiratissima in patria. Sconsigliato a chi ama identificarsi nei personaggi e nelle vicende, a chi cerca emozioni, anche a chi semplicemente cerca qualcosa di più (o di diverso) di una secca cronaca dal taglio sociologico. Lo salva il fatto che è molto breve e molto leggibile. Traduzione e un interessante glossario di Lorenzo Flabbi.

Tanto per sottolineare il fatto che le mie parole non sono vangelo, Annie Ernaux ha vinto il Premio Strega Europeo 2016 con Gli anni.  

mercoledì 15 giugno 2016

Maneggiare con cura 2: solo per veri intellettuali e lettori d'acciaio, Natsume Sōseki, Io sono un gatto

Il secondo è un classico assai illustre, Io sono un gatto di Natsume Sōseki. Qui il caso è diversissimo. Uscito su rivista a puntate nel 1905 e 1906, poi raccolto in tre volumi, è un romanzo assai corposo (intorno alle 500 pagine) la cui voce narrante è appunto un gatto.

Infilatosi da cucciolo a casa dell'insegnante di inglese di liceo Kushami, viene sopportato dalla famiglia composta da padre, madre, tre figlie e una serva, ma rimane senza nome per mancanza di interesse nei suoi confronti. In compenso Trascorre il tempo a osservare il suo padrone e i suoi rapporti con le persone che incontra: oltre ai familiari, una serie di amici variamente caratterizzati, Meitei il burlone, Kangetsu l'ex studente di Kushami che all'università passa la vita a lisciare biglie di vetro, Tofu il poeta, la signora Kaneda dal grosso naso, Sanpei l'affarista, e altri. Dalle sue chiacchiere deriva una vivissima descrizione della vita spicciola in una casa giapponese e dei personaggi che passano sotto i suoi occhi acuti e onniscienti (un mondo esclusivamente maschile in cui le donne contano quanto i gatti), e un vivacissimo quadro culturale di inizio '900. Perché il gatto ne sa di qualsiasi argomento e riporta minuziosamente le conversazioni infarcite di citazioni letterarie sia giapponesi che occidentali intrecciate da Kushami e dai suoi visitatori, i quali hanno interessi vastissimi e un'erudizione senza limiti, che il gatto ascolta e osserva con filosofico distacco.

C'è davvero di tutto in questo romanzo magistralmente tradotto da Antonietta Pastore e i personaggi sono tratteggiati con penna felice. Colpisce il grandissimo spazio dedicato alla cultura occidentale di cui si scrutano molteplici aspetti, in lunghissimi dialoghi praticamente enciclopedici, in cui i vacui personaggi si esibiscono in una gara di erudizione. I ragionamenti del gatto restituiscono una visione fortemente satirica, spesso paradossale, e il tono è filosofico e speculativo. Una delle difficoltà della lettura, secondo me, dipende proprio da questo accumularsi di dialoghi e dialoghi senza fine, conditi di osservazioni sentenziose sulla natura umana. Gli argomenti sono molteplici e vanno dalla critica all'indivualismo che distrugge la cultura tradizionale a gustosi episodi come gli esempi di cortesia inglese. La narrazione si interrompe continuamente con l'esibizione di cultura occidentale, specie nella lunga conversazione finale cui partecipano tutti i personaggi.   

I problemi, secondo me, sono due oggettivi e uno soggettivo: la distanza culturale che costringe a un'attenzione continua e talvolta faticosa, la lunghezza e il tono speculativo (che io non apprezzo, ma sicuramente piace a molti). Per questo secondo me Io sono un gatto è un libro adatto solo a lettori veramente motivati, non ai semplici amanti dei gatti o del sushi. A loro consiglio piuttosto Il gatto venuto dal cielo di Hiraide Takashi.


   


Ancora a proposito di "Gli anni al sole": una lettera di Anna Maria Dalla Torre




Dall'amica scrittrice Anna Maria Dalla Torre ricevo questa bella lettera:



Cara Consolata, ho letto Gli anni al sole d'un fiato e poi l'ho riletto, perché mi è piaciuto molto.
Così (pur non avendo alcuna familiarità con Facebook) sono andata a vederne la presentazione che però non mi ha convinto del tutto. Certo, ciascun testo può assumere poi una molteplicità di significati anche indipendentemente dall'intenzione dell'autore!
Io ho letto e gustato il libro come fosse il sogno del giovane Alain Roland, un sogno dominato dal senso della precarietà dell'esistenza, fin dall'inizio, con quell'emblematica fabbrica degli zolfanelli, destinata all'incendio, sulla Via del Ponte rotto, e con il motivo ricorrente dell'attesa del terremoto, su uno sfondo che presenta i mutamenti della storia. Non mi sarei stupita di trovare alla fine  una riga del tipo: "Alain, finalmente! Hai sognato per sei notti!"
L'ansia di afferrare la vita ("voglio godere, voglio dimenticare la morte, dicevano i nostri corpi con le ultime febbrili energie"), i "brividi di solitudine" e le fantasie, il senso del dovere e i sensi di colpa, l'orgoglio e l'autocommiserazione, il desiderio di amicizia e gli impulsi distruttivi sono momenti in cui ciascuno di noi, uomo o donna, può riconoscersi, e trovo questo studio psicologico  uno dei pregi del libro.
 
La tematica femminista mi pare meno centrale.
Le donne sono viste con l'occhio di Alain e non è detto che lui veda sempre giusto. Io non le giudicherei tutte determinate e consapevoli di quello che vogliono, a parte il fatto che su tutti, uomini e donne, si esercita l'ironica tirannia del destino, da Melissa al "tronfio e sbrigativo" Wordsworth venuto a Chio per licenziare Alain, giusto in tempo per il terremoto.
Vertici della narrazione le pagine dedicate al cataclisma, con il rapporto Alain-Markela, del cap. VI; le pagine intensissime dedicate alla prigione del cap. XI con l'antitesi tra il modo di rappresentarsi e di autoassolversi di ciascuno e la rappresentazione altrui, e quelle dedicate alla creazione artistica, del cap. XV.
 
Dimenticavo la bellissima copertina! L'asino di fronte al mare: ciascuno di noi di fronte al mutevole infinito.
Giudico Gli anni al sole veramente  bello e ricco. Senza dimenticare Mezza anguria, naturalmente!
Ciao. Complimenti!
Anna Maria

lunedì 13 giugno 2016

Maneggiare con cura 1: solo per veri intellettuali e lettori d'acciaio, Carmen Pellegrino, Cade la terra

Per una volta, alcuni libri di cui consiglio l'uso solo con molte precauzioni, avvertenze, controindicazioni e effetti collaterali. Cercherò di parlarne astenendomi dal giudizio, visto che  non sono un'intellettuale e forse non ho capito niente, e soprattutto sono lontanissimi dal tipo di romanzo che in genere mi acchiappa. Comunque la caratteristica che li accomuna è che sono libri da lettori forti, fortissimi, spinti da motivazioni che non siano la semplice gratificazione o men che meno lo svago. Non esattamente page turner, insomma. Se si tiene presente questo fatto e non ci si aspetta una forte tenuta narrativa, sono sicura che hanno molto da dare.

Il primo è Cade la terra, di Carmen Pellegrino, di professione abbandonologa. Ambizioso romanzo corale ambientato a Alento, borgo immaginario sui monti alle spalle del golfo di Salerno, che frana irreparabilmente spingendo gli abitanti a rifugiarsi nel borgo nuovo lasciandosi alle spalle le case crollanti e i ricordi di personaggi spariti. Una sola abitante, Estella, sopravvive in una grande casa in cui è stata a lungo istitutrice, o cameriera, o governante, del giovane Marcello, su cui affabula con una voce assolutamente inaffidabile in contrasto con quella di Marcello stesso. Estella prepara una cena dei morti, i cui invitati sono i fantasmi degli antichi abitanti, a ognuno dei quali è dedicato un capitolo in cui si presenta con voce reticente e lacunosa. Ci sono donne, padroni e poveri, un anarchico, un'umanità tipicizzata e variegata.  

Mi astengo dal fare dotti paragoni e citare modelli, ma siamo nel solco della più tradizionale letteratura meridionalistica, si parla molto di miseria, di ricchezza, della terra. La patina arcaica, terrosa, stesa sulla scrittura ha lo scopo di rendere favoloso il passato, ma forse l'ambizione e il rispetto fuori tempo massimo dei modelli è eccessivo, e l'insieme risulta un po' noioso e molto pretenzioso. L'impressione che ne ho ricavato è che non ci sia niente da rimpiangere a Alento.
Comunque, uno di quei libri con cui si fa sicuramente bella figura sia a portarselo dietro in treno sia a parlarne bene in società.

venerdì 3 giugno 2016

Dorina, Angela e la ricetta delle melanzane al cioccolato: Emilia Bersabea Cirillo, Non smetto di aver freddo

Ancora una volta Emilia Bersabea Cirillo mette al centro del suo bellissimo romanzo due figure di donne.
Basta leggerne due pagine per trovarsi avvolti nella sua prosa concreta e poetica, nell'atmosfera calda delle cucine, nei profumi di vivande, nel grumo affettuoso degli interni dove si incontrano tre generazioni di donne, nella precisione dei gesti di cura e di sapienza femminile delle ricette, prima fra tutte la regale parmigiana di melanzane al cioccolato.

Dorina è bella, bionda e con gli occhi azzurri, ha un marito, Walter, una figlia piccola, Barbara, e un lavoro che non le dispiace: è cuoca al carcere femminile, prepara il cibo per le donne che scontano pene per avere infranto la legge ma non le conosce, non le vede mai. Ci mette cura nel suo lavoro, cerca di dare cibo buono e variato con quello che la direzione le mette a disposizione. Anche l'ambiente è nell'insieme gradevole, le colleghe la stimano, con alcune ha rapporti di amicizia o solidarietà femminile. I problemi sono piuttosto a casa, dove il rapporto con Walter si è incrinato. Ciò che porta lo scompiglio in questo equilibrio precario è la scoperta che la detenuta speciale, in isolamento, cui prepara pranzi a parte, è davvero speciale: un fantasma del passato che risorge dalle nebbie di un'infanzia non infelice ma mutilata, immiserita dalla condizione di orfana in un istituto di suore, anche se proprio in suor Vittoria ha trovato chi si è preso cura di lei e le dà amore e protezione. Lì ha incontrato Angela, orfana come lei ma brutta e cattiva per infelicità. Tra le due bambine si instaura un rapporto sbilanciato e malato in cui Angela comanda e punisce, abbraccia e spaventa, mentre Dorina, docile e dolce, soccombe alla prepotenza sorridendo, un po' spaventata un po' affascinata. Ora Dorina cucina per Angela, ci mette una cura particolare, e quando la reclusa chiede di vederla non si sottrae.
 Dorina è protagonista ma Angela ci parla in prima persona a capitoli alterni, così che possiamo entrare nella mente di entrambe e ricostruire il loro fortissimo e doloroso rapporto. Dorina ha paura di Angela ma non riesce a sottrarsi allae sue richiesta, mentre Angela è ossessivamente protesa verso Dorina e vorrebbe riprende il controllo sull'antica amica. Ma ora Dorina è assai più forte, e la sua vita è complessa, ricca di rapporti, doveri e piaceri.

Non smetto di aver freddo a me è parso soprattutto un libro di madri e figlie. Ci sono molte figlie - Dorina, Angela, Barbara - ma anche le madri, reali e sostitutive, sono importanti: Dorina stessa, Antonia, suor Vittoria, Bianca Giulia, e il loro peso è fondamentale nella vicenda sia come presenza che come assenza. I rapporti tra madre e figlia sono difficili, dolorosi ma indispensabili; dalla madre non si può prescindere, ci dice Emilia Bersabea Cirillo. Anche l'amicizia riesce a essere generosa, superare l'assenza e le cattiverie, e porgere una mano pietosa che giunge fin là dove finalmente c'è silenzio e - forse - pace. Ci sono anche gli uomini naturalmente, ma per una volta stanno sullo sfondo,  sono comprimari: non perché non siano importanti, solo che non è il loro turno.
Intorno a questo nodo principale, profondo e angosciante, c'è tutta la vita che preme: la cucina (il riso da scolare, le verdure da affettare, il pollo da cuocere e la realizzazione della mitica ricetta di suor Ermelinda, Mulegnane c'a ciucculata, che richiede perizia e pazienza speciali), i rapporti di Dorina con il marito e altri incontri, una suocera solidale con cui scambiare confidenze comprensione e sostegno, le colleghe e le loro storie, e poi la crisi, i tagli che minacciano il posto di lavoro, le fabbriche che chiudono e costringono gli uomini a cercare lavoro altrove, e le speranze - un progetto, la felicità di essere padrona di se stessa, la solidarietà tra donne e la capacità di collaborare. Questo non è un libro cupo, è un libro morbidamente femminile nelle parole, nei gesti, nella capacità di descrivere i particolari materiali, concreti, la realtà cui è tenacemente legata, e insieme duro dove ce n'è bisogno, forte e pieno di coraggio.

Poi c'è la scrittura di Emilia Bersabea Cirillo, delicata e avvolgente, capace di ricreare le atmosfere calde e profumate che descrive, agile e sicura. Le parole di una scrittrice che ci regala con Non smetto di aver freddo un ulteriore bellissimo libro dopo Fragole (Filema 1996), Il pane e l'argilla. Viaggio in Irpinia (Filema 1999), Fuori misura (Diabasis 2001), L'ordine dell'addio (Diabasis 2005), Una terra spaccata (Edizioni San Paolo 2010), Gli incendi del tempo (et al. edizioni 2013), con i quali ha vinto numerosi premi. E' architetta e vive e lavora a Avellino.

mercoledì 1 giugno 2016

Jón Kalman Stefánsson al Circolo dei Lettori di Torino

Jón Kalman Stefánsson è in tournée in Italia per presentare Grande come l'universo, seguito della saga familiare I pesci non hanno gambe. Lunedì 6 giugno alle ore 18.30 sarà al Circolo dei Lettori di Torino, e dialogherà con lui lo scrittore Giuseppe Culicchia. In attesa di leggere la sua ultima fatica, in uscita il 3 giugno, ne approfitto per ripubblicare qui le recensioni delle sue opere precedenti, tra cui la meravigliosa trilogia Paradiso e inferno - La tristezza degli angeli - Il cuore dell'uomo

Luce d'estate, ed è subito notte
Paradiso e inferno
La tristezza degli angeli
Il cuore dell'uomo
I pesci non hanno gambe 
  
Jón Kalman Stefánsson è un autore che chiunque ami la letteratura deve conoscere. E' avvincente e profondo, sorprende e scuote come il vento del nord. Lunedì sarò al Circolo dei Lettori per sentire come parla delle sue opere.