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martedì 10 dicembre 2019

Da Karen Blixen ai fantasmi sulla Luna, tanto per fare quattro chiacchiere

E' un periodo che non sono proprio fortunata con le letture. Dopo La saga dei Cazalet non ne ho più azzeccata una, e nulla di quello che ho letto mi ha fatto venire voglia di scriverne (con un'eccezione, Tutti i racconti di Grace Paley, ma siccome mi sono data la regola di non parlare mai su questo blog di libri che non mi sono piaciuti assolutamente, a meno che non mi abbiano fatto arrabbiare eccessivamente come Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini o Il piccolo amico di Donna Tartt, non ho potuto scriverne perché l'ho detestato). Per cui, ripensando ai tempi belli in cui mi imbattevo in libri belli di cui mi veniva voglia di scrivere belle cose, mi è venuto in mente che nel canone di scrittrici ormai iconizzate e imbalsamate come empireo femminile (e anche qui, non fatemi dire che cosa penso di alcune di queste icone) non salta mai fuori il nome di una scrittrice che ho amato moltissimo: Karen Blixen, di cui al massimo si ricorda La mia Africa (che ho amato molto meno degli altri) o il racconto Il pranzo di Babette, mentre io sono stata stregata da Sette storie gotiche, Capricci del destino, Racconti d'inverno e soprattutto Ehrengard. Non ne ho parlato in questo blog per la semplice ragione che l'ho letta molto prima di aprirlo, ma appena ho un attimo di tempo lo farò. 

In realtà ho letto una raccolta di racconti e un'antologia entrambi ottimi, ma non mi sento in grado di parlarne perché si tratta di fantascienza, un argomento su cui bisogna saperne molto più di me per azzardarsi a dare giudizi. Per cui a proposito della raccolta di racconti, Culti svedesi di Anders Fager, mi affido all'autorevole voce di Silvia Treves che l'ha recensito sulle pagine di LibriNuovi.net. 
Dell'antologia DiverGender, a cura di Silvia Treves e Caterina Mortillaro, che compaiono anche come autrici (qui l'intervista sul blog Diario di ErreBi), posso dire solo che è interessantissima e unisce nove racconti godibilissimi e intriganti a tre momenti saggistici di riflessione e informazione sul tema del genere, che ne fanno una lettura a tutto tondo e di stringente attualità. Più che raccomandabile anche a chi non è un appassionato di fantascienza. 

E visto che di questo si tratta, segnalo che nella pirotecnica collana Alia Arcipelago edita da CS_libri le pubblicazioni continuano e si aggiungono al succulento catalogo in cui, tanto per farvi venire l'acquolina in bocca, potete trovare Isola di passaggio di Silvia Treves, Isole nella Corrente di Massimo Citi, Fantasmi sulla luna di Paolo S. Cavazza, Da zero a infinito di Fabio Lastrucci e molti altri titoli. Se ne è parlato insieme a DiverGender alla libreria Vecchi e Nuovi Mondi di Torino, ben nota cattedrale del culto fantascientifico e fantastico e dei suoi adepti.    

mercoledì 5 marzo 2014

Ma succederà finalmente qualcosa? Donna Tartt, Il piccolo amico. Per chi ama i particolari e le lenti d'ingrandimento.

Giunta stremata alla fine dell'estenuante Il piccolo amico di Donna Tartt, ho esitato tra la voglia di scappare finalmente libera a correre nei prati e il desiderio di trarre qualche vantaggio dall'esperienza, per esempio una recensione. Perciò eccomi qui a lamentarmi dimenticando per un attimo uno dei miei motti, cioè "chi è causa del suo mal pianga se stesso". Lo so benissimo che non devo leggere letteratura nordamericana, almeno non i best seller né i fenomeni osannati dalla critica. Niente da fare, non li digerisco, proprio come l'aglio o le mozzarelle di bufala. Perciò gli appassionati e numerosi innamorati dell'autrice, caso mai si fossero imbattuti in questo blog, possono risparmiarsi di proseguire nella lettura.

Ho cercato notizie su Donna Tartt e ecco i risultati: nata a Greenwood, Mississippi, nel 1963, ha fatto ottimi studi con ottime frequentazioni di ottimi scrittori della sua generazione, e ha avuto un successo strepitoso nel 1992 con The secret history (in italiano Dio di illusioni, 1992), mentre The little friend è uscito nel 2002 (in italiano, Il piccolo amico, 2003, traduzione di Idolina Landolfi e Giovanni Maccaro) e l'ultimo, The goldfinch (Il cardellino, dovrebbe essere appena uscito o in uscita da Rizzoli) è del 2013. I lunghi silenzi tra i suoi libri hanno alimentato il mito, e per parte sua la scrittrice è molto riservata, evita le presentazioni e gli eventi mondani. Da quello che sono riuscita a capire ha vissuto molto tra Vermont, Virginia e New York, e non mi risulta svolga altre attività oltre alla scrittura. Di Dio d'illusioni tutti parlano benissimo, l'amica Carla Bronzino me lo consiglia, e magari prima o poi lo leggerò, quando mi saranno passati i nervi con Donna Tartt che mi ha presa per il naso per ben 681 pagine (nell'edizione italiana) eterne, immobili, ripetitive, dove non succede niente ma Donna Tartt mostra i muscoli, fa la ruota, si fa ammirare per come scrive bene, si autocompiace, accumula particolari del tutto inutili.

E brava lo è, intendiamoci, scrive tecnicamente benissimo, è sicuramente un'autrice molto dotata. Però è come se tutto si muovesse al rallentatore, anzi sotto una lente d'ingrandimento che si sposta lentissimamente da una riga all'altra. La vicenda si svolge nella città immaginaria di Alexandria nello stato del Mississippi nei primi anni '70, ma l'antefatto si svolge una decina d'anni prima: il piccolo Robin viene impiccato a un albero del suo giardino, e le indagini non riescono a identificare l'assassino. Harriet Cleve Dufresnes, sorella minore di Robin, quando compie dodici anni pensa di aver capito chi è il colpevole e decide di vendicare la morte del fratello. La aiuta Hely, ragazzino succube ma non troppo, insieme al quale mette in atto alcune imprese piuttosto demenziali. Harriet sospetta un vecchio amico di Robin, Danny Ratliff, sbandato e drogatissimo, e dà inizio alla caccia. La cosa si complica molto per la presenza di un predicatore che usa i serpenti durante i suoi sermoni; Harriet e Hely tentano di uccidere Danny rubando un cobra reale, finendo così in rotta di collisione con la delinquenziale famiglia Ratliff. Tutto si svolge in famiglia: quella di Harriett, antica, colta e illustre ma in piena decadenza, tutta femminile tranne un padre che se n'è andato e rappresenta l'assenza, e quella di Danny, composta di delinquenti e subnormali, bianchi poveri che vivono in roulotte, tutta maschile tranne una repellente nonna, e persino quella di Hely perché la sorella di Harriet, Allison, diventa la ragazza di Perm, suo fratello, come se l'autrice non riuscisse neppure a immaginare che si può mettere il naso fuori casa e fare due passi in giro senza incontrare parenti. Siccome siamo nel profondo sud c'è una nera, ma con poca fantasia è una amatissima cameriera-vicemamma che sparisce abbastanza presto e rimane il forte sospetto che sia stata messa lì per dimostrare che l'autrice non è razzista.

Ogni tanto, in particolare nel lunghissimo episodio dei serpenti e nell'inconsulto finale, scoppia un parossismo di azione che non porta da nessuna parte. Il finale, se non fosse così lento, più che tragico sarebbe quasi ridicolo, con un minimo di accelerazione potrebbe essere una comica finale. Ho letto alcune recensioni, soprattutto statunitensi, che invocano un editing spietato, lamentando che non non esistono più gli editor di una volta (tipo quello che ha creato il fenomeno Carver) e pur essendo d'accordo che certo un amico sincero che le avesse detto: qui ti ripeti, taglia un po', le sarebbe stato di grande aiuto e Il piccolo amico ci avrebbe guadagnato moltissimo a essere accorciato di parecchio, io non credo in questo tipo di operazioni. E alla fine nisba, nessuna situazione si risolve o si chiarisce, chi se ne frega se il lettore resta a bocca spalancata a chiedersi come ha fatto a essere così balengo da andare avanti per 681 pagine sperando di scoprire almeno la soluzione del mistero che mette in moto tutto. Eh no, Donna Tartt non è mica un banale scrittorucolo che conclude i suoi romanzi. No, zac, un bel taglio a metà inquadratura e noi dovremmo rimanere lì a pensare ai suoi antipatici personaggi e cercarci una soluzione da soli. Ma Donna Tartt, te ne dico una io che chiude la vicenda: abbiamo tutti molto di meglio da fare. E da leggere, grazie al cielo.