Oggi voglio parlare di Saving Mr Banks, un film del 2013 di John Lee Hancock, che racconta come e qualmente Walt Disney insistette per vent'anni prima di riuscire a convincere la scrittrice, nata in Australia ma abitante a Londra dal 1924, P. L. Travers (1899 - 1996) a cedere i diritti cinematografici sulla sua creatura letteraria Mary Poppins. Questa non è una recensione dato che non ne ho gli strumenti, ma Saving Mr Banks mi ha fatto pensare a molti livelli, primo come scrittrice, poi come lettrice e infine come spettatrice.
Dico subito che nonostante questa premessa che può fare immaginare un film pensoso e profondo, l'ho trovato del tutto inutile e parecchio brutto. Come spettatrice posso dire che dissento dalle recensioni molto positive che ho letto su Mymovies: l'ho trovato insopportabilmente scontato, sentimentale, con un'interpretazione psicologica di banalità davvero eccessiva. C'è Emma Thompson (bravissima anche se un po' caricaturale all'inizio, ma la parte forse lo richiedeva) che recalcitra davanti alle insistenze del suo agente e al serrato corteggiamento da parte di Walt Disney anche se avrebbe molto bisogno di soldi. Giustamente non si fida, vuole salvare la sua creatura dall'edulcoramento, dalle canzoncine, dai cartoni animati, insomma da Disney. Però accetta di andare in California e lì che cosa pensate che succeda? Naturalmente alla fine diventa quasi dolce e si fa infinocchiare da Disney - Tom Hanks, talmente pieno di botulino che non riesce più a aprire né gli occhi né la bocca. Nel frattempo assistiamo alla sua infanzia in flashback nella selvaggia Australia, all'amore sconfinato per il padre (bella forza, è Colin Farrell, uno dei migliori attori che conosco) fascinoso, alcolizzato, inaffidabile e tisico, che la tira per le lunghe sul letto di morte sputando sangue come la Traviata mentre la madre sbaccalita chiede aiuto alla sorella che fa un'entrata degna di Tata Matilda, conciata secondo l'iconografia disneyana. Ovviamente nel corso degli incontri con gli autori della sceneggiatura che vuole controllare parola per parola (ma non ci credo anche se sui titoli di coda si sentono le registrazioni delle sue discussioni) per Travers avviene una specie di catarsi, e con molte lacrime sue e degli spettatori si rappacifica con il passato. C'è anche Paul Giamatti, bravissimo, nella parte più inutile della sua carriera.
Davvero, vedendo un film come questo viene da pensare che Freud ha fatto molti, molti più guai di quanto si immagina. Quello che non ci viene detto mai è che la melensa, zuccherosa, canterina, sorridente Mary Poppins del brutto film Disney non ha proprio niente da spartire con l'originale dei romanzi della Travers, spigolosa, vanitosa, presuntuosa, comandoira, brusca e del tutto priva di sentimentalismi. E qui arrivo ai miei pensieri di autrice. Io sto incondizionatamente e visceralmente con P. L. Travers prima maniera, quella che vuole il controllo totale della sua creatura, che si batte perché non canti, non balli con i cartoni animati, non sia travisata né trasformata in una Trilly che spande polverina di stelle e sorride con il sorriso troppo dolce di Julie Andrews. Eppure, purtroppo, oggi Mary Poppins è conosciuta da tutti per via del film, nella sua versione stucchevole, perché il potere del cinema è infinitamente superiore a quello della carta stampata. I miei pensieri di lettrice appassionata li trovate qui, e questo film mi ha fatto solo venire i nervi. La mia Mary Poppins è quella che non sorride mai ma fa cose molto, molto più interessanti e divertenti che ballare con i pinguini.
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venerdì 28 febbraio 2014
lunedì 23 aprile 2012
La giornata del libro e un'ecatombe di scrittori

Altri compleanni non ne ho, ma in compenso un'ecatombe di scrittori morti in questa data.
Il più impressionante è il 1616: il 23 aprile in un colpo solo muoiono tre giganti, che dico, tre vette della letteratura, come se nello stesso giorno venissero giù l'Everest, il K2 e l'Annapurna. Cominciamo con Garcilaso de la Vega, nato nel 1539. Proseguiamo con Miguel de Cervantes, nato nel 1547, e terminiamo con William Shakespeare, nato nel 1564. Chissà che cosa si sono detti incontrandosi lungo la strada.
Nel 1850 muore in questa data William Wordsworth, nato nel 1770. E nel 1996 muore Pamela Lyndon Travers, nata nel 1899, la più cara al mio cuore in quanto creatrice di Mary Poppins e autrice di quattro immortali libri che hanno allietato la mia infanzia facendomi sognare un mondo di magie. E dimenticatevi assolutamente la melensaggine dell'omonimo film di Disney, che però ne ha oscurato la fama tanto che su Wikipedia non c'è nessuna voce a lei dedicata.
Non riesco a mettere le immagini non so perché, ho fatto tutto quello che dovevo ma alla fine non mi risultano dove le ho caricate. Misteri del web. Comunque, cercatevele, almeno quelle di P.L. Travers in costume di scena come Titania o con una peccaminosa sigaretta in mano. Altro che Julie Andrews e un poco di zucchero. Mary Poppins era fatta di tutt'altra pasta.
giovedì 24 novembre 2011
Leggere per vivere - la mia storia di lettrice, terza puntata
Felicissima friandise, invece, la serie di Mary Poppins di P. L. Travers. Niente a che vedere con la sdolcinata interpretazione disneyana, Mary Poppins è severissima, autoritaria e piena di difetti, primo dei quali una vanità senza limiti. Altro che i sorrisi di Julie Andrews. Giovanna e Michele, con i loro fratellini minori Giovannino, Barbara e Annabella, sono stati i miei amici per molti anni. Mi affascinava quella vita così diversa dalla mia, fatta di spedizioni per comprare il panpepato (mai saputo che cosa sia), pioggia e soprascarpe, zucchero d’orzo e “mettiti il cappello”, cene nella stanza dei bambini e “se sento una sola parola…”. Una vita di regole rigidissime e infrazioni continue attraverso le magie di Mary Poppins, che lei ogni volta negava in nome di una sua indiscutibile dignità. Le mie storie preferite erano “Venerdì disgraziato”, in cui Michele in crisi di capricci e perfidia spacca un piatto di porcellana su cui è dipinto un paesaggio con figure, poi ci finisce dentro e verifica i guai che ha combinato in quel mondo, “Compere di Natale” dove i bambini incontravano Merope, una delle Pleiadi scesa in terra a cercare i regali di Natale alle sue sorelline, “Il parco nel parco” dove i personaggi di plastilina fatti dai bambini prendevano vita in mezzo all’erba. Quanto volte ho scostato fili d’erba nella speranza di scoprire che vi si agitavano piccole repliche di esseri umani! Per non parlare poi dei personaggi di contorno, Robertson Ay la cui unica incombenza nella vita era lucidare stivali, l’ammiraglio Boom, il poliziotto innamorato della cameriera Ellen sempre raffreddata, un mondo intero insieme rassicurante e sempre pronto a squarciarsi per lasciare entrare Nelly Rubina, la signora Corry dalle dita di zucchero d’orzo e le sue grosse lacrimose figlie, il vento dell’est e quello dell’ovest, gli aquiloni e i pettirossi. Basta dimenticare il film e tuffarsi nelle pagine dei volumi originali per perdersi in un incanto pieno di fantasia e spigoli stimolanti. Ebbi però una grave delusione quando, in quarta o quinta elementare, nell’ora dedicata alla lettura a voce alta, proposi alle mie compagne di classe le vicende della famiglia Banks: troppo irreale, nessuna situazione strappalacrime, ottenni un pollice verso unanime.
Non che disprezzassi le storie patetiche, anzi. Senza famiglia di Hector Malot l’ho molto amato, nel mio baule di ricordi indelebili stanno le frittelle di Mamma Barberin, la povera scimmia Capitano squassata dalla tosse, il signor Vitalis che muore di stenti, la canzone napoletana Fenesta vascia e patrona crudele che fa incontrare Remigio e suo fratello sullo yacht Cigno che avanzava regale nei canali della campagna francese, tra chiuse e argini, trainato da cavalli… E la protagonista di In famiglia, dello stesso autore, mi ha insegnato molto sui meccanismi dell’ascesa sociale: sola, miserrima, raminga, riesce a farsi assumere in una fabbrica, trova rifugio in una capanna abbandonata vicino a un ruscello e investe il primo guadagno in un pezzo di sapone, uno specchietto, un pettine e una pezza di cotone bianco con cui si cuce delle camicie. Così, presentandosi al lavoro pulita e ordinata, inizia una carriera che alla fine la porterà a conquistarsi tutto ciò che le mancava. Magari mi rimanessero in mente con la stessa lucidità i tanti libri che leggo ora, e riuscissi a trarne gli insegnamenti che la mia ignoranza di bambina sapeva raccogliere.
Avere letto tanti romanzi ottocenteschi, fin dall’infanzia, mi ha reso molto sensibile alle dinamiche sociali, alla concreta realtà del lavoro, a pormi sempre la domanda “ma come mangia questo personaggio? come paga l’affitto, i vestiti?” e sicuramente ha influenzato anche il modo in cui costruisco le storie che scrivo. Mi infastidiscono quei libri, non importa se realistici o fantastici, che si svolgono in una borghesia diffusa, sganciata dalle necessità economiche, dove tutti sono liberi di coltivare i propri squisiti tormenti come se i soldi piovessero dal cielo. E anche nella mia vita sono sempre incuriosita dalla provenienza sociale, dalle origini delle persone che incontro.
Non perderò tempo a parlare di quei romanzi “per bambini” che ancora negli anni cinquanta-sessanta facevano parte delle letture obbligate, ma non imposte, che anch’io ho fatto. Mi sono appassionata a I ragazzi della via Pal, Il piccolo lord, Il giardino segreto, Il lampionaio, ovviamente e senza riserve a Piccole donne, un po’ meno a Piccole donne crescono, I ragazzi di Jo, Otto cugini, Rosa in fiore. Di Piccole donne ricordo praticamente tutto, dal primo capitolo con il Natale senza altro dono che il Pilgrim’s progress e la recita casalinga alla morte di Beth e al ritorno del colonnello March dalla guerra. Non mi sono mai fatta una ragione che Jo, con le sue mele mangiate in soffitta e i suoi libri, i capelli tagliati per mandare i soldi al padre, il vestito di tartan (stupenda parola incomprensibile) bruciato sulla schiena, i guanti usati, i pomeriggi passati a leggere all’antipatica cugina ricca che la chiamava Josephine, il coraggio, la capacità di saltare gli steccati, rifiuti l’amore di Laurie. E che se lo sposi quella gatta morta di Amy. Un colpo basso che Louise May Alcott avrebbe potuto risparmiarci, a me e a milioni di altre lettrici. Per farle sposare un vecchio tedesco triste e noioso, poi. Non glielo perdonerò mai e poi mai.
Lessi anche Davide Copperfield in un’edizione illustrata ma completa, assolutamente entusiasta ma scervellandomi su molti particolari incomprensibili. Agghiacciata dalla scena in cui, dopo che la madre, infelicissima per il matrimonio con l’orrido Murdstone, muore insieme al bambino appena nato, Davide viene portato nella stanza dove i due cadaveri giacciono sotto un lenzuolo. Affascinata dalla zia Trottwood furiosa con gli asini che le mangiano i fiori del giardino, schifata da Huria Heep e dalla sua viscida madre, commossa per la triste sorte di Dora Spenlow e il suo panierino di chiavi. Incapace di penetrare i motivi che rendono impossibile il matrimonio tra la bella Emilie e l’eroico Ham Peggotty, dalle mani che sporgono dalle maniche troppo corte. Mah, i misteri della vita sono così tanti e affascinanti che averne incontrato un bel numero in queste pagine meravigliose mi ha sicuramente resa, se non più sveglia, almeno più sensibile e attenta agli altri. Un antidoto efficacissimo contro l’egocentrismo e la contemplazione del proprio ombelico. Come si possa considerare Dickens un autore per bambini non lo capirò mai. Da grande ho letto tutti i suoi romanzi e l’ho elevato nell’empireo dei miei autori guida. Ne parlerò a suo tempo.
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