sabato 29 marzo 2008

L'attimino fuggente, 2

Poche cose mi irritano più della sciatteria, soprattutto di linguaggio. Intendo sciatteria come adesione acritica alle mode, all'imperialismo prepotente e arrogante del linguaggio televisivo, pieno di vezzi che mi fanno lo stesso effetto di un'unghia sulla lavagna. Al momento il mio arcinemico è il trionfante "fare sesso" di cui pare che nessuno possa più fare a meno, e con un'autonomia massima di cinque minuti. Va be', ne ho già parlato. Però ho avuto un colpo al cuore vedendo "Caos calmo", film che mi è parso dignitoso ma mi ha lasciata fredda come un telegiornale di una settimana fa. E' Moretti che mi ha fatta soffrire, Moretti che mi piace quasi sempre ma qui non c'entra. C'è una scena in Palombella rossa, in cui prende a schiaffi una povera giornalista rea di avere detto "un matrimonio in pezzi" e altre frasi fatte, gridando "chi parla male pensa male". Quanto mi ha trovata d'accordo, idealmente al suo fianco, non lo saprà mai. Un mio punto fermo. E in questo film che non ha diretto ma in cui ha collaborato alla sceneggiatura, che mi combina? Dice "buona giornata" e chiama la figlia "pulce". Ahimé, quandoque bonus dormitat Homerus, ma devo concedere a Nanni la stessa indulgenza che a Omero? Ci sono rimasta male, davvero.

sabato 22 marzo 2008

LIBRI CHE FANNO BENE

Ho appena finito di leggere Adele né brutta né bella di Maristella Lippolis, Piemme 2008. Mi ha fatto bene prima di tutto perché è scritto con grazia e freschezza, e affronta argomenti anche pesanti come il razzismo e lo stupro in modo sempre lieve. Poi mi ha fatto bene perché mi ha fatto ricordare tematiche che oggi sono un po' messe da parte e che toccano la dignità della donna, la sua capacità di uscire dalle situazioni che la umiliano senza fare troppi danni, senza infliggere ferite incurabili, anzi, usando l'arma della beffa, dell'ironia che insegna con uno sberleffo. E alla fine suggerisce a mezza voce verità oggi quasi eretiche, che si può stare benissimo da sole, che realizzarsi è più importante che rimanere nei solchi tracciati, che le donne possono, sanno stare insieme anche senza stucchevole autoironia né competizione. Le vicende di Adele, moglie quarantenne un po' grigia e un po' infelice, di Irina, ragazzona russa dal passato avventuroso e dal presente opaco, di Clelia, cuoca saggia e amica di molte risorse, sono narrate da una voce sorniona che ci conduce per mano alla conclusione divertente e rasserenante. Un romanzo profondamente femminile sia nella scrittura che nella storia, che ha molto da insegnare anche ai lettori maschi ma piacerà soprattutto alle signore, le farà sognare di essere con Adele e Irina nella cucina del ristorante di Clelia a fare colazione con una tazzina di crema pasticcera e due biscotti.

domenica 16 marzo 2008

Visto che tutti ne parlano male (dei premi)

Allora dirò anch'io la mia, in controtendenza. E tanto per non fare dell'autobiografia, comincio dalla mia esperienza. Quando ho cominciato a scrivere ero completamente isolata nel senso che i miei amici della scrittura se ne infischiavano se non nella fase finale, quando è pubblicata e si fa leggere. Per parecchi anni ho scritto in totale solitudine, senza confessare il mio vizio neanche al moroso o all'amica del cuore. Secondo me è stato molto utile perché ho sperimentato i miei limiti, e sicuramente mi è servito a trovare una voce, se ce l'ho, e a eliminare, almeno spero, molti dei borborigmi che scappano quando si produce con l'ansia di mettere fuori subito tutto. Comunque. E' poi arrivato il momento in cui mi è venuta voglia di farmi leggere da qualcuno e verificare l'effetto di quello che scrivevo. Ancora adesso un mio grosso problema è che riesco a giudicare, a prodotto finito, se ho realizzato quello che mi ero proposta, ma sono del tutto incapace di capire se piacerà agli altri. Insomma, a chi rivolgermi? Internet non c'era ancora, e probabilmente adesso sarebbe tutto diverso. I concorsi per me sono stati fondamentali. Primo, mi permettevano di farmi leggere senza vedere in faccia il lettore – fondamentale per una che non era ancora riuscita a superare la vergogna per il peccato di presunzione commesso scrivendo e la paura di scoprirsi troppo. Secondo, se le mie opere facevano schifo nessuno me lo veniva a dire risparmiandomi umiliazioni e ali tarpate. Terzo, mi hanno dato un sacco di soddisfazioni. Ne ho vinti parecchi, e ancora rimpiango quel periodo, in cui ogni tanto una telefonata o una lettera mi portavano una bella notizia. Un gioco d'azzardo senza rischi. Quarto, di lì è cominciata la mia "carriera", letteralmente. Uno dei premi che ho vinto consisteva nella pubblicazione del mio testo (un volume di 125 pagine) presso la casa editrice che lo organizzava, e anche se non l'hanno poi molto commercializzato, in compenso me ne hanno regalato quasi duecento copie che mi sono servite tantissimo come biglietto da visita. Poi una bravissima scrittrice che avevo conosciuto alla premiazione, Emilia Bersabea Cirillo, mi ha presentata prima a Filema e poi a Avagliano. E se non avessi pubblicato non avrei conosciuto Massimo Citi e Silvia Treves con tutti gli inenarrabili vantaggi e piaceri che questo incontro ha comportato. E nei vari premi ho conosciuto molte persone con cui sono rimasta in contatto, ci sono stati scambi, ho fatto delle cose, e a poco a poco mi hanno dato la sensazione di fare parte, di non essere più così isolata. Certo io non ero impaziente e l'iter è stato lungo (ma non poi così tanto), e non è che poi sia decollata granché, ma questo è un altro discorso che dipende da tutt'altro, principalmente dai miei limiti caratteriali. E limitatamente ai premi per esordienti, non credo che siano tutti così biechi come vengono dipinti, cioè normalizzatori, incapaci di osare, retrivi. A parte quelli che conosco per essere parte di giuria, quelli che ho frequentato da premiata mi sono sembrati onesti, più o meno qualificati culturalmente, ma onesti. Credo che sia molto diverso il discorso dei premi per libri pubblicati, dove entrano in campo gli interessi delle case editrici. Comunque non è nel merito del discorso generale che volevo entrare, ma solo portare la mia esperienza per spiegare il motivo per cui spezzo una lancia in favore di un'istituzione così universalemente considerata ridicola e patetica come il premio letterario. A me ha dato molto. E io nella scrittura ci credo, eccome.

lunedì 10 marzo 2008

THANK YOU BOYS

Io da ragazzina andavo alle feste. Per fortuna quel periodo è durato poco. A parte l'eccitazione dovuta alla pansessualità adolescenziale, era un gran tormento. Non voglio neppure soffermarmi sulla barbara consuetudine per cui erano esclusivamente i maschi a poter invitare a ballare le ragazze – il cielo mi risparmi patemi uguali a quelli dell'attesa del cenno, spesso caritatevole, che mi avrebbe elevata al rango di "scelta almeno per una volta", o alla desolazione degli eterni tre minuti del disco quando bisognava aver l'aria disinvolta e contenta anche se si era l'unica scartata –, mi limito all'agghiacciante momento dell'entrata. Se ti andava bene, stavano tutti ballando e tu potevi scivolare quatta quatta in qualche angolino in penombra. Ma se era un momento di pausa, ahimè, tutti si voltavano a guardare la nuova arrivata poi, con la stessa occhiata fluida e cieca, si giravano dall'altra – mai che avessero l'aria di essersi accorti che era successo qualcosa, avevi spostato dell'aria, occupavi uno spazio nella stanza. Non li toccava nemmeno il fatto che c'era una in più con cui dividere le pizzette e la cocacola. Sono esperienze che lasciano il segno, e a tutt'oggi non vado pazza per arrivare in un posto dove è già riunita altra gente con cui si suppone che dovrei socializzare. Comunque. Tutto ciò per dire che avevo un po' di paura a entrare nella blogsfera – un po' di gena, a dirla dialettale. Invece questa volta mi hanno vista! mi hanno salutata! e una fettina della mia adolescenza faticosa è stata riscattata. Thank you, boys. E rimaniamo in contatto.

giovedì 6 marzo 2008

L'attimino fuggente

E' ormai sparito nelle nebbie del passato l'attimino, insieme alla rucola, alle spalle imbottite, al Chivas Regal, a tangentopoli, agli yuppies. Ci si può pensare con una certa tenerezza, fa parte dei classici, come piacere, la mia signora, nella misura in cui, il proletariato, il tinello, piccoli marcatori linguistici della storia che abbiamo attraversato. Ma siccome a me piace avere sempre degli arcinemici, ecco che dalle bocche televisive e dalle penne giornalistiche spuntano frotte, legioncelle di nuovi piccoli mostri fatti apposta per turbarmi i sonni. Sono della specie più subdola: insinuanti, carezzevoli, irresistibili, appiccicosi, contagiosi. Apparentemente amichevoli ma letali. Ecco che arriva il risottino mozzafiato, la scoperta devastante, la gonnetta intrigante piuttosto che i pantaloni autoironici. Assolutamente sì. Assolutamente no. Assolutamente. E poi si fa sesso, oh quanto si fa sesso! Una volta ho sentito una colta e gentile relatrice di un convegno che faceva scrittura. Grande! Secondo me avrebbe fatto meglio a far sesso alla grande, anzi a scopare come ai bei vecchi tempi.
So di essere mooolto pistina, e so anche che le mie idiosincrasie lasciano il tempo che trovano perché intanto tutti se ne pascono alla grande mentre a me viene l'orticaria solitaria, tipico morbo del giapponese rimasto a far la guerra nella giungla. Faccio scrittura per fare resistenza. O magari faccio solo pena.