Ne parleranno con l'autrice Bruna Laudi e Massimo Tallone.
E io approfitto di questa fausta occasione per ripubblicare la recensione di Asini, oche e rabbini.
Fresco
di stampa per le edizioni e/o questo bel libro, che la quarta di
copertina definisce romanzo ma in realtà è tutt’altra cosa, anzi, molte
altre cose. È innanzitutto una dichiarazione di appartenenza e identità
ebraica, piena di affetto e orgoglio. È un’autobiografia che si diverte
a ricostruire un teatrino famigliare pullulante di tutto ciò che è
vita, dalle manifestazioni alte come la religione, la tradizione, alle
sue espressioni più basse e corporee, che tanto divertono i bambini,
nulla disdegnando né dimenticando; e la voce della protagonista fa
rivivere davanti ai nostri occhi i personaggi della sua infanzia (alcuni
larger than life come
l'amata-temuta-ammirata madre Fernanda), l’amatissima Ferrara e le sue
nebbie avvolgenti e tiepide, gli oggetti, i cibi, gli spazi della “casa
d’angolo” in città e della Luchinata, la casa di campagna delle estati
di libertà e natura, le parole (moltissime) che trasmettono la cultura
ebraica e i riti familiari, quelle del dialetto ferrarese paterno e
soprattutto quelle del nonno materno Orazio, piemontese e depositario di
formule adatte a qualsiasi occasione.
Man mano che Roberta cresce,
lascia Ferrara per la gelida Torino in seguito alla morte del padre, al
calore della famiglia d’origine si
sostituisce il matrimonio, la nascita di una figlia, dolori grandi,
grandissimi, e piccole difficoltà, le fatiche e le gioie della vita
degli adutli, la voce diventa più dolente e il mondo un po’ più
monocromo. Ma non diminuisce la sensazione di ricchezza che questo libro
trasmette. Il punto di forza è la scrittura sapiente di Roberta Anau,
euforica e barocca, amante dell’accumulo fin dal titolo, dei sinonimi,
delle liste di paragoni e metafore, pimpante e esagerata. Una scrittura
che vuol farsi notare, non teme di portare via la scena ai contenuti,
soprattutto all’inizio in cui sembra che voglia rendere conto dello
stupore goloso di una bambina di fronte alla vita bella e nuova, tutta
da scoprire. È viscerale e carnale, cresce su se stessa, un pensiero
tira l’altro, non ha bisogno di fatti cui appoggiarsi, è sovrabbondante e
ellittica, espressionista. Fa un generoso uso di ironia, condimento
paragonabile solo all’amato grasso d’oca. Sa operare trasformazioni
favolose sulla realtà (basti come esempio l’episodio della conserva di
pomodoro di pagina 125), caratterizza i numerosi personaggi con voci
sempre personali, li accarezza con amore e li punzecchia senza pietà nel
caso che lo meritino.
Asini, oche e rabbini
è un libro intensamente originale sia nell’affrontare l’argomento mille
volte trattato della ricostruzione di un mondo dell’infanzia, sia
nell’appassionata dichiarazione di appartenenza ebraica, nella
sensualità con cui racconta i cibi, la scoperta della sessualità, la
baldanza giovanile e le prime malinconie dell’età, definite con
felicissima ironia le ultime stagioni della mia “età della ragione”.
Per concludere, ottima la scelta editoriale di mettere in copertina i
genitori di Roberta, ritratti nello splendore del loro giorno di nozze.
Un esauriente glossario riunisce i termini ebraici disseminati nel
testo.
Roberta Anau ha vissuto a Ferrara e a Torino, è stata insegnante e ora gestisce un agriturismo, La Miniera, nel Canavese, dove propone cibi della tradizione ebraica e piemontese. Ha pubblicato con Elena Loewenthal Cucina ebraica (Fabbri 2000), La cucina della Bibbia (Il leone verde 2002) con Daniela Messi e Gianburrasca: ragazzo di marzapane e cervello di crema (Il leone verde 2010).
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