Il terzo romanzo di Antonietta Pastore, Mia amata Yuriko, è un ritorno nei luoghi cari all'autrice, in quel Giappone dove ha vissuto sedici anni rimanendo legatissima alla cultura e all'atmosfera che vi regnano, e sviluppando una grande sensibilità soprattutto verso le donne e le loro storie. Questa volta al centro c'è una figura femminile riservata e solitaria, una zia d'aquisto, sorella della suocera Masako per la quale Antonietta Pastore ha sempre parole di grande affetto e rispetto.
Yuriko vive sola in un'antica casa tradizionale, una casa di legno e di carta, in un'isola della baia di Hiroshima. La narratrice, alter ego dell'autrice, la incontra nel 1979, quando aveva già cinquantasette anni, ma non sa molto di lei, a parte il fatto che è divorziata e i fratelli hanno nei suoi confronti un atteggiamento vagamente protettivo. Durante una visita all'isola in compagnia di Masako nel 1982, le tre donne si recano a visitare il Museo della Marina, nel campus delle Forze marittime di Autodifesa. La narratrice è incuriosita dall'atteggiamento della zia, e il genuino interesse verso tutto quello che riguarda la famiglia del marito e in generale la mentalità e la storia del Giappone, la spinge a cercare di scoprire la verità sulla storia personale di Yuriko, sposatasi per amore nel 1944 con un giovane ufficiale di Marina subito partito per il fronte. La sua vita viene pesantemente condizionata dalla storia e dai tragici fatti legati alla guerra, ma malgrado l'argomento difficile Antonietta Pastore riesce a farne un delicato thriller del cuore, sul quale non dico altro perché i fatti vanno scoperti a mano a mano che l'indagine prosegue e la narratrice riesce a ricostruirli, a rimetterli insieme con i mezzi del ricordo, delle immagini, delle parole scritte o sussurrate nella penombra tra donne, sottovoce e con compostezza.
Si impara parecchio sul Giappone, si scoprono notizie inedite anche su un argomento noto come le bombe di Hiroshima e Nagasaki, si entra nelle case e si condividono momenti intimi e quotidiani con gli abitanti, ma il miracolo di questo libro è la scrittura lieve e essenziale, educata, come si muovesse in punta di piedi tra segreti dolorosi custoditi con dignitosa discrezione. L'elegante semplicità della prosa, perfettamente modellata sulla vicenda narrata, ci accompagna nella scoperta di un piccolo mistero e ci regala un romanzo lievemente malinconico, con un fondo delicato di romantica mestizia, sfumato come un paesaggio nella nebbia e preciso nei tratti come un dipinto giapponese.
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