giovedì 8 luglio 2010

Food talk a Cavour


Tempo di vacanze, tempo di viaggiare, tempo di scappare. Sì viaggiare, diceva il poeta, e per me sarà un'abitudine, ma certo mi fa un gran bene come nutrimento del cervello. Spero funzioni anche questa volta. E coltivo qualche sogno per il ritorno. Lascio nel silenzio più profondo le speranze politiche, ormai sono talmente desolata che non so quasi più che cosa sperare. Magari di svegliarmi e scoprire che gli ultimi vent'anni in compagnia del nostro giovane premier erano un brutto sogno, ma non basterebbe.
Ma invece so benissimo che cosa sperare a livello linguistico. Primo, che a tutti quelli che dicono "fare sesso" caschi immediatamente la lingua senza possibilità di ricrescita. Tacerebbe il cento per cento dei film, delle fiction, ecc ecc. Salverei solo Natalia Aspesi cui perdono questo peccato di per sé mortale perché mi piace troppo leggerla. Due, che nessuno più si azzardi a usare in senso transitivo i verbi intransitivi solo per risparmiare qualche "fare" o altri giri di frase. Tre, che caschi un mattone in testa a chi dice "a me stupisce, a me sconcerta, a me diverte, a me calma". Gnurantoni. Quattro, che la smetta di soffiare il vento della restaurazione che fa dire (e scrivere, ovviamente) "ho mostrato loro, ho insegnato loro" e dio mi scampi ogni altro genere di loro. Cinque, che le balene la piantino di spiaggiarsi e ricomincino a arenarsi. Sei, che ogni "assolutamente sì", o anche senza sì, si ficchi in gola a chi lo dice soffocandolo lentamente.
Perdono senza fatica i "peraltro" a inizio frase, i "piuttosto che" al posto del vecchio caro "o", e altre vagonate di peccati veniali che neanche voglio ricordare. Invece voglio ricordare una delle cazzate che mi hanno fatto ridere di più tra le tante che ho letto di ultimo (su Donna, supplemento a la Repubblica del 3 aprile 2010): nella Settimana della Carne a Cavour: assaggi, acquisti, food talk con allevatori e macellai. Ancora rido all'idea di un bel food talk con un maslè di Cavour. Mi mette talmente di buon umore che mi viene persino la speranza che cada il governo, così potremo fare dei gran bei talk tra noi, maslè, tranvieri e cardinali, sul futuro dell'Italia.

domenica 4 luglio 2010

Aurelio Grimaldi, Storia di Enza

Un libro del 1991 dell'autore di Mery per sempre e Le buttane, un po' sparito sia come scrittore che come cineasta dopo i successi degli anni '90. Mi ha colpito, in questo breve romanzo quasi privo di vicende, la voce narrante, un'adolescente nata in una famiglia difficile, sesta di dieci figli di genitori giovanissimi ma inadatti, padre del genere "adorabile mascalzone" e madre altrettanto cliché, luttuosa, invecchiata, carica di rancore ma incapace di liberarsi del marito biondo che la ingravida a ripetizione. Enza sperimenta il collegio e il riformatorio ma non è cattiva, non è delinquente, giusto un po' ribelle e soprattutto, come qualsiasi adolescente, ossessionata dagli ormoni in circolo e nel sesso precoce e disinvolto butta quasi tutta la sua esperienza. Comunque è una voce resa con una capacità di identificazione, una sensibilità, una misura e una conoscenza della psiche femminile adolescente che stupisce. Mi ha fatto tornare in mente una mia allieva che ai tempi del film tratto da Mary per sempre recitava a memoria il monologo della protagonista, tante erano le volte che l'aveva visto e rivisto.
Il romanzo è di 163 pagine, ma se ne possono calcolare la metà perché è diviso in brevissimi capitoli che ne rendono molto agile e veloce la lettura. Se lo trovate su una bancarella o nei remainders vale senz'altro la pena di spenderci qualche euro.

Ghiannis Xanthulis, Lo zio Takis, Crocetti

Continua il discorso che facevo a proposito di Valeria Amerano. Quanti bei libri ci passano vicino senza che ce ne accorgiamo, la vista impedita dalle cataste di quelle cose inutili che chiamano best-seller (con qualche sporadica e lodevole eccezione, ovviamente)? Uno di questi è certo Lo zio Takis di Ghiannis Xanthulis, pubblicato nella mai abbastanza lodata collana di narrativa greca contemporanea di Crocetti nel 2008 e uscito in edizione originale nel 2005. Di questo autore mi ero già invaghita con Il liquore morto (Crocetti 2003) che con lo Zio Takis ha parecchi punti incontatto, oltre alla bellezza. Anche qui siamo in una Atene povera e non ancora stravolta dalla speculazione edilizia, e al centro c'è una palazzina alle falde del Licabetto, una di quelle case unifamiliari a più piani che ancora si riescono a incontrare in qualche angolo nascosto dell'Atene di oggi. E' il 1951, la Grecia è appena uscita dalla guerra civile che l'ha dilaniata, i comunisti vanno al confino e sono torturati, tutti sono magri, gli uomini portano il cappotto e il cappello, le donne il tailleur stretto in vita. La famiglia Vasiliadis vive una sua vita borghese e qualsiasi: il padre Nilos è professore di matematica e fisica in una scuola superiore, la madre Zoì è malata di cuore, le figlie Martha e Aretì vivono vite da donne, il figlio Takis studia legge, lo zio Lambros è avvocato e ha un'amante attrice, Ketty, nei sotterranei della cucina e del deposito di carbone vive la zia Katingo, la Guardiana dell'Inferno. E su questa calma si abbatte un ciclone, una storia di pedofilia che è solo l'inizio di un susseguirsi di scoperte che sono tali solo per il lettore, perché sotto il perbenismo dei Vasiliadis ce n'è per tutti, incesto sodomia promiscuità assassinio, e tutti sanno tutto ma non parlano... Katingo, dal suo sotterraneo dove sente ogni parola pronuciata nella casa, su tutto regna come una Nemesi padrona della vita e della morte. Nell'incontro con i Vasiliadis anche Ketty, innocente a suo modo, viene coinvolta nelle tragedie familiari, Aretì segue il fidanzato a Istanbul dove sarà testimone di uno dei grandi traumi della tormentata storia tra greci e turchi, il pogrom del 1952, Takis parte volontario con il contingente greco per la guerra di Corea. Nella casa di via Asklipiù, sotto il Licabetto, si aggirano fantasmi licenziosi e sboccati, rissosi e maligni, che spaventano le serve fino a farle impazzire mentre le piante di fico dell'abbandono invadono fondamenta e scale. Ma c'è anche un fantasma benevolo, pronto a comparire nei momenti più difficili per proteggere Aretì fischiettando un blues di Cole Porter.
Un romanzo veramente avvincente che farà felice chiunque abbia messo piede a Atene anche una volta sola, anche solo in transito per un'isola smemorata che di greco ormai non conserva altro che il nome. Un romanzo visionario ma concretissimo, pieno di fantasia e legato alla storia, che dipinge un'Atene e una Istanbul che non ci sono più ma si intravedono ancora in controluce. Scritto benissimo, oltretutto, veloce, asciutto, spiritoso, crudo.
Che meriterebbe di essere letto, conosciuto e recensito in ben altri luoghi che questo blog. A me piacerebbe molto convincere anche un solo lettore, sono sicura che ne trarrei grande riconoscenza per avergli fatto conoscere Ghianni Xanthulis: nato nel 1947 a Alexandrùpolis da una famiglia originaria della Tracia orientale, giornalista, drammaturgo, illustratore di libri per l'infanzia, ha esordito nel 1981 e ha pubblicato quindici libri, pluritradotti.