domenica 31 gennaio 2016

La nostalgia canaglia per il mondo che cambia: Paolo Ferruccio Cuniberti, Body and Soul, e Isabella Bossi Fedrigotti, Quando il mondo era in ordine

Due libri accomunati solo dal fatto che gli autori sono italiani e che entrambi parlano per così dire il linguaggio della nostalgia, sia pure con modi e finalità diverse.

Body and soul di Paolo Ferruccio Cuniberti è la storia, narrata in prima persona, di Guido, un vaporoso perdigiorno degli anni '70. Gran giocatore di biliardo, frequentatore assiduo del bar Esperia di Torino, senza nessun impegno né politico né esistenziale, ha una ex morosa rigorosa e materna che lo accudisce distrattamente, e si barcamena con un lavoretto da custode notturno di un magazzino di elettrodomestici. Tra una manifestazione in cui il protagonista viene coinvolto casualmente e una visita ai genitori nell'Astigiano, l'esile vicenda si sviluppa veloce e lineare: Guido è un vaso di coccio tra vasi di ferro, uno sprovveduto che cerca di fare un imbroglio di piccolo cabotaggio ma si scontra con delinquenti assai più scafati. Bello e insolito il personaggio femminile, e simpatici tutti i personaggi di contorno; inoltre assai importante è l'air du temps, efficacemente ricostruita con molti particolari che riportano a una Torino sparita ma non defunta, alle tensioni politiche e alle abitudini giovanili dell'epoca. Body and soul è una lettura molto gradevole, con una scrittura amichevole e precisa.


La nostalgia di Isabella Bossi Fedrigotti ha tutt'altro colore.  
Quando il mondo era in ordine si riferisce al periodo dorato dell'infanzia, e i protagonisti sono dei bambini senza nome che parlano sempre al plurale ("noi bambini", e solo verso la fine qualche cenno e desinenza in a fa intuire che c'è un io narrante singolo e femminile). Figli di una famiglia abbiente e soprattutto signorile (l'autrice non si dimentica mai di essere Di buona famiglia), vivono in un piccolo paese del Trentino dove il padre, proprietario terriero, si occupa delle vigne e della produzione di vino. Ci sono molti dipendenti in casa: una cuoca, una cameriera, un cameriere, una signorina, più giardinieri ecc. La vita è frugale ma completamente diversa da quella dei compagni di scuola, gente modesta ma molto più disposta a spendere, e segue riti e abitudini che rendono i ragazzi insieme estranei e fonte di stupore per gli amici che non appartengono alla loro classe sociale ma condividono i giochi pomeridiani nel grande giardino della casa. Quando a poco a poco tutto cambia, non tanto per qualcosa che succede (non succede nulla in realtà nel libro) ma semplicemente perché è il mondo a cambiare, e dagli anni '50 che conservano tracce della vita anteguerra si passa progressivamente alla modernità, non si può che adeguarsi di buon grado. Non so quanto siano autobiografiche queste pagine (in un'intervista anche l'autrice dice non saperlo più) ma l'impressione che si ricava leggendo è che lo siano davvero molto. Anche Quando il mondo era in ordine è una lettura gradevole, che riesce nell'impresa quasi miracolosa di non essere mai irritante.   

giovedì 28 gennaio 2016

Se lo stalker si confessa: Scott Spencer, Un amore senza fine

Che strano romanzo questo di Scott Spencer, Un amore senza fine. Uscito negli USA nel 1979, in Italia ho trovato tracce di un'edizione del 1981 (ma non sono riuscita a scoprire né l'editore né il traduttore) e di un'altra del 1986 per la De Agostini, sempre senza nome del traduttore. Sellerio l'ha ripubblicato nel 2015, con la traduzione di Francesco Franconero. Ha avuto un gran successo e ne sono stati tratti due film, pare orridi, soprattutto il primo, del 1981, di Franco Zeffirelli, mentre il secondo è di Shana Feste, del 2014. Considerato dai critici ormai un classico della letteratura nordamericana del '900 (ma questo si legge più o meno di tutti i répechage editoriali), amato da pubblico e scrittori illustri, mi ha fatto pensare parecchio.

La vicenda inizia nell'estate del 1967 e si dipana nell'arco di una decina d'anni, con lunghi momenti di pausa e altri di accelerazione. Il protagonista David Axelroad, diciassettenne di Chicago di famiglia ebrea ex comunista, dà fuoco alla casa della morosa coetanea, Jade Butterfield, di famiglia molto alternativa, padre medico new age e madre aspirante scrittrice. Ne è stato allontato dal padre di Jade e da Jade stessa perché il rapporto tra i due era diventato troppo ossessivo, tanto che praticamente viveva con loro, e vorrebbe farsi dei meriti spegnendo lui stesso i giornali che ha acceso nella veranda e apparendo così il loro salvatore, ma ha sottovalutato la potenza del fuoco e in pochi minuti tutta la casa è in fiamme. La famiglia Butterfield, genitori e tre figli adolescenti, rischia di morire perché in pieno trip da LSD, che stanno sperimentando insieme.
Non succede una tragedia, ma David finisce in una clinica psichiatrica con l'interdizione totale di contattare i membri della famiglia Butterfield, mentre i due nuclei familiari si disintegrano. Però questa è la storia di un'ossessione: difficile definire amore questa fissazione che fa fare a David ogni sorta di follia, gli fa infrangere le regole e ottenere delle vittorie che non sono tali alla fin fine, forse perché ci si mette di mezzo il destino e forse perché l'esaltazione amorosa adolescenziale non può durare in eterno.
Martin Hewitt e Brooke Shields protagonisti di Amore senza fine di Franco Zefirelli (1981)

Tutto il romanzo, ben 592 pagine (ma in dimensione Sellerio), in cui David è l'io narrante, è l'analisi di un sentimento, l'approfondimento continuo di questo sentimento, la narrazione degli sforzi tenaci, ciechi, instancabili, di David per poter rivivere pienamente questo sentimento e ricuperare tutto quello che lo ha reso felice nel passato, cioè Jade e la sua famiglia. Gli eventi esterni sono pochi, riuniti in alcuni snodi narrativi che accelerano la vicenda, mentre il viaggio nella mente amorosa di David pervade tutto il libro. Impossibile non provare empatia per il personaggio, pur rendendosi conto della follia del suo agire, autolesionistico e talvolta spaventoso. I personaggi di contorno sono altrettanto singolari, da Jade oggetto di passione e soggetto appassionato ma capace di razionalità (anche se come sempre nelle storie d'amore ossessivo l'oggetto d'amore non esiste, non ha volto né voce, e infatti di lei sappiamo solo quello che fa o dice quando ricompare sulla scena, ma il suo pensiero è sempre interpretato da David), ai genitori di entrambi i ragazzi (tra cui Ann Butterfield è la più sfaccettata), i fratelli, le pochissime persone con cui David interagisce, tutti filtrati dalla visione ossessiva dell'obiettivo finale, la riconquista dell'amore.

Gabrielle Wilde e Alex Pettyfer protagonisti di Un amore senza fine di Shane Feste (2014)
Non è un romanzo adatto a tutti, bisogna essere capaci di sospendere il giudizio e lasciarsi andare insieme a David alla sua pazzia amorosa, per seguire quella che è in sostanza la torrenziale autoconfessione di uno stalker. Ma a chi ha il coraggio di affondare con lui darà molto, avvolgendolo nelle spire di parole e di immagini che si agitano nella mente di David con la grazia delle volute di fumo e la precisione iperrealistica degli incubi. E anche molto interessante l'air du temps che ne esala, tra l'impegno politico degli Axelroad e i loro amici e l'hippismo svagato dei Butterfield. Quella però che disturba parecchio è la traduzione, costellata di errori marchiani e goffaggini che in certi punti danno davvero fastidio.      

martedì 12 gennaio 2016

Sono più importanti i sentimenti o una finanziera fatta come si deve? Elisabetta Chicco Vitzizzai, L'amore come sai.

Dietro il bellissimo titolo L'amore come sai di Elisabetta Chicco Vitzizzai, ora anche in ebook, si nasconde una storia dolente e cattivella, che darà un grande piacere al lettore abbastanza sofisticato da non cercare consolazione né lieto fine. Ma non pensate a un libro cupo, a lacrimevoli patetismi: Elisabetta Chicco Vitzizzai ha molte frecce al suo arco e forse la principale è la capacità di ironia e di colorare di grottesco le situazioni più scabrose.

È una storia a due voci, in cui il narratore onnisciente entra con disinvoltura nella testa dei due personaggi principali: l'anziano e vedovo notaio in pensione Renzo Belmondy e la violinista Livia De Maria, trentasettenne di modesta estrazione sociale e scarsi mezzi. La distanza tra i due è grande sia in termini di età che di posizione, ma scocca comunque qualcosa che per convenzione chiamiamo amore. Tutta la storia, condotta con grande abilità psicologica e di scrittura, sta nel modo in cui Renzo e Livia si avvicinano senza incontrarsi né capirsi, si girano attorno spinti da motivazioni e bisogni opposti, da illusioni e equivoci, dove il paradosso sta nel fatto che è la giovane a avere bisogno d'amore (e sicurezze) mentre il vecchio in realtà non ha bisogno di niente, neppure della sua giovinezza; per allontanarsi poi senza essersi veramente visti come sono in realtà.

Quello che conta di più, però, è che i personaggi si muovono in una Torino fantasticamente lontana nel tempo, anche se la vicenda si svolge nei primi anni '60 del secolo scorso. La cura dei dettagli, dei tic, delle abitudini, dei modi di parlare, di mangiare, di vestirsi che Elisabetta Chicco Vitzizzai mette nei suoi libri è ben nota, e anche qui la sua maestria non si smentisce. La casa pomposa e polverosa del notaio abitata dal fantasma della formidabile Teresa, la moglie defunta, la squallida camera ammobiliata dove vive Livia, lo stanzone nudo con vista sul Po dove gli amanti malassortiti si incontrano, la ricetta della finanziera à la mode di Teresa, la vecchia serva, la stizzosa padrona della pensione di Livia, assumono un'importanza pari alla storia di sentimenti nel fornire al lettore momenti di vero piacere, e L'amore come sai di questi momenti ne offre molti. 


 

lunedì 11 gennaio 2016

Due bei film tra guerra e pace: Perfect Day di Fernando León de Aranoa e Little sister di Hirokazu Kore-Eda.

So di avere perso qualsiasi credibilità nel momento in cui ho detto che mi sono molto divertita a vedere Star Wars: Il risveglio della forza, cosa che non si porta affatto in questo momento, ma tant'è. Io mi sono divertita, e ciononostante adesso sono qui a consigliare due film che ho molto apprezzato: lo spagnolo (e magnifico) Perfect Day di Fernando León de Aranoa e il giapponese Little Sister di Hirokazu Kore-Eda.


Perfect Day è un film tosto, anzi una storia tosta: si svolge durante la guerra in Serbia nel 1995, a ridosso della pace, che ironicamente porterà anche problemi al gruppo di operatori umanitari che tra mille difficoltà cercano di aiutare la popolazione. Qui si tratta di tirare fuori un cadavere da un pozzo per bonificarlo, ma manca la corda e quindi bisogna partire alla ricerca destreggiandosi tra strade minate, burocrazia ONU, eserciti locali e incomprensibili faide, senza perdere di vista l'aspetto umano, le necessità dei bambini, i propri pasticci sentimentali, la morte incombente e la morte nascosta, e gli altri che vivono in un altro mondo, in pace. Quello che ho trovato miracoloso è l'equilibrio tra tensione narrativa, pathos, sorpresa e descrizione anche fulminea dei caratteri di contorno. Gli interpreti sono veramente ottimi e i personaggi molto ben delineati, anche quelli femminili che a tutta prima possono apparire stereotipati ma in realtà sono assai sottili  (ma la mia preferenza va senza esitazioni al B interpretato da Tim Robbins). E non perdetevi assolutamente il finale, che senza indulgere in nessun tipo di consolazione né attenuazione, riesce persino a far sorridere e, anche qui miracolosamente, lascia lo spettatore rasserenato.
Le spettacolari location sono tutte in Spagna, tra Granada, Cuenca e Malaga.  

E se siete in uno di quei giorni un po' così, che si vorrebbe solo una spalla amica cui appoggiarsi, allora Little Sister è quello che fa per voi. Siamo ai giorni nostri, a Kamakura, sonnolenta cittadina tra mare e montagne, dove ci si sposta con un trenino e si vive senza attriti tra modernità e tradizioni ancora molto sentite. Tre sorelle sui vent'anni, Sachi, Yoshino e Chika, al funerale del padre che le ha abbandonate da quindici anni conoscono la sorellastra Suzu e la invitano a vivere con loro nella grande casa antica dove sono rimaste sole dopo la morte della nonna e la partenza della madre per Sapporo. Ognuna delle quattro ragazze, ben delineate come personaggi, ha i suoi problemi (e ci mancherebbe, con una famiglia come quella): Sachi, infermiera, un amore difficile e un eccesso di impegno sia in casa che sul lavoro; Yoshino, impiegata, tende a scegliere uomini sbagliati e indulgere all'alcol; Chika, commessa, è giocherellona ma anche lei ancora incerta sul suo posto nel mondo. Tutte e tre sono affettuose con Suzu, gentili, e a poco a poco la piccola Suzu riesce a tirare fuori i dolori che ha dentro. Ma oltre alle dinamiche relazionali delle sorelle, appena accennate e descritte con mano leggerissima, c'è tutto un mondo di personaggi accattivanti, anche loro sofficemente accoglienti, la proprietaria del ristorante dove vanno spesso, la zia, i compagni di lavoro e di scuola. Tutt'intorno, la cittadina intera e la sua vita segnata di rituali narrati con naturalezza senza indulgere al colore locale, i funerali e le cerimonie di commemorazione, la fioritura dei ciliegi, la pesca dei bianchetti, i fuochi d'artificio sul mare, la raccolta delle prugne per farne un liquore. Persino il personaggio della madre, dal comportamento piuttosto discutibile secondo me, è trattato con discrezione, e c'è l'addio amoroso più understated della storia del cinema. Le ragazze sono incantevoli. Questo film delicato e rasserenante è basato su Umimachi Diary, una serie manga di Akimi Yoshida.

domenica 10 gennaio 2016

L'autore nell'epoca della sua riproducibilità tecnica: Alice Basso, L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome

Alice Basso "è nata nel 1979 a Milano e ora vive in un ridente borgo medievale fuori Torino. Lavora in una casa editrice. Nel tempo libero canta in una band di rock acustico per cui scrive anche i testi delle canzoni. Suona il sassofono, ama disegnare, cucina male, guida ancora peggio e di sport nemmeno a parlarne. L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome è il suo primo romanzo" (cito da IoScrittore). Un romanzo che farà piangere molti autori, e farà felici tutti quelli dicono con aria blasé oggi scrivono tutti, che ci vuole a scrivere un libro? Se solo avessi tempo... ma, ne sono sicura, andrà benissimo, piacerà a molti (o meglio a molte), avrà ottime recensioni, meritate, e da cui sgorgheranno vivaci sequel che ci informeranno sulle vicende della protagonista Vani Sarca, di professione ghostwriter presso le Edizioni L'Erica, trentaquattrenne single molto intelligente, scontrosa, anche troppo sicura di sé, dark fuori tempo massimo e dotata di quello che lei chiama empatia - cioè la capacità di entrare dentro a una persona e seguirne i processi mentali, dote che le serve sia nel suo lavoro che nelle avventure vagamente gialle in cui si infila, permettendole di risolvere situazioni anche molto pericolose.

La vicenda in due parole comporta una buona dose di rosa (Vani apprezza gli uomini attraenti, e loro apprezzano lei), un grandissimo sfoggio, anzi diciamo pure uno scialo, di cultura letteraria e altro, una prosa molto esperta, densa di battute e soprattutto di battibecchi brillanti tra la protagonista (che effettivamente si sente molto strafiga) e i deuteragonisti (se voglio anch'io posso esibire uno scampolo di cultura!). Sotto la superficie anche troppo brillante nasconde una ferrea coscienza degli elementi oggi necessari per fare un libro di successo: un'eroina (appena un po') fuori dagli schemi, un po' di romance condito con quantità un po' eccessive di frizzanti botta e risposta, un bel tenebroso (ma non troppo), una blandissima sfumatura di giallo tanto per poter inserire il personaggio più importante, quello ormai indispensabile in qualunque prodotto letterario: il commissario. Perché si sa che il lettore, senza un commissario nei paraggi, è perduto e facilmente abbandonerà il libro che ne è sprovvisto.

Ma quello che mi ha veramente appassionato in L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome è che sancisce tranquillamente l'assoluta superfluità dell'autore. Che ci vuole a scrivere un libro, dice? E Vani Sarca ci dimostra che è proprio così, anzi dev'essere così perché l'autore non ce la fa, e se ce la fa non è all'altezza. L'autore, ci dice Alice Basso, è solo il testimonial di un prodotto, che deve avere determinate caratteristiche per vendere, e quindi è bene che lo produca qualcuno che se ne intende, - il ghostwriter appunto, l'esperto di lavoro editoriale cui basta aver letto qualcosa di un "autore" per essere in grado di riprodurlo migliorandolo, anzi ottimizzandolo. Altro che le sudate carte e stronzate varie. Il mercato è una cosa seria, fatti in là caro mio, e lascia fare a noi che ce ne intendiamo. Con un cortocircuito abbagliante: Alice Basso è ghostwriter nella vita reale, e il suo libro in effetti è perfetto nel suo genere, non saprei trovargli un difetto. E chiunque sappia apprezzare un prodotto ben fatto, e mi ci metto anch'io, proverà piacere nel leggerlo, e un senso di tranquilla sicurezza al pensiero che basta aspettare e ritroveremo Vani Sarca, il commissario Berganza, l'editore Enrico Fuschi & C in un'altra brillante avventura. Chissà se ci sarà ancora Alice Basso. In fondo, anche lei è solo un pleonasmo.    


lunedì 4 gennaio 2016

C'era una volta a Shibuya, nel cuore di Tokyo, un piccolo cinema antiquato: Abe Kazushige, Il proiezionista

Pubblicato nell'ormai remoto 1997 dall'allora ventinovenne Abe Kazushige, Il proiezionista è un romanzo molto interessante anche se abbastanza faticoso da leggere, soprattutto nella prima parte, e talvolta un po' eccessivamente analitico e ripetitivo. Ma questi sono gli unici punti deboli di un libro che dà prima di tutto uno spaccato sociale di un paese che affascina (anche se sinceramente non so quanto sia realistico), costruisce un'ambientazione urbana potente e precisa, poi sconcerta per la mancanza di spiegazioni e punti fermi.

Onuma, poco più che ventenne, soffre di emicranie, si eccita all'ascolto di Julio Iglesias, vive da solo in un monolocale a Shibuya, quartiere centrale di Tokyo, e per sbarcare il lunario fa il proiezionista in un fatiscente e antiquato cinema, destinato a sparire prima o poi per lasciare posto a un palazzo della speculazione edilizia. Dietro alle sue giovani spalle c'è già un passato complesso, che gli si ripresenta drammaticamente davanti quando viene a sapere di un grave incidente con cinque morti, quattro dei quali erano stati suoi compagni alla Scuola della pura trascendenza, dove sotto la guida del misterioso Masaki imparavano a battersi in tutti i modi e a praticare l'investigazione. Questo basti per quel che riguarda la trama, complicatissima e insieme impalpabile e inafferrabile, e che più che a Tarantino evocato in quarta di copertina, mi ha fatto pensare a una moderna fiaba urbana in cui la via del protagonista Pollicino è disseminata di ostacoli enormi che si dissolvono guardandoli da vicino.

Gli argomenti trattati sono moltissimi, dallo spionaggio all'onnipresente (ma talvolta goffa) yakuza, dal cinema porno alla prostituzione minorile, dalla violenza in tutte le sue forme alla vita quotidiana. Il protagonista è via via sempre meno affidabile, mentre la realtà concreta si sfalda e si fa trasparente come un fondale logoro che che lascia trasparire ciò che doveva restare nascosto. Piacerà a chi della letteratura apprezza l'aspetto ingannevole, artificiale, la finzione, mentre disturberà o infastidirà chi cerca identificazione, emozione, approfondimento psicologico. In realtà non è facile capirne il senso e se in certi momenti sembra andare verso una rivelazione che darà un significato al tutto - o almeno a un ribaltamento del punto di vista che ci è stato proposto fino a quel momento -, in realtà questo non succede mai lasciandoci con un palmo di naso, furiosi o piacevolmente interdetti a seconda del nostro grado di sofisticazione.

La violenza è puramente decorativa, esagerata, ma anche un valore importante e forse l'unico cui affidarsi, in cui credere e per cui fare sforzi. Anche il sesso, che ha la sua ovvia e fondamentale importanza, non coincide mai con l'amore che forse non c'è neanche sotto forma di aspirazione o aspettativa, mentre le perversioni hanno uno spazio che si sente, e si ribaltano anch'esse nel loro contrario in poche pagine.
Come si può intuire è un romanzo molto insolito, dove i numerosi personaggi sfuggono e si sovrappongono, appaiono e spariscono, i luoghi mutano, si trasformano, in una nebbia vagamente onirica e forse molto drogata. Ogni cosa si ribalta nel suo contrario. E' il racconto dell'impermanenza, un "mondo fluttuante" perché definirne i confini è impossibile.
Qua e là sono sparsi indizi che però non portano a nulla, maliziosi tranelli dell'autore disseminati sulla strada del lettore tradizionale abituato a 1+2=3, mentre qui 1+2 equivale a 3 o a 1738 o anche ABC, indifferentemente.
La scorrevole e flessibile traduzione è di Gianluca Coci, per le geniali edizioni Calabuig.