 |
Parangtritis, Giakarta, Indonesia |
Il viaggio ha avuto e
continua a avere molta importanza nella mia vita e di conseguenza nella mia
scrittura e nei miei libri. Prima viene la lettura, poi il viaggio, inestricabilmente collegati dal fascino delle parole, e di lì poi arriva la scrittura.
Infanzia, l’India.
Per
molto anni per me il viaggio è stato sogno. Non era come adesso che i bambini a
pochi mesi sono già stati in tutto il mondo. Sono stata per la prima volta
all’estero che avrò avuto dieci undici anni. Però ancora prima che imparassi a
leggere, mio padre faceva con me un gioco che mi ha segnata: facevamo dei
viaggi sull’atlante. Mi faceva vedere la carta, i paesi, mi raccontava le cose
che c’erano, le abitudini, quello che aveva imparato dai libri, perché era un
grandissimo lettore ma non aveva viaggiato affatto. Di qui, e dal fatto che mi
leggeva i libri a alta voce o mi faceva vedere le figure, derivano i miei due
grandi amori: la lettura e i viaggi. I libri sono stati i primi veicoli della
mia immaginazione e dei miei viaggi.
 |
Puri, Orissa, India |
Tra
i libri che hanno abitato e riempito la mia infanzia abbastanza solitaria e
piena di preziosi tempi morti, fondamentali sono stati quelli di Salgari.
Questo autore che aveva una fantasia sterminata e pochissima esperienza dei
luoghi, ha saputo infondere nei suoi libri un senso di meraviglia, di stupore,
curiosità, lontananza, che non è solo banale esotismo. Di Salgari ho letto
tantissimo, sono stata talmente innamorata del Corsaro Nero che quasi non
riuscivo a dirne il nome a alta voce, mi ricordo brani interi. Ma quelli che mi
hanno veramente segnato sono stati Tremalnaik e i misteri della giungla nera.
L’India. Kammamuri il fedele maharatto, i thug, il tempio della dea Kali in
mezzo alla giungla, la sacerdotessa folle, i Sunderbans eccetera. E poi le parole. Il
babirussa, l’albero del pane, il mango dal gusto di mille sorbetti, il
ramsinga, il kriss, il sampan… Ho sempre amato molto le parole, proprio in
quanto tali, non per ciò che rappresentano. Non mi importa tanto sapere com’è
fatto veramente un babirussa o a che cosa serve il ramsinga, ma quelle due
parole mi appagano proprio di per sé. E quando sono finalmente andata in
India la prima volta sono rimasta senza parole: c’era tutto quello che diceva
Salgari. Gli avvoltoi spazzini delle città, i vicoli di Benares, le pire
fumanti, tutto. Sono i thug non li ho visti anche se sono andata nella loro
città, Jabalpur. Comunque, l’India è presentissima nelle cose che scrivo.
Rappresenta la lontananza, e la diversità. È diventata una delle mie patrie
d’elezione. Mi ha ispirato tantissimo. C’è in D'amore e no, Il gioco della masca, Est di Cipango, Irene a mosaico, Lei coltiva fiori bianchi, Gatta, Topina e Buon Anno, Alcune ipotesi di vita al femminile, Le case di paglia e le case di pietra.
 |
Puri, Orissa, India |
Mezza Anguria.
Un
buon esempio è un racconto che appare nel volume Il gioco della masca. È la
storia di un mendicante, Mezza Anguria, detto così perché ha la faccia invasa
da una massa di carne che gli divora i lineamenti, e essendo così spaventoso
paradossalmente come mendicante ha molto successo. È anche la storia di un suo
amore disperato e assoluto per una ragazza che non può ricambiarlo anche se lo
sposa. Questo racconto è nato dal fatto che una sera alla stazione di Delhi, aspettando che il mio treno partisse, sono andata a un teastall dove c'erano due tizi che chiacchieravano amabilmente bevendo un tè. Uno aveva una
voce raschiante, quasi un rantolo. Quando l'ho guardato ho visto quello che sarebbe diventato Mezza Anguria, un viso mostruoso e un comportamento del tutto normale. Giunta a Ajmer, nel Rajahstan, l'ho incontrato nuovamente. Chiedeva l'elemosina fuori dal Dargha, un centro di pellegrinaggio musulmano molto frequentato. E' scattato qualcosa, ho cominciato a pensare: come può vivere una
persona così? Così è nato il racconto di Mezza Anguria.
Fece
amicizia con i facchini scalzi dalle belle giacche rosse che passavano le
giornate accovacciati sui gradini della stazione in attesa di viaggiatori cui
strappare valigie e bauli, e da loro imparò tutti gli orari dei treni in
transito. Con una piccola mancia all'incaricato di ritirare i biglietti ottenne
l'accesso ai binari ogni volta che voleva, saliva sui treni durante le lunghe
soste o passeggiava lungo i vagoni di prima classe chiusi a chiave, spingendo
la faccia contro le reti metalliche e le sbarre che difendevano i ricchi. I
treni gli rendevano bene; in genere gli bastava mostrarsi per ottenere il
pedaggio che avrebbe liberato i viaggiatori dalla sua presenza, ma se qualcuno
riusciva a voltare la testa fingendo di non averlo visto, una litania di
preghiere e benedizioni recitate con la sua voce innaturale otteneva l'effetto
voluto. [...]
Se poi
riusciva, dopo averli spaventati a Delhi, a sorprenderli ad Ajmer affacciandosi
ai finestrini con l'impercettibile stiramento della fessura che era tutto il
suo sorriso, quelli sganciavano biglietti da dieci o venti rupie
immediatamente, nell'illusione di poter così dimenticare ciò che i loro occhi
increduli avevano visto loro malgrado. (Dal racconto Mezza Anguria, in Il gioco della masca).
 |
Samotracia (Grecia) vista da Gokceada, Turchia |
Scrivere per impossessarsi dei luoghi, la Grecia.
Anche
quello verso la scrittura per me è stato un lungo viaggio di avvicinamento. Il
primo racconto che ho scritto, nel 1982, si intitola Quattro
storie di viaggio. Immagino che quattro viaggiatori occidentali solitari si
trovino la sera in un losmen in Indonesia, fa caldo, non c’è l’elettricità,
intorno c’è la notte nera, solitudine, insetti. Uno comincia a parlare,
racconta il motivo per cui si trova lì da solo, poi a uno a uno ognuno racconta
quel pezzo di storia che giustifica il suo essere lì, un momento che compendia
tutta la sua vita. La mattina dopo non si salutano nemmeno, e ognuno riprende
la sua strada. Ero appena tornata da un viaggio in Indonesia. Adesso certamente
non mi riconosco più nel modo in cui l’ho scritto, ma i temi mi appartengono.
A
me piace viaggiare per catturare i luoghi, le atmosfere. Scriverne è un modo
per riviverli e anche per impossessarmene definitivamente. Da luoghi di tutti,
diventano luoghi solo miei.
Quello
che per me è stato il primo paese dell’immaginario che ho conosciuto, in cui ho
viaggiato di più, da più di mezzo secolo quasi ogni anno, è la Grecia. La
conosco bene, è la prima delle mie due patrie d’elezione, cui si è aggiunta l'Anatolia su cui però non ho quasi mai scritto a parte un racconto in Gatta, Topina e Buon Anno, non so perché. Ma mentre l’India è
grande, lontana, difficile, oscura e spaventosa, la Grecia è vicina, familiare,
sorella, facile. Eppure la maggior parte delle cose che ho scritto sulla Grecia
sono legate a argomenti oscuri. Vi ho ambientato storie di fantasmi, di potenze
magiche, di miti spaventosi, rivisitazioni di fiabe cruente, non so perché.
Forse sotto la solarità classica ci ho sempre visto la prevalenza dell’Ade. Quando
mi hanno chiesto di partecipare a un’antologia di racconti scritti da donne
ispirati ai temi di Lovecraft, mi è venuto spontaneo ambientare la mia storia in Grecia. Si chiama Resurgam, e si rifà sia a miti classici che a quello della Grande
Madre mediterranea. La Grecia è presente in Est di Cipango, Irene a mosaico, Lei coltiva fiori bianchi, Il cuore in ballo, Gatta, Topina e Buon Anno, Alcune ipotesi di vita al femminile, Le case di paglia e le case di pietra e soprattutto Gli anni al sole che è ambientato per la maggior parte a Chios. L’altro aspetto per cui la Grecia è molto presente è, ovviamente, il
mare.
 |
Milos, Grecia |
A che cosa serve il
viaggio.
Vorrei aggiungere una cosa: quando parlo di viaggio in questo contesto, bisogna
dimenticare i significati di vacanza, relax, distrazione, riposo o insomma
tutti i sinonimi che si danno al viaggio in questi giorni di pacchetti vacanze
dall’altra parte del mondo. Io mi riferisco al viaggio come spostamento,
spaesamento, allontanamento da quello che costituisce la nostra vita
quotidiana, ma anche dai problemi, i pensieri dominanti, quando facendo tabula
rasa ci si dimentica di noi stessi, e ci si apre a quello che ci circonda. Ci si
presenta al mondo solo con la nostra faccia e un passaporto, magari anche una
carta di credito, ma comunque nessuno ci conosce. Il contrario del famigerato lei non sa chi sono io: nessuno sa chi
sono io.
A
che cosa serve insomma il viaggio, se lasciamo a parte il viaggio-divertimento
di massa, il viaggio-pacchetto vacanze? Secondo me, prima di tutto a imparare.
Chi viaggia deve per forza rendersi conto che ci sono altre vite, altre
culture, altre realtà, che lui e la sua piccola vita non sono l’ombelico del
mondo. (Naturalmente c’è chi viaggia per trovare conferme a quest’idea, ma qui
non ce ne occupiamo). Il viaggio è andare dove non si capisce la lingua e non si trova niente di quello
che c’è a casa, serve a imparare la differenza e la mancanza. A aprire i sensi
a odori, sensazioni tattili, concetti di bellezza diversi da quelli cui si è
abituati. Apprezzare di più quello che si ha, al ritorno. Poi
serve a fare incetta di cose da sognare al ritorno.
 |
Puri, Orissa, India |
Serve
anche a ricordare che non per tutti il viaggio è privilegio. Quando ci si sente
un po’ persi, un po’ oppressi dall’eccesso di cose ignote, di odori estranei,
dalla difficoltà di comunicare con persone che non parlano come noi, non
pensano come noi, è un buon esercizio riflettere sul fatto che il mondo è pieno di persone
che vivono le stesse sensazioni non per divertimento ma per necessità. Persone
che non hanno in tasca il biglietto di ritorno, e devono adattarsi alla svelta,
o imparare a convivere con il disagio, la paura, l’estraneità, l’isolamento. E come abbiamo dovuto imparare per forza negli ultimi anni, persone per cui il viaggio e il mare sono rischio e morte, fuga e dolore, strappo e separazione, senza ghirlande di fiori all'arrivo né drink di benvenuto.
La
sorpresa è che sovente il paese narrato che si ritrova nelle mie parole è
completamente diverso da quello che hanno visto i miei occhi. La parola mi
aiuta a vedere meglio. Comunque devo conoscere quello di cui parlo, non tanto
la storia ma l’odore, il colore, la temperatura di un luogo mi servono per
parlarne. Non potrei scrivere una storia ambientata in un paese che non conosco perché per me il racconto non nasce dalla ricerca ma dall’esperienza sensoriale dei
luoghi.
 |
Benares, Uttar Pradesh, India |
Viaggiare restando qui:
Bolzaretto Superiore.
Una
cosa molto importante, cui tengo molto, e che ho imparato con il tempo, è
questa: viaggiare non significa andare lontano ma guardare intorno a sé con
occhi diversi, cercando la distanza e soprattutto la peculiarità dei luoghi.
Quello che c’è qui e non altrove. È bellissimo viaggiare così nei posti vicini,
anche quelli che conosciamo già. Bolzaretto Superiore, un paesino inesistente ma più vero del vero, dalla collocazione geografica precisa, è un altro dei luoghi
fondamentali del mio immaginario. Si trova nel triangolo compreso tra Polonghera, Faule e Moretta, e ha caratteristiche di tutti e tre i paesi. E' nato, per me, una volta che mi sono fermata a bere qualcosa in un bar di Carignano e la prima storia che vi ho ambientato è La vera prova dell'esistenza di Dio. È presente in D'amore e no, Il gioco della masca, Est di Cipango, Ragazza brutta, ragazza bella, Trilogia delle donne virtuose, La ragazza in tailleur rosso fuoco, e Il cuore in ballo dice la parola definitiva su Bolzaretto Superiore. I
piccoli spostamenti domenicali intorno a Torino mi hanno dato tanto quanto un
viaggio in Tibet. Il viaggio è più negli occhi che nei piedi.
A
me piace più viaggiare guardando che entrando proprio nelle cose. Questa
ovviamente è un’opinione, una
 |
Benares, Uttar Pradesh, India |
questione di carattere. Non mi piace essere
portata in giro né che mi spieghino troppo. Preferisco perdere qualcosa che
sentirmi dire che cosa devo guardare e perché.
Quando
si viaggia è indispensabile la curiosità, non necessariamente l’empatia. Quello
che si vede può anche non piacere. Quando qualcuno mi chiede dove sono stata di ultimo (e magari la risposta è l'Albania, il Kosovo, il Montenegro, o altri posti poco appetibili turisticamente), la seconda domanda è immediatamente: bello? ti è piaciuto? Molte volte dovrei dire no, non tutti i posti sono belli, ma non mi importa granché. Io viaggio per vedere posti, non posti belli, è molto differente.