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mercoledì 28 dicembre 2011

Kawakami Hiromi, La cartella del professore



Dovrò eterna riconoscenza all’amica Claudia che mi ha regalato questo romanzo, lettrice di grande sensibilità oltre che raffinata scrittrice. È molto che non incontravo un libro che mi desse questo senso di perfezione. Una storia che più esile non si può: una trentasettenne indipendente, Tsukiko, incontra un suo ex professore di liceo sui settanta. Frequentano lo stesso locale dove si recano a bere in solitudine, a mangiare, a scambiare due parole con il padrone. Siedono accanto al bancone, scelgono le stesse pietanze senza accordarsi, bevono le stesse bevande, si ubriacano senza rimorsi, si parlano senza raccontarsi niente. Non si mettono mai d’accordo per incontrarsi, lasciano fare al caso. A poco a poco si avvicinano, fanno qualche passeggiata insieme, una gita, una merenda sotto i ciliegi. Si danno sempre del lei. Il professore tratta Tsukiko come quando erano al liceo, dove aveva fama di tipo ostinato e severo. Però la tratta anche con dolcezza, anzi, con accoglienza, senza giudicarla. Lei vorrebbe avvicinarsi di più, vuole amore, intimità, lui non si scosta ma tra di loro c’è un muro d’aria che si comprime senza cadere. Parlano di cose quotidiane, bisticciano per il baseball, mangiano misu, polipo, balena, abalone, funghi, tofu, alghe, bevono birra e sakè, si interessano al cibo, alle bevande. Il professore interroga Tsukiko, lei non osa fargli domande. Ma è amore: un amore totale, pieno di pudore e dignità ma anche di tenerezza, di calore del corpo, di nostalgia e di perfezione. Non voglio però fare torto a La cartella del professore estraendone significati che la magnifica autrice ha affidato esclusivamente a gesti minuti, a notazioni minime, a parole sempre concrete. Questo romanzo ha la necessità, l’assolutezza delicata e priva di esibizionismo della pittura giapponese, un ramo di fiori di ciliegio o una nevicata sull’acqua. Crea due personaggi e un mondo con il minimo di tratti, come una calligrafia. Si vorrebbe che non finisse mai. E io, che sono nemica delle emozioni e quando leggo mi faccio prendere solo a livello di piacere estetico, alla fine mi sono anche commossa. Eppure non riesco a immaginare una scrittura meno di pancia, meno ruffiana.
Kawakami Hiromi è nata nel 1958 e questo è il suo primo romanzo che pubblicato in Italia, nella limpida traduzione di Antonietta Pastore. Jiro Taniguchi ne ha tratto una graphic novel  intitolata Gli anni dolci, Rizzoli 2010.

lunedì 28 giugno 2010

Stefania Bertola, Il primo miracolo di George Harrison

Una delusione questo libro di Stefania Bertola, scrittrice torinese che amo molto tanto che ho letto quasi tutti i suoi romanzi e non li ho eliminati nel drastico ridimensionamento della mia biblioteca. Inoltre io amo moltissimo i racconti, perciò dall'accoppiata autrice–forma racconto mi aspettavo ore di puro piacere. Invece questi non sono veri e propri racconti, sono per lo più ideuzze, spunti, carini e divertenti ma insufficienti a riempire un libro. Il mio preferito è Santa Violetta, lamento di una santa ignota che vorrebbe avere un giorno onomastico tutto per sé; quello che mi ha delusa di più è La traversata di Torino, a piedi da corso Unione Sovietica all'Auchan dell'autostrada per Milano. Da un argomento come questo, pensavo, chissà che cosa riesce a tirare fuori questa scrittrice così spiritosa, così acuta nel delineare tic e fotofinish di Torino e della sua fauna umana, così sempre intelligente e abile nell'individuare cambiamenti sociali e novità appena spuntate! Invece niente. Un fuoco d'artificio con la miccia umida. Non che i racconti siano mal scritti, affatto, se fossero imparaticci di un'autrice debuttante li troverei ottimi. Ma quella scrittura scintillante che mi faceva ridere da sola o rileggere con lo stesso gusto con cui si scarta per l'ennesima volta un gianduiotto, di cui si conosce già il sapore ma non ci si stanca mai... no, non l'ho trovata qui. Penso che sia quella che si chiama "operazione editoriale", cioè un libro messo insieme con quanto si trova di già fatto nell'attesa che l'autore si sbrighi a sfornare il prossimo. Peccato. Non aggiunge niente a Stefania Bertola e rattrista i suoi fan. Tra i quali continuo a annoverarmi, e aspetto con ansia il prossimo romanzo che spero pieno delle sue squinternate e simpaticissime ragazze, scoppiettante di storie gentilmente assurde, con trovate divertenti a ogni pagina. A la prochaine, Stefania, non ce l'ho con te ma vedi di non deludermi più.