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venerdì 14 dicembre 2018

L’onnipotenza della vecchiaia: Margherita Giacobino, L'età ridicola


Eccoci qui a parlare dell'ennesimo meritatissimo successo di Margherita Giacobino, L'età ridicola.
È un romanzo apparentemente semplice e con poca azione, in realtà complesso perché ha molte linee narrative, soprattutto ha molti livelli: realtà, sogno, riflessione, ricordo. Potente e coraggioso, perché tratta argomenti scomodi, pesanti, come vecchiaia e morte. I personaggi sicuramente sono il tratto saliente di questo libro, quello che rimane più vividamente nella memoria quando si arriva alla fine.

Il romanzo si articola intorno a un gatto e quattro donne, di cui tre presenti e una assente ma continuamente evocata. Ai margini c’è un fantasma maschile, fantasma dico perché compare e scompare, ha tutte le caratteristiche del fantasma, pur essendo in carne e ossa. La vicenda è lineare: c’è l’indiscussa protagonista, molto protagonista, che non ha nome, si chiama "la vecchia" e ha un’età tra gli ottanta e i novant’anni mai definita chiaramente ma insomma ragguardevole, ha gli acciacchi dell’età però è ancora del tutto autosufficiente e soprattutto ha una testa che funziona a mille. È combattiva, potente, capace di incazzarsi e provare rabbia per quello che vede e quello che intuisce. E' anche l'unico motore di tutta la storia, in grado di forzare gli eventi e prendere decisioni risolutive per sé e per gli altri. Lucida e disincantata, le sue riflessioni su morte e vecchiaia che costituiscono la vera sostanza del libro sono prive di qualsiasi compiacimento consolatorio o metafisico, ne riflettono lo stoicismo capace, quando vuole, di abbandoni sentimentali e affettivi, mentre l'intreccio continuo di ricordi, osservazione del mondo e riflessioni tengono il lettore incollato e affascinato da questo flusso di coscienza decisamente fuori dal comune. Solo alla fine scopriamo qual era la sua attività, e mai il suo nome. E nelle strepitose pagine conclusive, la vecchia riesce anche a fare una scelta giusta e inaspettata, regalando salvezza a persone che non conosce.


Le presta aiuto una giovane badante, Gabriela, che è un personaggi enigmatico, sfuggente. È di una nazionalità indefinita ma slava, balcanica quantomeno, si direbbe, è piccola, ha le dita molto piccole, è giovane, ha ventisei anni, e una vita molto incasinata. Poi c’è Malvina, l’amica della vita, che purtroppo è un personaggio che sparisce continuamente, sparisce in più modi. E poi c’è l’assente ma sempre evocata Nora, il grande amore della vecchia. La vicenda nel complesso è lineare e consiste soprattutto nell’interazione tra la vecchia e la giovane, e nei tentativi della prima di agire in qualche modo sulla vita della seconda, difenderla e aiutarla soprattutto, impresa non facile perché, sospetta la vecchia, Gabriela mente, o quanto meno un sacco di cose se le tiene per sé. La vicenda è raccontata al presente, dal punto di vista della vecchia a volte in prima persona a volte in terza, ma ci sono alcune parti in cui penetriamo nel pensiero di Gabriela. Non abbastanza, però, da capirla fino in fondo. Questa ambiguità voluta del personaggio forse rappresenta la distanza tra le età e le realtà delle due donne, e ci lascia con una domanda senza risposta: chi è veramente Gabriela? La parte che le è affidata è quella di rappresentare la gioventù, il controcanto della vecchia, ma stupisce in quanto non ha desideri, ha poche aspettative, è come ritirata dalla vita.

Malvina invece è l’amicizia, la solidità di questo sentimento, ma nello stesso tempo è la sparizione, l’inesorabile degrado del tempo. Di lei non sappiamo molto ma conosciamo la sua funzione nei confronti della vecchia e di Nora, e poi che era affascinante, le piaceva ballare, che era una straordinaria montatrice cinematografica, era innamorata della bella Germana. Rappresenta l'affetto, la presenza, il supporto, quella di cui la vecchia deve occuparsi e preoccuparsi (e protesta ma si capisce che ne è felice), e poi la sparizione.

I personaggi maschili sono meno sviluppati ma hanno la loro importanza. Naturalmente il più importante è Dorin, il fantasma di cui si diceva prima. Mezzo terrorista, stalker, violento, ottuso, un repertorio di tutte le peggiori caratteristiche maschili, rappresenta la minaccia oscura che rende impossibile la vita di Gabriela. Dorin non esiste quasi. Non ci sono motivazioni dietro alle sue azioni, non entriamo mai nella sua mente. È più una funzione che un personaggio, è il pretesto necessario per fare andare avanti la narrazione. Max è il vecchio amico ostaggio di una nipote despota, Ciro il fabbro è importante perché è lui a fornire la pistola (elemento che la caratterizza fin dalla copertina e che avrà un'importante funzione nello sviluppo narrativo) alla vecchia, il nipote di Malvina è il responsabile della sua sparizione, il fruttivendolo, il marocchino mendicante, il vecchio dirimpettaio fuori di testa sono figurette veloci ma indimenticabili.
Poi c'è la famiglia di Gabriela cui appartengono l’avidità, la mancanza di scrupoli, l’anafettività.
C'è una veterinaria che rappresenta una specie di rispecchiamento, di anticipazione di un'importante svolta narrativa, c'è il gatto Veleno, le inservienti della clinica, l'assistente sociale.

L’ambientazione è chiarissima e ben riconoscibile per chi a Torino ci vive. I luoghi hanno una funzione centrale, e alla fine vediamo il cortile interno, le finestre dei dirimpettai, i tetti, l’ospizio in collina. Le descrizioni sono vivide, con figurette appena schizzate ma che colpiscono. Conta il presente ma conta anche moltissimo il passato, sognato e vagheggiato, la sostanza del romanzo non sono le azioni (a parte l'accelerazione finale, in cui Margherita Giacobino si esibisce in una prova da maestra) ma come ho già detto, i ricordi e soprattutto le riflessioni della protagonista sulla vecchiaia e la morte, in cui è fondamentale il tono spesso ironico che crea quel tanto di distacco che permette all'argomento difficile di risultare gradevolissimo e avvincente.


mercoledì 10 aprile 2013

Lettera a un'amica molto cara, che non la leggerà mai


Mia cara amica, questa lettera è proprio per te, anche se non è fatta di fogli fruscianti e macchie di biro. Se solo tu fossi nata qualche anno dopo avremmo la stessa dimistichezza con lo schermo del computer. Sei così attenta a quello che succede nel mondo, curiosa e lucida nei tuoi giudizi, non è certo per pigrizia che non sai niente di informatica. Il fatto è che hai novantaquattro anni, una bella età comunque la si guardi. Io la guardo su di te e vedo che è bellissima. Come te. Hai le guance rosa e i capelli bianchi, le mani trasparenti, gli occhi di cui non si capisce più il colore. Sei stata operata di cataratta per cui vedi molto meglio di me, leggi la guida del telefono senza occhiali. Sei un po’ golosa, ma mangi poco e due etti di cioccolatini ti durano al lungo. Soprattutto sei una gran chiacchierona, hai sempre un sacco di aneddoti da raccontare, complicate parentele e riassunti di vite lunghissime. Posti che hai visitato in epoche favolose, dolori terribili che nel trascorrere del tempo hanno assunto una patina nebbiosa, si sono smussati come ciottoli di mare. Li racconti molte volte, anche immediatamente di seguito, e ogni volta ci sono delle variazioni che mi sorprendono. Ti fermo e ti interrogo, e nelle tue risposte cambi ancora versione. Mi chiedi le stesse cose a distanza di pochi minuti, e le mie risposte scivolano via sulla tua memoria come le mie domande. Parlare con te è un incanto, le tue storie hanno l’andamento sinuoso della linea di schiuma sulla battigia, e lasciano tesori sulla sabbia proprio come le onde. Vanno e vengono, sempre uguali e sempre un pochino diverse. In confronto le cose che potrei raccontarti io sembrano acqua stagnante. Ti dico quattro volte dove ho passato l’estate scorsa, cinque volte quali film ho visto ultimamente, sei dove penso di andare l’estate prossima, sette che cosa sto scrivendo in questo periodo. Sei cortese, sai fare conversazione e ti interessi sul serio a me. Che ti dimentichi quello che dico nell’istante stesso in cui l’ho detto non conta, conta la tua premurosa gentilezza e la generosità con cui ti racconti. Ecco, questo è l’unica ragione per cui ti scrivo questa lettera. In fondo ci siamo viste ieri, anche se quando tornerò da te la settimana prossima mi dirai meno male che ti fai viva! ero proprio spersa, è tantissimo che non ci vediamo!. Però non ti ho mai ringraziato per essere diventata mia amica pochi anni fa, quando i novanta erano già vicini. Hai avuto voglia di avvicinarti a una nuova amica e scoprirti con generosità, raccontarmi i momenti più ricchi della tua vita. Per questo ti dico grazie, grazie della tua amicizia che mi ha fatto sentire importante. Forse tu mi dimenticherai, per poco o per sempre, ma io no. Almeno finché la memoria mi sosterrà.