lunedì 28 maggio 2012

Un brivido sabaudo: Massimo Tallone, Il fantasma di piazza Statuto


Il nostro vulcanico Massimo Tallone ha fatto di nuovo centro con Il fantasma di piazza Statuto (edizioni e/o), pezzo di bravura in cui dà voce a Annetta, quasi settantenne governante della famiglia Doro e ex portinaia nel medesimo stabile. La storia è un vero giallo come Dio comanda, con scale che scricchiolano, dipinti misteriosi, galleriste procaci, morti e investigatori privati (per quanto sui generis). In più ci sono medium, sedute spiritiche e fantasmi. Un pittore morto, fruscii notturni, segreti sepolti in un computer. Il tutto a Torino, che è sempre una gran bella location, in luoghi ben descritti e riconoscibili, con una piccola trasferta in collina, giusto il tempo per una marenda sinoira. E abbandonato per una volta il Cardo, scorrettissimo, puzzone e sgangherato eroe dei suoi precedenti romanzi, questa volta Massimo Tallone, con l’esilarante monologo interiore  di Annetta che copre tutta la vicenda del romanzo, ha creato un distillato di sabauda riservatezza, perbenismo, rispetto per le regole, consapevolezza dei ruoli sociali, amore per le tradizioni, il tutto condito da un filino di tranquilla ironia. È un ricamo bandera per voce sola, una coperta all’uncinetto di parole precise come la vita e divertenti come un solletico beneducato. Non dirò una parola di più sulla storia perché qui c’è il mistero, e il plot non tollera spiate. Chi poi avesse la nostalgia del Cardo, delle sue schifezze e della sua abilità a dipanare misteri, non ha che da aspettare l’autunno, quando uscirà la sua prossima avventura.  

lunedì 21 maggio 2012

L'onore della casa, il piacere di Laxness


Halldór Laxness, L’onore della casa
Edito per la prima volta in lingua originale nel 1933, pubblicato in prima edizione da Iperborea nel 1996 e nel 2011 in quarta edizione nella traduzione di Paola Daziani Robertsson, questo romanzo breve, o racconto lungo, di Laxness mi ha dato tutto il piacere che mi aspettavo. Siamo a Eyvik, cittadina islandese dedita alla pesca, da cui Reykjavik si raggiunge via mare solo nella bella stagione, piccola (adesso gli islandesi sono trecentomila, ma allora erano ancora meno) ma con una società ben strutturata e vivace. La famiglia del prevosto (qualunque cosa sia) è la più in vista, tanto che viene chiamata la Gente per antonomasia, come la loro dimora è la Casa. Vi sono due figlie, Thurithur e Ranveig, una bella e l’altra buona. Entrambe vanno a completare la loro educazione in Danimarca, a un’età stranamente avanzata per gli standard dell’epoca. Thurithur ritorna pronta per il matrimonio che l’aspetta, Ranveig torna in attesa di un figlio. Da quel momento si tratta di ristabilire, appunto l’onore della Casa, con tutti i mezzi possibili. Basterebbe aspettare, perché nel paese il caso di una ragazza che genera un figlio fuori da matrimonio non è insolito né scandalizza alcuno: normalmente riacquistava la propria reputazione due o tre anni dopo, e se poi non si discostava dalla via della virtù per sette anni dall’incidente, tornava di nuovo pura. Ma l’onore non si può affidare semplicemente al passare del tempo, e Thurithur si arroga il ruolo di custode del buon nome della famiglia cercando di tenere tutto sotto controllo, soprattutto Ranveig, che nella sua grande bontà si lascia fare terribili torti, dedicandosi alla tessitura in cui eccelle. Negli anni succedono cose che non si possono controllare, la vita è spietata e cercare di correggerne gli errori, forse, è inutile.
La grande scrittura di Halldór Laxness fa di questo crudele e divertente apologo una lettura indimenticabile. L’ipocrisia e il cinismo della minuscola società di Eyvik e della proba Thuritur sono descritti con un umorismo distaccato che non cede mai al moralismo, ma non impedisce al giudizio essere severo e senza scusanti.
L’unico difetto del libro, secondo me, è il prezzo un po’ eccessivo: 10,50 € per 100 pagine postfazione compresa mi sembrano un po’ troppe. Però, bisogna dire, Laxness li vale tutti.

venerdì 4 maggio 2012

DARIO LANZARDO, IL DESIDERIO DELL'ACQUA


A un anno da quando Dario Lanzardo ci ha lasciati, questo delizioso libretto di ricordi d’infanzia ci riporta con forza la sua voce. Durante gli anni della guerra, dal 1940 al 1945, la famiglia Lanzardo, padre madre e tre figli, fu sfollata a Fosdinovo in Lunigiana, il paese della madre. Ci sfilano davanti i numerosi parenti, nonni zie e zii, doverosamente ricordati con le loro bizzarrie, gli abitanti più caratteristici, il parroco, gli amici della banda, la chiesa piena di fascino e i furti dei cristalli del lampadario, il prete povero. Tra le mole figure descritte spiccano quelle dei genitori di Dario, la madre poetessa e il padre fotografo. C’è l’oscuro episodio che sarà ripreso nel romanzo Il principio di Archimede, un uomo e una donna che lottano nel buio, la donna che cade dal parapetto della piazza o forse è spinta, l’uomo che si allontana senza darle aiuto e la cui identità non sarà mai scoperta. Dario è il più piccolo della banda di ragazzi dediti a imprese rischiose, ma non si tira mai indietro. C’è la guerra, e non si può dimenticarlo mai: ma i ragazzi che scorrazzano liberi dalla mattina alla sera, della guerra conoscono soprattutto la libertà, la mancanza di controllo, e la possibilità di guadagnare vendendo i residui lasciati dai combattimenti. Questa è la parte forse più affascinante del libro, queste imprese al limite dell’incoscienza, dalla raccolta di schegge di rame per  rivenderle alla passeggiata sul campo di mine. C’è il bellissimo episodio dell’esplorazione del castello dei Malaspina dopo che i tedeschi l’hanno abbandonato, la ricerca dei relitti, la magia della scoperta delle antiche armi, le tracce dei nemici fuggiti che contano solo in quanto commerciabili. Dopo la guerra c’è la scoperta del mare e l’innamoramento definitivo per l’acqua, non più solo quella da bere golosamente ma soprattutto quella salata in cui nuotare e navigare.
La narrazione al presente accentua l’impressione di un tempo immobile in cui Dario colloca la ricostruzione minuziosa di un mondo e di un momento di vita, più statica che narrativa, fitta di episodi e aneddoti che sono vere e proprie fotografie in movimento. Alla fine sono immagini piene di grazia quelle che restano in mente, di giochi, di capanne nei boschi, della piccola Laura uccisa da una scheggia di granata, di passi leggeri di bambini che sfiorano le mine senza farle scoppiare, dello spettacolo malgrado tutto affascinante dei bombardieri che spuntano dall’orizzonte con il loro carico di bombe che esplodono sulla pianura con lampi e boati secchi secondo un disegno geometrico di grande perfezione come la tessitura di un tappeto. C’è molto altro nelle pagine di questo libro che appare così smilzo. C’è la vita e c’è la morte viste con gli occhi di un bambino curioso di tutto e dotato di una memoria eccezionale, capace di arricchire qualsiasi scena con particolari visivi che la rendono indimenticabile: già allora, occhi di fotografo.
Completano il volume la sensibile postfazione di Liliana Lanzardo e una serie preziosa di fotografie relative al periodo descritto, di Dario e dei suoi familiari.