sabato 21 settembre 2019

Quando la vita è troppo amara, solo una gita a Bolzaretto Superiore può consolarci

 E di nuovo mi trovo senza libri da recensire, perché gli ultimi che ho letto non mi hanno convinta per niente. Tipo Il nostro piccolo pazzo condominio, romanzo d'esordio di Fran Cooper (ditemi se si può inventarsi un titolo più brutto, quando poi l'originale inglese, These dividing walls, è non solo molto più bello ma anche azzeccatissimo), traduzione di Maria Gini, che comincia in maniera accattivante raccontando di un ragazzo inglese che va a Parigi per riprendersi da un lutto, e nel caseggiato in cui  vive incontra altri segreti dolori, altre sofferenze che danno frutti marci, e mettendo in campo molti personaggi con potenzialità e poi a poco a poco vira sul moralistico, il politicamente corretto, mescola razzismo, neonazismo e attentati in maniera davvero elementare per poi "finire bene" - che faccia parte di quella up literature di cui ho scoperto da poco l'esitenza e il solo pensiero mi ha agghiacciata? Anche se poi a ben pensarci non è certo quella gran novità, e magari certe parolette nella nostra bella lingua tipo edificante o consolatoria potrebbero sostituire l'up, ma certo il risultato non è altrettanto elegante e trendy.

O Seppellitemi dietro il battiscopa di Pavel Sanaev (traduzione di Valentina Parisi), che invece mi ha sedotta proprio con il titolo e di cui non posso dire niente di male, anzi - solo che non sono riuscita a capire se la storia straziante, in prima persona, di un bambino russo affidato a una nonna pazza e torturatrice, a un nonno menefreghista e sfuggente, a una scuola fonte di tremenda ansia, che ama appassionatamente la sua mamma che però può vedere solo una volta al mese perché la nonna in pratica lo tiene prigioniero, doveva farmi piangere o ridere. Alla fine mi ha solo profondamente annoiata. Ho letto che in Russia, dove ha avuto un successo strepitoso e ne hanno fatto anche un film, i lettori si divertivano moltissimo riconoscendo abitudini sovietiche nelle cure cui era sottoposto l'infelice protagonista. Non avendo avuto un'infanzia sovietica non sono abbastanza informata per apprezzarne lo spirito, ma sarei felice se qualcuno ci provasse e poi mi spiegasse bene.

Così sono andata a fare un giro a Bolzaretto Superiore dove come si sa ne succedono di ogni, e non sono stata delusa.

APRITI CIELO
Perché a Bolzaretto Superiore quando nevica, nevica. La fioca, la neve, cade dappertutto, non c'è
scampo. Sulla tangenziale e sulla piazza della chiesa, sui giardini delle villette a schiera e sui cortili delle cascine inglobate nel paese, sui pini annoiati davanti alla scuola elementare, sulle bialere gelate dove poi i bambini vanno a fare le scivolate e ci cascano dentro, sul campanile e sul tetto del mulino dismesso. Sui capannoni industriali abbandonati. Sulle fabbriche trasformate in outlet e persino sul grande, magnifico centro commerciale. E lì ecco che si verifica il prodigio. Tra i fiocchi morbidi e gelati c'è qualcosa di duro che quando ti cade sul naso fa un po' male. A terra non si scioglie, e non fa in tempo a ricoprirsi di neve che ne cade un altro, un altro, un altro ancora... Decine centinaia migliaia di caramelle, gianduiotti, marron glacé, cremini, cri-cri, preferiti, cuneesi, ginevrine, quaresimali si depositano dolcemente sulla bianca coltre senza spiaccicarsi. Quando i clienti che escono carichi di sacchetti se ne rendono conto si buttano a raccoglierli, li ficcano a manciate nelle tasche e nelle borse, quelli più impazienti se li infilano in bocca, manco li scartocciano, inghiottono gianduiotti e carta dorata in un solo boccone. I bambini increduli ne fanno mucchietti e chiedono alle mamme di imprestargli il carrello. "E' una pubblicità" dicono i più smaliziati sorridento con l'aria di chi la sa lunga.
Che centro commerciale generoso! Ci torneranno tutti, sperando di riavere la stessa buona fortuna. E nella furia di golosità mangiano tutti i dolci caduti dal cielo, e nessuno di loro si renderà mai conto che si trattava di un vero miracolo, un miracolo che porterà un sacco di clienti al centro commerciale, a costo zero.      
  

martedì 10 settembre 2019

Mascherarsi per crederci: Mehmet Agop, The Masquerade of Istanbul

Un libro che sorprenderà molti che della Turchia non sanno niente, a parte magari le iniziative di Erdogan, e si immaginano un paese arretrato, fuori dalla modernità, di donne velate fino agli occhi e uomini in djellaba. E ce ne sono, vi assicuro, anche tra quelli che hanno passato lussuose vacanze in un resort stile Casa Bianca vicino a Antalya o su un caicco lungo la costa licia disseminata di cittadine piene di turisti. Purtroppo non è tradotto in italiano, ma lo trovate sia in cartaceo che in digitale su Amazon.

La trama, in due parole, è questa: la storia di due fratelli di Istanbul che ereditano dal padre, laico e liberale, una vecchia bottega di abbigliamento nella zona della Torre di Galata. Uno, Fehmi, dopo un paio d'anni all'università a Ankara, è tornato a casa e si è messo a lavorare con il padre, è legato alla tradizione e alla religione, è sposato con una donna sottomessa e quasi invisibile da cui ha avuto due figlie; l'altro, Rafet, è andato a studiare in America, ha un buon lavoro, una moglie americana, Mary, due macchine, una casa con giardino, una figlio e una figlia, si è perfettamente ambientato nella nuova patria. Nel 1998 torna in Turchia con la famiglia per dividere l'eredità e non se ne va più. Anche se alcune parti sono ambientate negli anni '70 e '80, il grosso dell'azione si svolge allo scorcio del secolo, quando comincia la rinascita dell'Islam politico, del quale uno degli aspetti che colpiscono di più lo straniero è la libera e orgogliosa scelta femminile di coprirsi il capo con il foulard (niente velo, qui non c'entra). E' una scelta soprattutto identitaria e non ha nessun significato di sottomissione e inferiorità, insomma è una scelta. Così decide la prima figlia di Fehmi, ma non la seconda. Le ragazze frequentano il liceo, hanno amicizie e simpatie, scoprono il mondo e prendono decisioni. Lo stesso succede ai genitori: la Mary, la moglie americana di Rafet, galleggia su una superficie di incomprensione, confusione, inquietudine, senza mai adattarsi veramente alla vita turca; Rafet sembra aver dimenticato l'America e i suoi agi, insieme a Fehmi trasforma la vecchia bottega del padre in un negozio alla moda, sofisticato e costoso, per le nuove donne islamiche che vogliono abiti adatti al loro credo ma anche eleganti e testimoni del loro status di appartenenti alla borghesia benestante; Fehmi, il personaggio più sfaccettato e insieme più enigmatico, procede su una sua via che riserva sorprese per tutti. La giovane generazione seguirà i suoi percorsi, forse libera o forse no, ma sicuramente meno tormentata, in un finale che definisce il destino di ogni personaggio, senza lasciare buchi ma anche, con gran perizia, senza chiarire tutti i misteri.           

Quello che ho apprezzato di più in The Masquerade of Istanbul è il modo di narrare restando a livello dei gesti e delle azioni, senza scavare nelle psicologie dei personaggi né motivarne i comportamenti con i soliti luoghi comuni narrativi di oggi tipo le molestie infantili o i traumi. Mehmet Agop non cerca di dare spiegazioni ma ci mette di fronte ai comportamenti nudi e crudi. Ora, non sono così ingenua da pensare che in realtà non abbia le sue spiegazioni, eccome, ma forse è tanto sicuro della forza del suo racconto che sa ritirarsi sullo sfondo in quanto autore. E' ovvio che il discorso sotteso al romanzo è totalmente politico, volto a rappresentare l'ipocrisia di un Islam preso a scudo e maschera da una società lontanissima dai valori che finge di abbracciare, una mascherata appunto, come dice l'azzeccatissimo titolo. Non so se The Masquerade of Istanbul farà capire meglio la Turchia di oggi ma sicuramente è onesto e rende l'idea delle trasformazioni in atto anche se è ambientato alla fine del secolo scorso, penso per non incappare nella censura di Erdogan. Se poi quello che ho detto a proposito della scrittura di Mehmet Agop è vero o è frutto di una scelta legata alla censura, non lo so. Ma il risultato è ottimo e molto interessante oltre che riposante rispetto a quello che si legge di questi tempi.

In rete non ho trovato niente su Mehmet Agop se non una pagina facebook dedicata a The Masquerade of Istanbul, e la sua pagina personale da cui si apprende che è originario della zona di Mersin, ha vissuto molto all'estero e adesso sta in Gran Bretagna. Molto interessante, sulla pagina fb del romanzo, la lettura dei commenti in cui l'autore è accusato di tutto, persino di essere un troll al soldo di Erdogan per controllare chi legge la sua opera. Da quello che ho capito si tratta di un'autopubblicazione, da nessuna parte ho trovato il nome di una casa editrice, e io l'ho scoperta proprio dal post sponsorizzato che compare su facebook. Be', mi auguro che Mehmet Agop (se questo è il suo desiderio) abbia trovato un editore, e che la sua opera venga tradotta anche in italiano. Lo merita senz'altro e penso che chiarirebbe le idee a molti sulla Turchia con molta maggiore efficacia malgrado la sua reticenza (o forse proprio per quello) di tante opere più commerciali e stucchevoli in circolazione che cavalcano il momento storico.