venerdì 26 febbraio 2021

Due poesie per respirare liberamente, due poeti che amo: Catullo e Guido Gozzano

Due poesie che amo moltissimo e che mi toccano sempre nel profondo. Catullo è un poeta che ho studiato a scuola, cui sono riconoscentissima malgrado l'abbia odiata e patita (ero un'asina, sempre rimandata e spesso respinta) per avermi costretta a affrontare argomenti e letture che altrimenti non avrei neanche degnato di un'occhiata. Dandomi così la felicità duratura di scoperte magnifiche e amori che non muoiono, come appunto Catullo.


Guido Gozzano
ho cominciato a leggerlo molto precocemente perché era


un grande amore di mio padre e lo è diventato anche per me. Poeta razionale, discorsivo, antilirico, raffinatissino, privo di illusioni e capace di ironia. Decisamente my cup of tea.

 

      Catullo, Vivamus, mea Lesbia

Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
Rumoresque senum severiorum
Omnes unius aestimemus assis!
Soles occidere et redire possunt:
Nobis, cum semel occidit brevis lux,
Nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
Dein mille altera, dein secunda centum,
Deinde usque altera mille, deinde centum
Dein, cum milia multa fecerimus,
Conturbabimus illa, ne sciamus,
Aut ne quis malus inuidere possit,
Cum tantum sciat esse basiorum.
 
(Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e infischiamocene delle critiche dei vecchi severi! I soli possono tramontare e risorgere: noi, quando la nostra breve luce tramonterà una volta sola, dovremo dormire un'unica notte eterna. Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi di nuovo cento, poi ancora altri mille, poi cento, e infine, quando ne avremo accumulate molte migliaia, li mescoleremo, per non sapere, e perché nessun malvagio possa farci il malocchio sapendo quanti baci ci sono - traduzione mia alla buona)
 
                    
                 Guido Gozzano, La più bella
 
     Ma bella più di tutte l’Isola Non-Trovata:
     quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino
     il Re di Portogallo con firma sugellata
     e bulla del Pontefice in gotico latino.

     L’Infante fece vela pel regno favoloso,
     vide le fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera
     e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso
     quell’isola cercando... Ma l’isola non c’era.

     Invano le galee panciute a vele tonde,
     le caravelle invano armarono la prora:
     con pace del Pontefice l’isola si nasconde,
     e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.

     L’isola esiste. Appare talora di lontano
     tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:
     "...l’Isola Non-Trovata!" Il buon Canarïano
     dal Picco alto di Teyde l’addita al forestiero.

     La segnano le carte antiche dei corsari.
     ...Hifola da - trovarfi? ...Hifola pellegrina?...
     È l’isola fatata che scivola sui mari;
     talora i naviganti la vedono vicina...

     Radono con le prore quella beata riva:
     tra fiori mai veduti svettano palme somme,
     odora la divina foresta spessa e viva,
     lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...

     S’annuncia col profumo, come una cortigiana,
     l’Isola Non-Trovata... Ma, se il pilota avanza,
     rapida si dilegua come parvenza vana,
     si tinge dell’azzurro color di lontananza...






sabato 13 febbraio 2021

L'amore incondizionato tra madre e figlia: Margherita Giacobino, Il tuo sguardo su di me

Questo è un libro densissimo e insieme impalpabile. Impossibile da
riassumere, anche se basterebbe una parola sola per farlo: amore. E' un libro che trasuda amore da ogni parola, da ogni frase, amore per la madre dell'autrice, Maria Grazia, che già tanta parte ebbe nel bellissimo Ritratto di famiglia con bambina grassa

Prima di tutto, questo libro è un dialogo. C'è un io che parla, ricorda, racconta, chiede, tesse ragnatele di parole dolci e brillanti, costruisce luoghi, persone e situazioni con una naturalezza e una precisione tali che ci si dimentica che stiamo leggendo, si scivola tra pensieri e fatti con il piacere sereno di chi guarda dal finestrino di un treno un paesaggio che non stanca mai. E c'è un tu che non risponde mai se non attraverso l'evidenza del ricordo innamorato e instancabile. 

Questo libro è anche uno specchio, come si intuisce fin dal titolo: è un libro dedicato da una figlia alla madre ma anche a se stessa, che ricostruendone la vita ricostruisce la propria. E si vuole bene attraverso gli occhi della madre. 

I fatti non sono molti, la vita della madre è insolita ma non avventurosa: nata in California da genitori migranti, tornata in Italia ancora bambina da sola, in nave, cresce nel paese d'origine nel basso Canavese, non lontano da Torino, in una famiglia accogliente costituita da figure solide e importantissime, di quelle che lasciano il segno. Figure soprattutto femminili, le magne, le zie, in primis quella Ninin brontolona e icastica, sempre citata con le sue frasi di inarrivabile, caustica e sintetica precisione che definiscono il mondo anche per Margherita. Poi arriva Gilìn, l'uomo scombinato e fonte di guai continui, fino a trascinare la moglie alla bancarotta per i suoi debiti di gioco. E qui Maria Grazia si rivela per la forza che possiede e la sostiene nei frangenti più difficili: paga i debiti del marito e combatte la sua battaglia di donna sola con una figlia piccola nel difficile mondo del commercio, nel negozio di alimentari che coraggiosamente gestisce con grinta e gentilezza. 

La lingua dell'amore è il dialetto, la prima lingua che Margherita impara e quella che sempre userà con Maria Grazia e le magne. Ma Maria Grazia ha una passione fatale che trasmetterà alla figlia come un'infezione dalla quale non si guarisce mai: leggere. I libri sono la sua scuola e la sua vita, così come sono la felicità e la vera scuola per Margherita. E intorno c'è il mondo che cambia e le dure lezioni che una ragazzina deve imparare sul suo ruolo femminile, la scuola di Torino, le magne che se ne vanno, la fatica di crescere, Gilìn il padre sfuggente che torna a casa, e poi il trasferimento a Torino, la vicinanza tra madre e figlia che non viene mai meno, e poi gli ultimi anni e l'amore che diventa "i miei occhi su di te", gli sguardi che vedono ancora la bellezza e la luce là dove non c'è più.

Intanto la vita di Margherita si dipana tra lavoro, amori e amicizie, come succede in tutte le vite giovani. L'accettazione l'una dell'altra è totale e pervasa di affetto. Condividono molto, ben più di quanto avviene di solito tra madre e figlia. Sono due esistenze intrecciate e parallele. 

Non temo di fare spoiler raccontando i pochi fatti di questo straordinario libro. Non sono i fatti a contare, al di là di quanto spiegano. Conta io e conta tu, contano gli sguardi fissi l'uno nell'altro, le due vite che si rispecchiano. Conta il rispetto, la fiducia totale, l'ammirazione, insomma, senza timore di ripetermi, conta l'amore. Ogni azione di Maria Grazia lo suscita, ogni sguardo di Margherita e ogni sua parola lo esprime.

E conta moltissimo anche la scrittura di Margherita Giacobino, mai così duttile e sapiente, a suo agio nel continuo passaggio dalla riflessione alla narrazione, nell'intrecciare la concretezza dei fatti all'impalpabile (ma intensa) atmosfera dei sentimenti e dei ricordi. Un libro affabile e discorsivo ma anche prezioso come un tessuto cangiante, che ipnotizza il lettore senza bisogno di trucchetti. Un libro che va letto come si assapora un gelato a più gusti, o come si rimane incantati a guardare i colori cangianti di un tramonto.  

         

 

 


domenica 7 febbraio 2021

Quando la scrittura non è tutto: Luigi Pirandello, Giustino Roncella nato Boggiòlo - L'eresia catara

Ho scaricato questo libro, edito da IperWriters, perché il racconto L'eresia catara mi aveva colpito moltissimo nei tempi remotissimi in cui ho letto le Novelle per un anno, ed è rimasta l'unica reminiscenza di Pirandello, di cui avrò pure letto altro ma sicuramente non me ne ricordo. Di Giustino Roncella nato Boggiòlo non avevo mai sentito parlare ma invece mi ha fatto fare molte e proficue riflessioni. 

L'interessante prefazione di Claudia Salvatori ne spiega genesi e vicende editoriali, io mi limito a parlare delle mie impressioni. Prima di tutto mi ha colpito la lingua in cui è scritto il breve romanzo. Non voglio dare giudizi su un mostro sacro della nostra letteratura ma sicuramente la sua prosa non brilla, non eccelle, non seduce, anzi si stiracchia faticosa e piuttosto goffa in certi punti. L'autore non ha fatto in tempo a rivedere l'ultima stesura e questa sarà sicuramente la causa. Ma ciononostante l'argomento è invece interessantissimo e molto attuale. 

Il protagonista, grottesco e ridicolo, è Giustino Boggiòlo, sposato con Silvia Roncella, ragazza di buon senso ma purtroppo portatrice di un grave difetto, cioè la passione per la scrittura. I problemi cominciano quando un'opera di Silvia ottiene un improvviso e clamoroso successo, e la successiva versione teatrale ancora di più. Il successo e la fama la proiettano in mezzo ai disagi e alle soddisfazioni, dall'essere riconosciuta da tutti all'ambiente della cultura e della mondanità che se ne appropria immediatamente. Giustino viene completamente travolto dalla situazione, sentendosi responsabile della moglie, schiva e interessata solo alla scrittura, mentre lui si fa carico della gestione sia organizzativa che economica della sua gloria. Insomma, diventa l'agente di Silvia Roncella, ma è talmente compreso dalla sua parte che diventa anche una figura ridicola, e gli viene appioppato il soprannome di "Giustino Roncella" per indicare la sua totale identificazione con la moglie. Naturalmente le figure più patetiche le fa nel bel mondo autorefenziale, snob, crudele e meschino degli intellettuali e della nobiltà. Lui non si rende conto di niente, mentre la moglie, che nel frattempo è rimasta incinta, ne è ben cosciente e se ne vergogna. La fatica di essere all'altezza delle aspettative nei suoi confronti rende Silvia insofferente, l'eccesso di iniziative e l'ottusità di lui li allontanano. La storia prende poi una svolta dura e dolorosa, i due protagonisti precipitano ognuno nella propria solitudine senza possibilità di salvezza. 

Ma più della vicenda, pur piuttosto avvincente, mi ha interessato la rappresentazione del successo di Silvia, che fa pensare più a una pop star che a una scrittrice. Folle che la attendono fuori casa e si recano a salutarla alla stazione quando parte, assedi di giornalisti e inviti nelle case più esclusive che piovono a catinelle. Ricorda certe mitiche rappresentazioni del successo letterario di certi romanzi americani che mi hanno sempre fatto ridere, tipo in La verità sul caso Harry Quebert di Joel Dicker, ma è stato scritto più di cent'anni fa. Inoltre, descrive il successo di una scrittrice donna, e anche la sua stessa esistenza, come un monstrum che fa spalancare gli occhi al milieu intellettuale e mondano, che non riesce a capacitarsene. Il marito è ridicolo e imbarazzante, ma la moglie è una stranezza vivente, tanto che non le è possibile occuparsi del figlio, che appena svezzato viene abbandonato nelle braccia della madre di Giustino, in Val di Susa, ad abissale distanza da Roma dove vivono i genitori. Pare che Pirandello si fosse ispirato alla coppia composta da Grazia Deledda e il marito. Moltissimi sono i personaggi minori, tutti più o meno spregevoli, cinici, calcolatori e pronti a sfruttare la vulnerabilità di Giulia e la stolidità di Giustino. Probabilmente riconoscibili dai contemporanei legati all'ambiente intellettuale e mondano di Roma.

Per cui non mi vergogno di dire esattamente il contrario di quello che sostiene il post La scrittura è tutto. Questo libro mi ha preso e incuriosito moltissimo per l'originalità del contenuto, per i personaggi insoliti, insomma per quello che dice, non certo per come lo dice. 

Quanto al breve racconto L'eresia catara, come ho già detto mi aveva colpito tantissimo alla prima lettura, e anche questa volta l'ho trovato magistrale. La lezione di Bernardino Lamis davanti agli impermeabili nell'aula vuota è un pugno in pieno petto, di quelli che non si dimenticano più.  

 


Chissà se Orhan Pamuk è abbonato a Netflix: 50m2, serie tv turca

Una serie televisiva turca che sto seguendo in questo periodo su Netflix, 50m2 (che vuol dire cinquanta metri quadri, tanto per intendersi), mi ha fatto pensare intensamente al mio amatissimo Orhan Pamuk e in particolare a La stranezza che ho nella testa e il meraviglioso Il Museo dell'innocenza. Sono sicura che se per caso l'ha vista anche lui, avrà apprezzato la coincidenza di temi.

50m2 si svolge a Istanbul, in un quartiere non definito, un'oasi del tempo andato dove il bonario mukhtar (capo del quartiere) si prende cura del benessere degli abitanti, insieme al caritatevole imam, al coach della squadretta di pallone e altri bravi cittadini. La vita trascorre a passo lento tra le basse casette e le vecchie botteghe, il sarto, la panetteria - bar dove si gioca a tabla e si beve il tè nei bicchierini. Della grande città non si vedono né cupole né minareti o torri o bazar coperti, nessun luogo famoso o turistico, solo un'incombente e vagamente minacciosa muraglia di grattacieli sullo sfondo. 

Ed ecco il tema della serie: la speculazione edilizia, esattamente come in La stranezza che ho nella testa, per assecondare la quale bisogna cacciare gli abitanti del quartiere con qualunque mezzo. Qui gestita in maniera decisamente delinquenziale da crudelissimi mafiosi in doppiopetto nei loro lussuosi uffici con vista sul Bosforo, di cui non si capisce mai chi sia il mandante, da sicari e mezze calze in cerca di riscatto, sempre pronti a usare mani, coltello e pistola per liberarsi di chi si mette sulla loro strada. Ma c'è anche un altro tema, che secondo me si ricollega strettamente a quello principale: la ricerca delle proprie origini, del proprio passato, diciamo quasi del peccato originale che ci ha resi quello che siamo. Questo è rappresentato dal protagonista, preso in mezzo ai due mondi, pieno di misteri e contraddizioni come si addice a un protagonista di serie tv. Inoltre belloccio e glaucopide, il che non guasta mai.

Ne succedono parecchie, la violenza abbonda, si fa fatica a tenere il conto dei morti ammazzati, ma c'è anche anche il lato comico, il sentimento, l'amore, i personaggi femminili interessanti e non stereotipati. Insomma un prodotto di tutto rispetto. Ma quello che mi ha colpito di più è vedere che anche in un prodotto di intrattenimento, senza pretese artistiche particolari, emerge il riflesso di ciò che più mi ha affascinato in Orhan Pamuk - la pervasiva nostalgia per il passato, per un mondo ormai scomparso o in via di scomparire velocemente, la crudeltà dell'oggi che tutto stritola in nome del guadagno, la perdita dei valori umani, dei rapporti interpersonali, in una parola l'impoverimento della vita. 

Insomma, secondo me se il mio amato Orhan Pamuk segue Netlix, 50m2 potrebbe piacergli. Dirò di più, potrebbe riconoscervi la sua Istanbul, la città più bella che io abbia mai visto, anche senza Santa Sofia e Topkapi.