Visualizzazione post con etichetta Daniela Ronchi della Rocca. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Daniela Ronchi della Rocca. Mostra tutti i post

mercoledì 1 febbraio 2012

Daniela Ronchi della Rocca, La gestazione del castoro


Quattro amiche unite da antica consuetudine e vari gradi di intimità in viaggio per il mare: la megamanager cinica, generosa e attivissima detta Bellisario; la musicista ferita nell’anima e nel corpo, Eleonora; la moglie ricca, Vittoria, madre di due figli e frustrata dall’inattività; Giulia, inviato speciale e madre divorziata. Lo spunto è ricco di possibilità e il narratore onnisciente le sfrutta al meglio descrivendo di ognuna il passato e la psicologia. Giunte alla villa di Bellisario, dove intendono trascorrere un week end lungo, cominciano a presentarsi sulla scena alcuni personaggi maschili, Paolo il personal trainer carino, Jakob il miliardario americano un po’ deus ex machina un po’ Babbo Natale sbevazzone, Ottavio il marito cortese e Anselmo il segretario gay, tutto sommato molto meno importanti delle quattro amiche anche se la loro comparsa determina svolte narrative importanti. I temi che muovono la vicenda sono il denaro, forse l’ambizione, certo il potere, l’amore sullo sfondo, ma soprattutto l’amicizia o meglio il gioco dei rapporti interpersonali. Quando tutti tornano a Milano forse sono cambiati un poco, certo conoscono meglio i propri desideri e possono cercare di trasformarli in realtà. Nell’ultima parte l’azione si trasferisce in un’India vista con gli occhi della ricchezza occidentale, dove amicizia e denaro si fondono alla perfezione per realizzare un’impresa che deve portare la felicità a Eleonora e forse anche a Bellisario, mentre per Giulia e Vittoria si prospettano altri successi personali. Una storia che procede attraverso i dialoghi, come si addice a un gruppo di donne quando si riuniscono.
Daniela Ronchi della Rocca, psicoterapeuta, vive a Torino. Ha pubblicato un’autobiografia in versi e questo è il suo terzo romanzo.  

sabato 16 gennaio 2010

Daniela Ronchi della Rocca, Falena Fuggiasca

Il titolo completo di questo giallo è Falena Fuggiasca Fatalmente Fu Fantasma (Habeas Corpus) il che, bisogna ammetterlo, non è tanto rassicurante. E in effetti cominciando la lettura provavo una certa diffidenza: l'autrice è una "psicologa e psicoterapeuta a orientamento psicanalitico", e prima di questo romanzo ha pubblicato una raccolta di poesie. Uhmmm... Invece il romanzo è gradevole, molto accogliente, denso di personaggi e situazioni tratteggiati con disinvoltura, e soprattutto pieno di notazioni sottili, di sensibilità profonda che fa pensare all'attività principale dell'autrice. Inoltre è scritto molto bene, con mano sicura e scorrevole. Tutto ciò mi ha fatto ripensare a qualcosa che ho già notato molte volte. Oggi pare che chiunque a un certo punto della sua vita decida di scrivere (avete presente quelli che adesso che ho tempo, scrivo un libro), generalmente giunto alla pensione, deve scrivere un giallo. Io ho il massimo rispetto per la scrittura e la massima simpatia per chi si mette a scrivere anche solo perché ha tempo. Prima di tutto molte persone davvero hanno qualcosa da dire e poco tempo per farlo, quindi è più che giusto che lo facciano quando finalmente possono. Inoltre scrivere è un'attività che ha poche controindicazioni, non fa male alla salute, non ingrassa, non aumenta il colesterolo cattivo, non sporca, non richiede investimenti eccessivi in materie prime. Ma perché deve esplicarsi proprio in un giallo, se non, peggio, in un noir, qualsiasi cosa si intenda con questo termine? E' sintomo, secondo me, di mancanza di fiducia nelle proprie capacità. Oggi il giallo, il thriller, tirano, quindi automaticamente l'aspirante scrittore dice tra sé e sé, quasi quasi scrivo un giallo, parafrasando senza volere Giorgio Gaber. Ma i gialli non nascono così dalle tastiere. Hanno meccanismi delicati che non si possono improvvisare, regole che il lettore, senza saperlo, conosce e si aspetta che vengano rispettate. Inoltre richiedono un po' di coraggio, di voglia di andare oltre, nella rappresentazione del sangue, del male, della morte, dei labirinti della realtà e della mente. Non devono usare troppi escamotage, soprattutto non devono sottrarsi alla propria natura all'ultimo momento come troppo spesso succede con quei libri vestiti di giallo solo perché va di moda. Devono avere una trama ben congegnata e abbastanza complicata da depistare continuamente chi legge senza prenderlo in giro. Per tornare alla Falena Fuggiasca, qui la mia riflessione è andata oltre: mi è parso che l'autrice abbia degli strumenti che vanno un po' sprecati in questo romanzo di genere. La vicenda, ambientata in una Torino praticamente invisibile, di una donna che scompare dopo avere organizzato minuziosamente la propria "festa" di morte, dell'indagine nella sua vita attraverso il pc, delle complicate reti di rapporti che si lascia alle spalle, è molto esile, manca di colpi di scena "polizieschi", e alla fine non tutto è proprio chiaro. In compenso come ho già detto, è condotta con sottigliezza e sensibilità e secondo me avrebbe figurato molto meglio se il romanzo avesse seguito un andamento mainstream. Il coraggio, in questo caso, era necessario per presentarsi al mondo senza la maschera gialla. E anche per tagliare molti compiacimenti superflui soprattutto nell'eccessiva abbondanza di file della scomparsa, che rallentano la vicenda e non significano niente. Certo ci sono gustosi excursus nel mondo dei trans che lo rendono estrememente attuale, e soprattutto una vicenda parallela, indipendente ma molto ingegnosamente collegata a quella principale. (Ma perché la quarta di copertina anticipa un particolare rivelatore che toglie forza a una sorpresa che già di per sé non arriva per niente inaspettata?). Sorprende di più la naturalezza e la disinvoltura di questo piacevole esordio nella prosa.
Mi resta una domanda. Un indovinello con soluzione, che non ho capito anche se deve essere facile, a vedere gli altri che lo accompagnano. Perché il sette è l'unico numero con problemi estetici?