martedì 20 ottobre 2020

AA VV I racconti del fuoco

 E' appena uscita, per la Neos Edizioni, la raccolta I racconti del fuoco, che


fa parte del progetto Gli elementi. Come in tutte le antologie a tema, è affascinante vedere in quale modo il medesimo spunto narrativo scatena l'immaginazione e le inclinazioni diverse in ogni autore. Nei sedici racconti il fuoco del titolo divampa e consuma, o striscia subdolamente ai bordi, è una potente metafora o un'aspirazione o un simbolo purificatore. Sempre, comunque, si carica di significato e contribuisce a creare situazioni appassionanti per la varietà e la padronanza della materia narrativa. Ambientati nel passato o ai giorni nostri, le vicende spaziano dall'antica Grecia al Medioevo delle leggende, dall'Africa dolorosa di oggi al terrorismo, dall'Egitto in piena rivoluzione alle placide spiagge su cui oziare.  

Il volume è curato da Valeria De Cubellis, che firma anche l'introduzione e un racconto. Gli autori e le opere sono Teodora Trevisan, Sotto le stelle dell'Elide; Anna Ferrari Scotto, I falò; Riccardo Marchina, I roghi degli zingari; Enrico Chierici, Fiamme bianche; Consolata Lanza, La flamboyante; Giovanni Casalegno, La torre, il fuoco e un poeta persiano; Floreana Nativo, Nel segno del Tau; Daniele Cambiaso e Sabrina De Bastiani, La verità del fuoco; Giorgio Macor, La strada dei fuochi vaganti; Anna Versi Masini, Il canto della fenice; Rinaldo Ambrosia, Dentro la storia; Merilia Ciconte, Bast; Rocco Campochiaro, Ossigeno; Patrizia Bartoli, Mattino di settembre; Luisa Maria Ramasso, Per colpa di un fuocherello; Valeria De Cubellis, L'anima sottile. 

Sono molto orgogliosa e lieta di comparire tra gli autori. Ho una notoria passione per i racconti, che sono difficili da scrivere e danno una grande soddisfazione a leggerli, e con un tema come quello del fuoco che ci scalda e ci brucia, tra tutti, non potevamo che far scintille.

domenica 18 ottobre 2020

Un legal thriller rigoroso e attualissimo: Andrea Tamietti, Acido

Terza prova del talentuoso avvocato torinese Andrea Tamietti, dal 1995 a Strasburgo presso la Cancelleria della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dove ricopre l'incarico di Deputy Section Registrar, dopo Ossa dimenticate e I tatuaggi del professore, Acido è un thriller senza morti né spargimento di sangue, poca azione e molto ragionamento. Protagonista e io narrante è Anna Rostagno, "avvocatessa" e vetero femminista" per sua stessa ammissione. Assume la difesa di Giuseppe Ramello, fascinoso, ammirato e ricchissimo proprietario di Reportage Network, televisione indipendente dedita alla nobile ricerca della verità e delle ingiustizie del mondo. 

Tutta la vicenda segue passo per passo le indagini di Anna per dimostrare che Ramello non è colpevole del delitto che gli viene attribuito, cioè l'aver commissionato un'aggressione nei confronti di una sua ex fidanzata, rimasta sfigurata con l'acido. L'indagine è complessa e coinvolge numerosi altri personaggi, si svolge tra Italia e Thailandia e si conclude dopo una spettacolare accelerazione finale. Tocca numerosissimi argomenti, un panorama completo delle distorsioni della società attuale, sessimo, molestie, pedofilia, turismo sessuale, scambismo, incontri combinati sul web, e persino un esilarante e spaventoso terrapiattista. 

Anna si candida decisamente a diventare un personaggio seriale, è costruita abilmente con tutte le caratteristiche necessarie. Solitaria ma non rinunciataria, la vicenda è vista con i suoi occhi, si seguono i suoi passi, i suoi tentativi, i suoi pensieri di donna che si autodefinisce ironicamente "vecchia zitella isterica". Nel corso della sua ricerca entra in contatto anche con ambienti altolocati, e c'è spazio anche per l'attuale mania della cucina e della gastronomia. Alla fine la verità viene a galla e anche se l'indomita protagonista non ne esce del tutto indenne, il lettore è sicuro che presto la incontrerà insieme ai collaboratori del suo studio, pronta a risolvere un nuovo caso. 

 


giovedì 15 ottobre 2020

L'enigma del resort: chi ha fatto la pipì fuori dal vaso? Sema Kaygusuz, La risata del barbaro

Questo La risata del barbaro, romanzo della scrittrice turca Sema Kaygusuz, mi ha veramente messa in crisi. Non sono in grado di farne una vera presentazione, anche se ho letto un'intervista con l'autrice e un paio di recensioni che in sostanza condivido, ma non mi hanno chiarito le idee. 

E' un romanzo, diciamo così, corale, in cui un certo numero di personaggi agiscono e soprattutto parlano, discutono, succedono delle cose, ma sempre come se il lettore potesse avere accesso esclusivamente alla superficie, e oltre all'interfaccia non ci fosse niente. L'ambientazione, del tutto contemporanea, è quella che molti conoscono, un albergo a bungalows sul mare come ce ne sono dappertutto sulle coste turche. L'autrice non specifica dove si trova, e già questo è un po' spiazzante. Vi si incrociano vite molto differenti, dal personale con alla testa l'indaffarata direttrice Ferhan, i camerieri Selcuk e Alikar che filosofeggiano fumando marijuana, il giardiniere, agli ospiti tra cui spiccano coppie come quella, feroce e omosessuale, costituita da Ismail e Melih, Ufuk e Eda che vuole spiegare al suo compagno come funziona il piacere femminile, Turgay e Nihan, le famiglie come Ozak e Serpil e il loro inquietante figlioletto Ozan, la famiglia numerosa, la silenziosa e solitaria Simin, e molti altri. 

I fatti che turbano la quiete dei vacanzieri scatenando reazioni incontrollate sono due: primo, Turgay fa pipì in mare, secondo, cuscini, lenzuola e altra biancheria vengono sporcati di pipì. Tutti si indignano e alcuni si scandalizzano, molti se ne vanno, altri restano fino alla fine delle vacanze pur essendo sempre più sconvolti da quello che è successo. Intanto parlano, scrivono, riflettono, mangiano, ballano. Discutono di tutto, dell'essere turchi e della situazione in Turchia (ma sempre con prudenza, non bisogna dimenticare che l'autrice vive in patria), del cibo e del sesso, dell'amore e della storia. 

Romanzo molto ambizioso, si affida a una scrittura alta, ricercata, che si lancia volentieri nel lirico e nel poetico, scivola e pattina sulle parole come se volesse evitare l'eccesso di concretezza. Parla e parla, ma non dice quasi niente dei personaggi che possa motivarne i comportamenti. Io, ripeto, non ho trovato il senso. L'ho letto con un certo piacere, riconoscendovi particolari della Turchia che tanto amo, ma mi sfugge quello che ci sta sotto. Io sono abbastanza ottusa, ho bisogno che le cose siano dette chiaramente, e non sono riuscita a capire se si tratta di necessaria reticenza per non incappare nella censura, o se l'ambizione del progetto comprendeva anche un alto grado di ermetismo. C'è anche una certa satira di costume, ma poca ironia. Mi piacerebbe tantissimo che qualcuno che ha letto La risata del barbaro mi spiegasse che cosa c'è sotto quella lingua ricercata e sfuggente. Sema Kaygusuz è una scrittrice notevole e sono sicura che ne varrebbe la pena, ed è per questo che ne parlo qui. Traduzione di Giulia Ansaldo.

lunedì 5 ottobre 2020

La morte è femmina, capricciosa e irrazionale: José Saramago, Le intermittenze della morte

   Questa è l'unica immagine sorridente che ho trovato di José Saramago,

scrittore che amo moltissimo fin dal lontano 1984 in cui fui folgorata dalla lettura del Memoriale del convento. Chissà perché nelle altre è sempre ingrugnato, in fondo nella sua lunga vita gli è andata piuttosto bene, riconoscimenti e amore non gli sono certo mancati. Questo Le intermittenze della morte l'avevo scaricato da un bel po' ma se ne stava zitto e fermo nel mio kindle, con la sua copertina piuttosto respingente e quel titolo un po' così, finché è finalmente venuto il giorno giusto per leggerlo. E ho verificato che non c'era motivo per la mia diffidenza. 

La morte non è un argomento attraente, e tutto quello che ci sta attorno tocca punti dolorosi, sia che la contempliamo nello specchio sia che la vediamo strisciare subdola accanto a noi. Eppure questo libro è tutto meno che deprimente, forse perché della morte si parla sempre come in un resoconto, con distacco, non ci sono personaggi definiti (tranne due, che però non hanno niente di emotivo e non permettono al lettore di identificarsi), non ci sono nomi, insomma l'aspetto narrativo così come siamo portati a immaginarlo manca quasi del tutto. Lo stesso modo ben noto di raccontare di Saramago, il suo uso personale della punteggiatura, l'eliminazione dei segni del dialogo e i paragrafi fluviali, tutto contribuisce a creare una sensazione di irrealtà o di distacco dalla realtà, di modo che il concetto stesso di morte si diluisce nel flusso alluvionale delle parole. 

Lo spunto iniziale è che la morte smette di fare il suo lavoro. Di colpo, senza motivi apparenti, più nessuno muore nel paese indefinito in cui la vicenda si svolge. Chi non muore rimane come in bilico tra i due mondi, l'aldiquà e l'aldilà, ma i problemi che si creano di conseguenza sono squisitamente pratici: le agenzie di pompe funebri rimangono senza lavoro, gli ospedali sono intasati, le famiglie si trovano ad affrontare un carico intollerabile, si crea una nuova mafia detta "maphia" che si occupa del problema portando i morti al di là del confine, dove rendono immediatamente l'anima a dio... insomma, lo sciopero della morte viene visto esclusivamente dal punto di vista pratico, senza derive filosofiche o sentimentali. 

Nella seconda parte compaiono i due personaggi che dicevo, uno naturalmente è la grande protagonista, l'altro un anonimo violoncellista. Non voglio fare spoiler anche se questo romanzo certo non si affida alla suspance, ma posso dire che forse questa coda di vicenda è un po' meno convincente della parte più distaccata, più algida, in cui la voce narrante parla sempre al plurale dei personaggi senza nome. E' come se la prosa trascinante di Saramago, in cui proprio la mancanza di a capo, di punti fermi, spinge a una lettura continua e avvolgente, soffrisse di un rallentamento che induce anche a farsi domande sul perché delle vicende, che in fondo sono del tutto fuori luogo e inutili. Per godere di questo romanzo che non appassiona ma convince fino in fondo, bisogna lasciarsi andare alle parole, godere della grande padronanza dell'autore su lingua e fantasia, lasciare le redini in mano all'immaginazione e alla maestria. Un romanzo che mi sento di raccomandare senza esclusioni, ma che certamente richiede un lettore un pochino sofisticato, privo di impazienze e capace di fidarsi dell'autore.