Visualizzazione post con etichetta Ivo Andric. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ivo Andric. Mostra tutti i post

giovedì 13 luglio 2017

Se volete scoprire un mondo sconosciuto: Ivo Andrić, Racconti di Bosnia

Ivo Andrić davanti al ponte sulla Drina a Višegrad
Io sono riconoscente a Ivo Andrić, Nobel 1961, non solo per la bellezza delle cose che ha scritto e che ho letto, ma perché Il ponte sulla Drina, in cui mi sono imbattuta a poco più di vent'anni, mi ha colpita, stregata, ammaliata, lasciata sbaccalita e con un intero mondo del tutto sconosciuto spalancato davanti agli occhi della mente. Ora, forse questi racconti non sono proprio straordinari come il romanzo citato, ma sono comunque molto, molto interessanti. Con un gravissimo difetto: io li ho trovati in un'edizione economica Newton del 1995 su una bancarella, e cercandoli poi sul web in vista della recensione, non li ho trovati da nessuna parte, di sicuro non in formato digitale. Per cui, se vi viene voglia di leggerli, tenete gli occhi aperti che ormai i banchetti di libri usati si trovano dovunque. E comunque se trovate un titolo di Andrić non fatevelo scappare,vale la pena scoprirlo se non lo conoscete ancora. 

Questi dodici Racconti di Bosnia si svolgono a Travnik, Sarajevo, Višegrad e dintorni, e parlano di un paese selvaggio, montuoso, povero, abitato da gente selvaggia e abituata a soffrire, attraversato e vessato da padroni e eserciti selvaggi e crudeli. Le storie vertono su lotte tra individui che facilmente, si intuisce, diventeranno lotte fratricide tra popoli che vivono insieme ma sono separati da tutto. I padroni turchi sono lontani ma la loro longa manus è fatta di generali polacchi islamizzati, funzionari rapiti da bambini e educati a Istanbul, inviati dalla capitale come in un esilio, soldati stanchi, mentre gli indigeni sono mercanti, strozzini, banditi, schiavi, donne senza voce. Una voce importante è quella della piazza, che commenta e sostituisce l'azione degli abitanti paralizzati da paura, abitudine, rassegnazione. Un mondo affascinante perché estremamente complesso e lontano, esotico persino, che qualche anno fa si è dilaniato sotto i nostri occhi distratti e sconcertati. Leggere queste storie può aiutarci a posteriori a capire qualcosa in più.

Farà piangere gli animalisti La storia dell'elefante del visir, ma non può non incantare con la sua polifonia di personaggi che ritraggono una città vessata da un visir crudele e ottuso, dove la comparsa di un vivace elefantino è la goccia che fa traboccare il vaso. Un anno inquieto è dominato dalla figura grandiosa del ricco padron Jevrem, la cui unica, tardiva debolezza lo rende vulnerabile alla prepotenza del crudele comandante Alibeg. Il tragico amore tra un nobile croato e una bella ragazza ebrea è raccontato in L'amore nel villaggio i cui abitanti non conoscevano l'allegria. Poi ci sono i racconti di fra Petar, monaco vecchissimo ma pieno di ricordi mirabolanti da condividere (La coppa, Il tronco), il crudele comandante Zivan, la sua sventurata moglie e il feroce brigante Lazar (La sete), le ragazze pietose (Il serpente) e l'infelicissima madre Kata (Miracolo a Olovo), e i ponti: Il ponte sulla Zepa, storia della costruzione del meraviglioso ponte progettato da un architetto italiano per ordine del gran visir Jusuf in un momento di nostalgia per il villaggio della Bosnia in cui era nato e da cui era stato rapito bambino per farne un obbediente servitore dei turchi, e I ponti, incantevole inno alla natura quasi magica, alla funzione e alla sacralità dei ponti.

In realtà questi racconti formano un grande, fascinosissimo affresco di un mondo scomparso già ai
Il ponte di Mostar
tempi
Ivo Andrić, che balza vivido e pieno di senso e di umanità dalle sue pagine. Ripeto il mio consiglio spassionato: cercatelo, cercatelo, sulle bancarelle o nei negozi polverosi in cui le pagine cartacee non più indispensabili trasmigrano e dolcemente si spengono. Cercatelo in rete, dove almeno Il ponte sulla Drina si trova facilmente in cartaceo (e forse anche in pdf). Insomma, la Bosnia è vicina, e dopo avere letto i Racconti di Bosnia vi verrà voglia di correre a visitarla. Io ho già la nostalgia.  

 

giovedì 15 maggio 2008

Quanno ce vo'...

Max Citi su ALIA EVOLUTION pone l'interessante questione "quanta violenza è lecito – accettabile, di buon gusto, intelligente – usare" scrivendo. L'argomento era troppo stimolante, avevo troppo da dire per potermi limitare a un breve commento, per cui lo riprendo qui.

Non sono del tutto d'accordo con le conclusioni di Max quando dice preferisco che la violenza non venga direttamente sceneggiata ma costituisca un ulteriore elemento di tensione. Non sempre la minaccia vaga mi basta. E' verissimo che il più delle volte l'esplicitazione, l'atto finiscono per assumere una sfumatura comica o deludente: se a lungo l'autore mi tiene sulle spine con il timore del morto vivente e poi alla fine quello arriva e si mangia le vittime, be', l'anticlimax mi strappa un sorriso, se la paura si risolve in un fiume di sangue può essere un sollievo. Ma questo vale per le storie di tensione, e per i miei gusti se il finale non deve essere troppo esplicito, d'altra parte la minaccia deve essere forte, e non eccessivamente impalpabile. Non mi piacciono le storie in cui si capisce pochissimo, le atmosfere troppo sospese, mi irrita l'eccesso di non detto e non descritto. Sono forse un po' priva di immaginazione, ho bisogno di aiuto. E comunque, nelle storie normali, non mi ritiro davanti alla violenza anche descritta, anche insistita. Non mi dà noia se la scrittura è all'altezza, e ovviamente il contesto narrativo la richiede.

Faccio degli esempi. Uno degli scrittori contemporanei che ammiro di più è Mo Yan, di cui conservo religiosamente, e mi porto sempre dietro, un autografo. Per dirvi quanto l'ammiro, una volta l'ho visto a un convegno meraviglioso di scrittori orientali tenutosi qui a Torino alcuni anni fa, e io, che in alcune circostanze tra cui giganteggia quella di proporsi, sono timidissima di mettermi in mostra, ho approfittato del momento in cui era stato posteggiato in un angolo dal suo traduttore e sono andata a dirgli tutta la mia appassionata stima, che ovviamente non poteva capire, e gli ho anche stretto la mano, tipo bacio alla reliquia. Più che le sue storie ammiro la sua scrittura, violentemente espressionista, e anche semplicemente violenta. Ebbene, alcune persone cui ho consigliato Sorgo rosso mi hanno chiesto se ero matta, se per esempio non mi aveva dato fastidio la descrizione di come un personaggio viene spellato vivo. Io non me lo ricordavo neanche, almeno come descrizione violenta. Ricordavo solo la bellezza di un romanzo che mi aveva colpita a fondo. Così dopo aver letto Il supplizio del legno di sandalo ho fatto attenzione a chi lo consigliavo. E' un romanzo violento, con descrizioni accurate di torture, ma siccome è la storia di un boia, è impensabile che potesse essere scritto in altro modo. E si ricollega a un romanzo che ho amato tantissimo anni e anni fa, Il ponte sulla Drina di Ivo Andric, pubblicato per la prima volta nel 1945, che comincia con un impalamento, lo stesso supplizio del legno di sandalo di cui parla Mo Yan. E anche allora, ricordo che un amico cui avevo imprestato il libro si era lamentato di questo impatto violento.

Ora, questo non vuole dire che mi diletto di impalamenti e scuoiamenti in quanto tali, ma che leggendo non dimentico mai che la violenza è scritta, è parte del gioco che si instaura tra il lettore e lo scrittore, e come qualsiasi altra scelta un po' estrema, tipo erotismo o eccesso di realismo, chiedo solo che sia ben raccontata e c'entri con la vicenda, insomma che forma e contesto mi convincano. Al cinema, per dire, certi tipi di violenza mi disturbano molto di più, ma anche lì non tutti, e anche se ci ho riflettuto meno penso che sia sempre una questione di "come" è rappresentata. Per esempio, negli ultimi mesi ho apprezzato molto La promessa dell'assassino di Cronenberg e Onora il padre e la madre di Sidney Lumet, entrambi film piuttosto crudi e crudeli. Certo, per tornare alla scrittura, gli eccessi sono sempre controproducenti, il rischio che il lettore scoppi a ridere esclamando "bum!" è forte. Ma quando riesce, quando colpisce senza disgustare, è molto efficace. Più di una volta, scrivendo, ho cercato di osare un po' di più, di andare un pochino oltre quello che mi veniva spontaneo. Se la cosa mi sia riuscita non so, ma non è che ci ho provato, ne sentivo la necessità. Credo che scrivendo sia importante andare sempre un po' oltre, naturalmente non solo nel campo della violenza, ma in tutte quelle direzioni che richiedono di forzare un pochino la propria natura.