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venerdì 3 luglio 2015

Passeggiate londinesi, ultima puntata: tutta casa e cimitero

Non so voi, ma io venero Charles Dickens come narratore perfetto. A parte The mistery of Edwin Drood credo di avere letto tutti suoi romanzi, i racconti, i resoconti di viaggio. Mi sono quindi molto emozionata visitando la sua casa a Londra, in cui visse dal 1937 al 1839 con la moglie Catherine e il primo figlio, e dove ne nacquero altre due. Qui terminò di scrivere i Pickwick Papers, scrisse Oliver Twist e Nicholas Nickleby e iniziò Barnaby Rudge.
E questo è ciò che vedeva uscendo di casa la mattina. Inoltre, lì accanto c'è il complesso di Gray's Inn dove aveva lavorato come praticante in uno studio di avvocato.       


La casa di Dickens in Doughty Street, Bloomsbury


La casa di Lady Ottoline Morrell a Bloomsbury
E non lontano abitava, dopo il 1928, in un periodo di ristrettezze finanziarie, Lady Ottoline Morrell che pur essendo una person reale fu anche uno dei personaggi più letterari che si possono immaginare.                                                        A poche strade di distanza abitavano tutti i nomi famosi del gruppo di Bloomsbury, Wiginia Wolf e sua sorella Vanessa Bell con il marito Clive, Lytton Strachey e così via, tra cui anche John Maynard Keynes                                                     
Casa di John Maynard Keynes a Bloomsbury

Tomba di Karl Marx al Cimitero di Highgate est
Abitazione di Karl Marx a Soho
E poi ecco il cimitero di Highgate East. Se capitate da quelle parti vi consiglio vivamente di fare un giro al cimitero ovest, uno dei posti più sfrenatamente romantici, spettrali e affascinanti del mondo. Purtroppo oggi si può visitaro solo in gruppi accompagnati, mentre è un posto in cui è bello sperdersi e godersi i brividi nella schiena. Però anche questo non è male. Ci si va per Karl Marx, ovviamente, ma è in buona compagnia.        Qui sotto la sua abitazione a Soho, sopra a un locale con l'aria parecchio equivoca.                                                                                Tra gli altri ospiti del cimitero, ci sono George Eliot, Alan Sillitoe, gli attori Ralph Richardson e Corin Redgrave, e lo storico Eric Hobsbawn.
Tomba di Eric Hobsbawm al Cimitero di Highgate est
E poi un incontro inaspettato, Douglas Adams. Difficile immaginare un maggiore understatement di questa piccola stele in mezzo al verde, che si nota solo per le biro che i suoi lettori gli lasciano vicino. Perché possa continuare a scrivere guide intergalattiche, suppongo. La Bic messa per storto a sinistra è la mia. 
 

venerdì 27 febbraio 2015

Per tutti i gusti: due letture british, La casa dei fantasmi di Charles Dickens e Memorie di un vecchio giardiniere di Reginald Arkell, e un thriller all'acqua di rose, Sei proprio una scema di Gaia Giordani

Tre libri per cui non mi sento di spendermi a spada tratta, ma che possono magari interessare a altri.
Il primo ha un titolo che mi ha subito acchiappata ma è un po' ingannevole: La casa dei fantasmi (The Haunted House) di Charles Dickens e altri autori (Hesba Stretton, George Augustus Sala, Adelaide Anne Procter, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell). Pubblicato nel 1859 per il settimanale All the Year Round
forndato da Dickens nel 1859 e da lui posseduto fino al 1895, è un numero-strenna natalizio. La struttura è particolarmente interessante, perché il protagonista narra come, trovatosi a passare qualche mese in una casa che ha la fama di essere infestata, per scacciare l'opprimente atmosfera invita un gruppo di amici e a ognuno affida una camera e il compito di narrare quello che il "fantasma" residente gli racconterà. Gli amici sono altrettanto razionali e il risultato è un'antologia di racconti ognuno incentrato su un personaggio e la sua vita, molto godibili, parecchio diversi, e per niente fantastici. Non posso negare che questo mi abbia un po' delusa, ma la lettura è raccomandabile per l'intrinseco interesse e per gli illustri nomi degli autori.
In italiano è uscito da Del Vecchio con il titolo Le stanze dei fantasmi e la traduzione di Stella Sacchini (non sono riuscita a scoprire in che anno), ma ne esistono altre versioni in ebook e audiolibro facilmente reperibili.


Il secondo è un altro prodotto very british, cioè Memorie di un vecchio giardiniere di Reginald Arkell, pubblicato nel 1950 con notevole successo. Diciamo che non porta bene la sua età, ma di sicuro piacerà a chi ama zappettare e trapiantare, anche solo su un balconcino urbano. Con magistrale understatement l'autore delinea un personaggio a tutto tondo, il trovatello Herbert Pinnegar, testardo e monomaniaco, la cui vita coincide totalmente con la sua attività di giardiniere del parco di una grande casa appartenente alla signora Charteris, per lui la cosa più vicina a un amico o un amore. Pinnegar non sfigurerebbe a Dawnton Abbey, e sicuramente si giocherebbe ai punti con il maggiordomo Mr Carson il record di fedeltà, lealtà e totale aderenza ai valori della classe dominante. Un po' lentino, monotono (ma è piuttosto breve) ma sicuramente interessante e vivamente consigliato ai veri anglofili. Traduzione di Franca Pece.


L'ultimo è tutta un'altra storia. Opera prima di una giovane che si presenta come esperta in SEO copywriting, social media management, web content editing oltre che coordinatore del blog del settimanale Grazia e Web Content Manager del sito di Cosmopolitan in Hearst Magazines Italia. Ci sarebbe da spaventarsi, ma Sei proprio una scema di Gaia Giordani è un brevissimo, veloce e abbastanza confuso esempio di chick-lit nostrana. Per esplicita ammissione dell'autrice è stato scritto in tre giorni, e forse dedicargli una settimana non sarebbe stato un male. Comunque cominciandolo sapevo quello che facevo e non ho intenzione di lamentarmi affatto, tanto più che la storia di Gaia (la protagonista, non l'autrice) e il suo amato-odiato Stronzo non ha nessun senso ma è scritta con brio, la giusta dose di cliché e altrettanta capacità di trascinare il lettore in un crescendo che vede la storia passare dal rosa dejà-vu al blando mistero al turbine di giravolte e ribaltamenti che conducono al sorprendente (o inconsulto?) finale. Consigliato a chi ama il rosa pallidissimo e le pagine leggerissime, vuole dedicare poco tempo alla lettura e non tollera di essere confrontato con nulla che ricordi la realtà.     
















giovedì 24 novembre 2011

Leggere per vivere - la mia storia di lettrice, terza puntata


Felicissima friandise, invece, la serie di Mary Poppins di P. L. Travers. Niente a che vedere con la sdolcinata interpretazione disneyana, Mary Poppins è severissima, autoritaria e piena di difetti, primo dei quali una vanità senza limiti. Altro che i sorrisi di Julie Andrews. Giovanna e Michele, con i loro fratellini minori Giovannino, Barbara e Annabella, sono stati i miei amici per molti anni. Mi affascinava quella vita così diversa dalla mia, fatta di spedizioni per comprare il panpepato (mai saputo che cosa sia), pioggia e soprascarpe, zucchero d’orzo e “mettiti il cappello”, cene nella stanza dei bambini e “se sento una sola parola…”. Una vita di regole rigidissime e infrazioni continue attraverso le magie di Mary Poppins, che lei ogni volta negava in nome di una sua indiscutibile dignità. Le mie storie preferite erano “Venerdì disgraziato”, in cui Michele in crisi di capricci e perfidia spacca un piatto di porcellana su cui è dipinto un paesaggio con figure, poi ci finisce dentro e verifica i guai che ha combinato in quel mondo, “Compere di Natale” dove i bambini incontravano Merope, una delle Pleiadi scesa in terra a cercare i regali di Natale alle sue sorelline, “Il parco nel parco” dove i personaggi di plastilina fatti dai bambini prendevano vita in mezzo all’erba. Quanto volte ho scostato fili d’erba nella speranza di scoprire che vi si agitavano piccole repliche di esseri umani! Per non parlare poi dei personaggi di contorno, Robertson Ay la cui unica incombenza nella vita era lucidare stivali, l’ammiraglio Boom, il poliziotto innamorato della cameriera Ellen sempre raffreddata, un mondo intero insieme rassicurante e sempre pronto a squarciarsi per lasciare entrare Nelly Rubina, la signora Corry dalle dita di zucchero d’orzo e le sue grosse lacrimose figlie, il vento dell’est e quello dell’ovest, gli aquiloni e i pettirossi. Basta dimenticare il film e tuffarsi nelle pagine dei volumi originali per perdersi in un incanto pieno di fantasia e spigoli stimolanti. Ebbi però una grave delusione quando, in quarta o quinta elementare, nell’ora dedicata alla lettura a voce alta, proposi alle mie compagne di classe le vicende della famiglia Banks: troppo irreale, nessuna situazione strappalacrime, ottenni un pollice verso unanime.
Non che disprezzassi le storie patetiche, anzi. Senza famiglia di Hector Malot l’ho molto amato, nel mio baule di ricordi indelebili stanno le frittelle di Mamma Barberin, la povera scimmia Capitano squassata dalla tosse, il signor Vitalis che muore di stenti, la canzone napoletana Fenesta vascia e patrona crudele che fa incontrare Remigio e suo fratello sullo yacht Cigno che avanzava regale nei canali della campagna francese, tra chiuse e argini, trainato da cavalli… E la protagonista di In famiglia, dello stesso autore, mi ha insegnato molto sui meccanismi dell’ascesa sociale: sola, miserrima, raminga, riesce a farsi assumere in una fabbrica, trova rifugio in una capanna abbandonata vicino a un ruscello e investe il primo guadagno in un pezzo di sapone, uno specchietto, un pettine e una pezza di cotone bianco con cui si cuce delle camicie. Così, presentandosi al lavoro pulita e ordinata, inizia una carriera che alla fine la porterà a conquistarsi tutto ciò che le mancava. Magari mi rimanessero in mente con la stessa lucidità i tanti libri che leggo ora, e riuscissi a trarne gli insegnamenti che la mia ignoranza di bambina sapeva raccogliere.
Avere letto tanti romanzi ottocenteschi, fin dall’infanzia, mi ha reso molto sensibile alle dinamiche sociali, alla concreta realtà del lavoro, a pormi sempre la domanda “ma come mangia questo personaggio? come paga l’affitto, i vestiti?” e sicuramente ha influenzato anche il modo in cui costruisco le storie che scrivo. Mi infastidiscono quei libri, non importa se realistici o fantastici, che si svolgono in una borghesia diffusa, sganciata dalle necessità economiche, dove tutti sono liberi di coltivare i propri squisiti tormenti come se i soldi piovessero dal cielo. E anche nella mia vita sono sempre incuriosita dalla provenienza sociale, dalle origini delle persone che incontro.
Non perderò tempo a parlare di quei romanzi “per bambini” che ancora negli anni cinquanta-sessanta facevano parte delle letture obbligate, ma non imposte, che anch’io ho fatto. Mi sono appassionata a I ragazzi della via Pal, Il piccolo lord, Il giardino segreto, Il lampionaio, ovviamente e senza riserve a Piccole donne, un po’ meno a Piccole donne crescono, I ragazzi di Jo, Otto cugini, Rosa in fiore. Di Piccole donne ricordo praticamente tutto, dal primo capitolo con il Natale senza altro dono che il Pilgrim’s progress e la recita casalinga alla morte di Beth e al ritorno del colonnello March dalla guerra. Non mi sono mai fatta una ragione che Jo, con le sue mele mangiate in soffitta e i suoi libri, i capelli tagliati per mandare i soldi al padre, il vestito di tartan (stupenda parola incomprensibile) bruciato sulla schiena, i guanti usati, i pomeriggi passati a leggere all’antipatica cugina ricca che la chiamava Josephine, il coraggio, la capacità di saltare gli steccati, rifiuti l’amore di Laurie. E che se lo sposi quella gatta morta di Amy. Un colpo basso che Louise May Alcott avrebbe potuto risparmiarci, a me e a milioni di altre lettrici. Per farle sposare un vecchio tedesco triste e noioso, poi. Non glielo perdonerò mai e poi mai.
Lessi anche Davide Copperfield in un’edizione illustrata ma completa, assolutamente entusiasta ma scervellandomi su molti particolari incomprensibili. Agghiacciata dalla scena in cui, dopo che la madre, infelicissima per il matrimonio con l’orrido Murdstone, muore insieme al bambino appena nato, Davide viene portato nella stanza dove i due cadaveri giacciono sotto un lenzuolo. Affascinata dalla zia Trottwood furiosa con gli asini che le mangiano i fiori del giardino, schifata da Huria Heep e dalla sua viscida madre, commossa per la triste sorte di Dora Spenlow e il suo panierino di chiavi. Incapace di penetrare i motivi che rendono impossibile il matrimonio tra la bella Emilie e l’eroico Ham Peggotty, dalle mani che sporgono dalle maniche troppo corte. Mah, i misteri della vita sono così tanti e affascinanti che averne incontrato un bel numero in queste pagine meravigliose mi ha sicuramente resa, se non più sveglia, almeno più sensibile e attenta agli altri. Un antidoto efficacissimo contro l’egocentrismo e la contemplazione del proprio ombelico. Come si possa considerare Dickens un autore per bambini non lo capirò mai. Da grande ho letto tutti i suoi romanzi e l’ho elevato nell’empireo dei miei autori guida. Ne parlerò a suo tempo.