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venerdì 17 febbraio 2017

La scrittura è il filo d'Arianna: Margherita Giacobino, Il prezzo del sogno




Questo è un libro che affascina immediatamente con la sua doppia anima: è un romanzo con protagonista una figura eccessiva di donna, e un affettuoso, ammirato tributo alla famosa scrittrice Patricia Highsmith. Leggendolo ho avuto fortissima la sensazione che anche questa nuova fatica di Margherita Giacobino, così come il precedente Ritratto di famiglia con bambina grassa lo era rispetto alle persone della famiglia dell'autrice, sia un atto d'amore necessario nei confronti di un personaggio formidabile come Patricia Highsmith.
L'aspetto letterario non è subordinato all'eccezionalità del personaggio bigger than life, ma prevale l'amorosa, instancabile osservazione della persona. Gli aggettivi che le vengono attribuiti sono piuttosto negativi – misantropa, burbera, avara, scorbutica, egoista ecc ecc – ma nell'uso stesso di questi termini si sente un profondo affetto, un'ammirazione che non si fa scoraggiare da così poco. 

La prima sensazione è di un'instabilità che ci fa sentire come su un'asse d'equilibrio. Si passa continuamente dall'interno all'esterno della protagonista, e questo dà un effetto febbrile legato sia alla personalità stessa di Patricia Highsmith (inquieta, lacerata, in continuo interrogarsi sulla contrapposizione tra bene e male, cosciente di essere sempre contro) che alla fortissima scena iniziale: la morte in attesa e gli ultimi febbrili ricordi – pensieri.
La vita della protagonista non è narrata in maniera lineare. C'è come un procedere generale della vicenda, come gli anni che inesorabilmente avanzano, ma questo flusso è continuamente interrotto da riflessioni, divagazioni, affermazioni in cui tutti i personaggi, tranne Patricia Highsmith, sono sbozzati, descritti con due tre pennellate, e entrano e escono veloci dalla scena tutta occupata da lei.
I fatti sfuggono, ci vengono forniti a pezzi in un successivo ritorno del ricordo sull'episodio nella sapientissima tessitura del romanzo che ha struttura circolare, dalla morte alla morte, e ci dà il significato profondo della ricchezza e della difficoltà della vita di ognuno, non solo di quella di PH.
Questo ossessivo girare intorno alla personalità di PH, in cui le varie donne della sua vita, anche quando contano, sono poco più che comparse, crea non tanto, a mio parere, una biografia romanzata (o un romanzo biografico, non so quale sia la definizione giusta) né una mappa ma un personalissimo ritratto, in cui la scrittrice Margherita Giacobino e la scrittrice Patricia Highsmith si guardano negli occhi, vi si rispecchiano e si riconoscono a vicenda. 

I temi sono molto densi e emergono dalla continua riflessione di PH su se stessa, la propria vita, il proprio presente e il proprio passato. Sono tutti legati alla fondamentale coscienza di essere al di fuori di ogni norma: e quindi la ricerca di sé, l'omosessualità, gli amori, e soprattutto, sempre più fondamentale col tempo, la scrittura. Leggendo si ha l'impressione di una matassa difficilissima da dipanare proprio per la sua densità.

Le prime pagine sono un pugno nello stomaco, forti e angosciose. PH è davanti alla morte, assistita da una giovane infermiera, Maria, che rappresenta la scrittrice e nello stesso tempo le donne che ha amato, le golden girls che hanno dato senso, gioia e dolore alla sua vita, cioé la gioventù stessa. Da questo incipit così potente prende il via la ricostruzione della vita di Pat (come lei stessa ci dice di chiamarla) che alternando la prima e la terza persona ci dà un febbrile resoconto, più dall’interno del pensiero che dall’oggettivo esterno dei fatti. In quest'alternanza, non mero espediente di tecnica di scrittura ma perfetto specchio della complessità intensa e tormentosa della personalità di PH, sta il senso profondo del libro.
Mi ha molto colpito la scrittura di questo libro, e soprattutto la struttura. La scrittura è esaltata, febbrile, non c'è mai un flusso cronologico ma un continuo avanti e indietro, come nel ricordo affannoso della morente. C'è una struttura circolare dalla scena iniziale della morte a quella finale che a quella morte ci riporta, ma non è una struttura rigida, anzi. La narrazione è al presente – ulteriore elemento di ansia, di a-storicità dei fatti – con frequenti balzi al futuro, come se si volesse stimolare di continuo il lettore a seguire attivamente il pensiero incessante, direi quasi il rovello della protagonista, e l'effetto è vertiginoso. 
Il tempo dell’azione è del tutto orizzontale: nel continuo andirivieni temporale dell'azione vediamo le conseguenze o le motivazioni, ma non è mai narrata, sta nel background.

Accanto a questo nucleo così importante, c il ricchissimo repertorio delle varie donne che Pat incontra nella sua vita, la madre e il patrigno, la genesi dei libri, i viaggi, le moltissime case. 
Pat non è femminista, ma nella sua opera c'è una continua riflessione sul ruolo della donna nella società americana, e non si stanca di denunciare la falsità dell'American dream (per le donne), dell’infelicità della donna normale, che non è mai padrona del proprio destino ma aspetta che sia un uomo a decidere per lei e portarle la felicità. Malgrado un tentativo, per amor di quiete, di farsi piacere un fidanzato con cui sposarsi e "mettersi a posto", la sua irrequietezza si riflette nella luga serie di amori. Naturalmente un grande spazio nel romanzo ce l'hanno le donne amate da PH, a cominciare da Carol, epitome di tutte le belle signore impossibili, eleganti, sventate, autodistruttive e temerarie che amerà nella prima parte della sua vita, e che confluiranno nella figura protagonista dell'omonimo romanzo, nato come Il giardino di Tantalo poi pubblicato come Il prezzo del sale nel 1952, con lo pseudonimo di Claire Morgan in una collana pulp. Il romanzo ebbe grande successo, quasi un milione di copie nel formato tascabile, ma solo nel 1989 fu riconosciuto dalla sua autrice. Poi ci sono le donne tiranniche, le noiose, gli amori impossibili, e le golden girls che abbagliano gli ultimi anni della sua vita.
La sua è un’irriducibile diversità dalla norma, e non se lo dimentica mai. Ma il suo senso di inadeguatezza è controbilanciato da un senso di superiorità nei confronti delle donne comuni. Lei scrive mentre le donne normali fanno le loro vite di casalinghe disperate. Scrivendo i Piccoli racconti di misoginia (1974) si diverte tantissimo. Però sa che amare è meglio che essere amati, e ama essere innamorata, e tra i suoi amori sono importanti gli animali, soprattutto la gatta Sam.

La narrazione comincia nel 1946 a New York: nella vita di Patricia Highsmith, ragazza texana di buoni studi che si mantiene scrivendo sceneggiature per fumetti, ci sono già la voglia di affermarsi con la scrittura e l'amore per la bella Carol. La madre Mary, egoista lunatica prepotente, l'ha trascurata e abbandonata dalla nonna in Texas per dedicarsi a bisticciare con il marito Stanley. Da questo rapporto difficile nasce forse il costante senso di abbandono e inadeguatezza che l'accompagnò insieme alla coscienza dei propri desideri sessuali proibiti, della propria irriducibilità alla norma e della potentissima vocazione alla scrittura. Nel 1946 il primo racconto, L'eroina, esce su Harper's Bazaar e conquista subito il premio O.Henry. Capisce che scrivere è il suo destino.
L’ancora di salvezza contro l’inquietudine non è l'amore, o l’eccesso di amori, ma la scrittura. La
scrittura è il filo d'Arianna del suo personale labirinto, dal quale non desidera affatto uscire, perché ormai sa che esplorarlo è la cosa più appassionante che potrà mai capitarle nella vita. Pat sa che la scrittura è un lavoro molto esigente, talvolta si sente una forzata della parola. Ma la scrittura prende tutto, è la cosa più importante.

Margherita Giacobino dà un'affascinante interpretazione individuando lo spunto autobiografico di molti romanzi, o meglio l’inciampo esistenziale che fa scattare l’immaginazione. Da un uomo intravisto sulla spiaggia a Positano che dà origine a Ripley, al racconto in cui PH si vendica di Andrea che non è più all’altezza del suo sogno. Dai sogni febbrili, sogni di uccidere, nasce l’uccisione sulla carta, il delitto. Nei suoi libri i protagonisti sono uomini che compiono quelle azioni che lei non può compiere nella vita reale. Uccidono le donne. Tanto che può affermare La morte è sempre stata il mio mestiere. Insieme alla morte non ci si annoia.
Dai suoi libri furono tratti moltissimi film, oltre a serie televisive e radiofoniche. I registi sono illustri: Wenders, Minghella, Hitchkock, Haynes, Geissendörfer, Autant-Lara, Clément, Cavani, Chabrol, Amini ecc.

Negli ultimi anni si preoccupa della propria morte e della sua eredità. Nella sua ultima casa in Svizzera, fatta costruire secondo i suoi desideri senza finestre verso l’esterno, barricata e inospitale, fa testamento. L'editore svizzero Diogenes ha i diritti di pubblicazione, ma un generoso lascito andò alla comunità di artisti Yaddo dove aveva soggiornato nel 1948, ma le sue carte private, i taccuini neri degli appunti, i diari, le lettere, le vende a un archivio di Stato di Berna dove sono consultabili.
Il suo ultimo romanzo, g minuscola – un idillio d’estate, è una favola ottimista che non piace ai critici ma vende bene.
Nel 1995 muore all'età di settantaquattro anni.







mercoledì 30 settembre 2015

L'amore tra due donne a Manhattan e on the road negli anni Cinquanta: Patricia Highsmith, Carol, ora film di Todd Haynes con Rooney Mara e Cate Blanchett

Sono andata a vedere il film Carol di Todd Haynes (Lontano dal paradiso, Mildred Pierce) che, lo dico subito, non mi è piaciuto in modo particolare. Indipendentemente dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith da cui è tratto, non mi ha affascinato e mi ha fatto ripensare con nostalgia al bellissimo libro facendo continui confronti, cosa sbagliata che non si dovrebbe mai fare, lo so benissimo. Ma tant'è. Bravissime le protagoniste, Rooney Mara (graziosissima mescolanza di Keyra Knightley con - dio mi perdoni - Audrey Hepburn, alla fine) e l'antipatica Cate Blanchett, con i pompelmi nelle guance e il labbro superiore gessificato, inverosimile come trentenne per cui l'eccessiva differenza di età ne fa più una seduttrice che una donna in bilico. Il fatto che Therese sia fotografa invece che scenografa non cambia molto, ma il personaggio è molto semplificato e mancano quasi del tutto gli amici di contorno, l'ambiente newyorchese dei giovani arrivati dalla provincia, precari, ambiziosi, disposti a fare qualsiasi lavoro li porti più vicini alla realizzazione dei loro sogni, e così un po' tutto ciò che nel libro è importante ma esula dalla storia d'amore sparisce, in favore di un certo morbido decorativismo, e il risultato è piuttosto patinato e estetizzante. Le scene di sesso esplicito mi sono parse superflue, ma con due attrici così capisco che si trattasse di una tentazione irresistibile. Comunque le critiche sono tutte positive, e dato il livello di quello che si vede in giro penso che valga la pena di andare a vederlo (ma ieri ho visto Star Wars: Il risveglio della Forza e mi è piaciuto infinitamente di più, mi sono divertita e basta).
E per la cronaca, il gesto finale manca.

Di seguito, la recensione del romanzo:
     
Uno dei molti motivi per cui sono una sostenitrice sfegatata e un'utilizzatrice esclusiva di ebook, è che in formato digitale si possono scovare tantissimi libri che in libreria sono introvabili. Si sa che dopo tre mesi un libro sparisce dalle librerie, e siccome non sono appassionata di best seller e mi capita molto spesso di avere curiosità che riesco a soddisfare con poca spesa cercando in rete, è ormai rarissimo che intraprenda la lettura di un cartaceo. Questo romanzo di Patricia Highsmith (1921-1995), scrittrice che amo moltissimo e non mi ha ancora mai delusa, scritto nel 1949, è uscito nel 1952 negli Stati Uniti sotto lo pseudonimo di Claire Morgan; Bompiani lo ha ripubblicato nel 2007 con la traduzione di Hilia Brinis.

Therese, diciannovenne aspirante scenografa, vive a New York e per pagare affitto e pasti lavora come commessa avventizia in un grande magazzino. Non ha famiglia, è cresciuta in orfanotrofio, ma ha un quasi boy friend, Richard, e qualche amico. Un giorno, al lavoro, vede una cliente bionda, elegante, bellissima, e in un attimo ne è perdutamente affascinata, ossessionata. Con un atto di cortesia riesce a contattarla, e ne nasce un'insolita amicizia basata su un fortissimo interesse reciproco che all'inizio non si esprime ma poi si definisce come amore. Per Therese è la scoperta di se stessa, per Carol, trentenne, sposata e con una figlia, il riconoscimento e l'accettazione di un destino che passa attraverso il divorzio e il doloroso distacco dalla figlia.

Non succede molto altro nel romanzo, ma l'uscita di Therese come da una crisalide e il tormentato abbandono di Carol sono molto più affascinanti e appassionanti che una storia piena di colpi di scena. Uno dei molti meriti di questo bellissimo libro è il tono, caldo ma insieme oggettivo e distaccato, con cui è narrata una vicenda che avrebbe potuo facilmente sfiorare il melodramma o il patetico. I due personaggi principali sono perfetti, e anche quelli di contorno funzionano sempre. Malgrado abbia superato ampiamente i sessant'anni lo rende molto moderno la reticenza, non tanto dei fatti quanto delle parole con cui sono raccontati. Non c'è un particolare superfluo, i cambiamenti di Therese e di Carol si vedono nelle loro azioni, nei loro avvicinamenti e nelle fughe. La società attorno, il marito e il fidanzato, la giustizia umana, tutto cerca di separarle e dimostrare che il loro non è amore ma follia, e non può nemmeno esistere. Ma non ci sono né punizione né lacrime amare per Carol e Therese, e anche questo, oltre a essere bello e giusto, è molto coraggioso per i tempi e a modo suo rivoluzionario. Questo romanzo è l'unico in cui Patricia Highsmith affrontò tematiche di questo tipo.

Come bonus, Carol ci fa vivere per qualche ora in una New York fascinosissima, quella che abbiamo visto in tanti film in bianco e nero, dove donne bellissime in visone bevono drink sofisticati (e quanti ne bevono! a tutte le ore, a tutte le età) negli alberghi più alla moda di Manhattan. Dove i ricchi che abitano nelle periferie residenziali accompagnano in auto gli amici squattrinati nelle loro abitazioni di Manhattan. E il lungo viaggio in macchina delle due donne verso ovest ci fa sognare autostrade diritte che si perdono nel nulla, motel accoglienti e città torreggianti nel deserto. So che ne è stato tratto un film, forse non ancora uscito in Italia, e spero che abbiano conservato il finale che sembra fatto apposta per il cinema: una mano che si alza in un saluto da lontano, e in quel saluto c'è la gioia inaspettata, la promessa, il riconoscimento, l'accoglienza, la sicurezza dell'amore che si specchia.
Mi resta solo un dubbio, non è che quella che viene più volta nominata come Washington (a Salt Lake, Therese continua a chiedere a Carol: ma sei sempre dell'idea di andare fino a Washington? mentre si spingono sempre più verso la costa ovest) non è la città ma lo stato di Washington, quello di Seattle per intendersi?    

giovedì 24 luglio 2014

Notizie dal mondo fluttuante: Le donne del signor Nakano di Kawakami Hitomi.

Dopo un tot di libri non memorabili, finalmente capito su un romanzo di cui vale la pena di parlare: Kawakami Hitomi, Le donne del signor Nakano. Una bottega di rigattiere, il padrone, sua sorella, un fattorino e una commessa. I clienti, le minute vicende quotidiane, la vita: vita precaria, vite precarie, momenti che non diventano mai una storia compiuta, non assumono significato. Ciò che in un altro libro avrebbe un peso narrativo qui rimane fine a se stesso, non porta da nessuna parte e questo crea un fascino particolare nelle pagine di Kawakami Hitomi. L'io narrante Hiromi, giovane e confusa, ha una voce a tratti svagata a tratti dolorosa, mai troppo lucida. Ora fa la commessa part-time, del suo passato non sappiamo niente se non che il suo ultimo ragazzo l'ha lasciata due anni prima, forse è attratta dal fattorino Takeo, forse no... La stessa vaghezza caratterizza i tentativi artistici di Masayo, sorella del padrone, ultracinquantenne nubile che intrattiene un rapporto amoroso con un divorziato. Il signor Nakano ha due ex mogli, una moglie attuale, tre figli e un'amante che tradisce, ma è convinto dell'importanza di non interrompere i rapporti che hanno una loro intimità. L'instabilità dei suoi pasticci amorosi si rispecchia nelle sue scelte professionali così come l'instabilità caratterizza sia i pensieri che la vita e il lavoro di Hiromi, mentre Masayo sembra aver concretizzato alla fine almeno un sentimento, ma qui è la vita a essere instabile. Tutto è precario, transeunte, instabile, fluttuante. I rapporti tra le persone sono caldi ma non si stabilizzano, e le persone stesse si trasformano secondo linee inaspettate. Nel susseguirsi delle stagioni e dei giorni al negozio si sfiorano appena molte vicende curiose, piene di interesse umano. Kawakami Hitomi ha un modo di scrivere dimesso, sottotono, quotidiano e fluido come la vita stessa. Tutto è sullo stesso piano e ha la medesima importanza, quello che si mangia, il sesso, gli abiti, gli oggetti che riempiono la bottega di rigattiere, cose vecchie ma non antiche come ama ripetere Nakano almeno fino a quando, come tutto il resto, non cambia. Il risultato è un libro pieno di fascino e accogliente, un libro di quelli in cui è bello avvolgersi. La tersa traduzione è di Antonietta Pastore.
Di Kawakami Hitomi ho amato moltissimo La cartella del professore.

E siccome ho detto che non valeva la pena parlarne, ecco che parlo dei libri non recensiti: Patricia Highsmith, Gente che bussa alla porta e L'amico americano, Henning Mankell, Muro di fuoco. Il primo ha qualcosa di insoddisfacente ma è del 1983 e tratta un argomento scottante negli USA (e non apro il discorso sull'Italia): l'aborto e il fondamentalismo religioso. È un libro pieno di coraggio, molto interessante, vivido come tutto quello che scrive questa autrice, ma ha anche qualcosa di sfuggente o non risolto, come se alla fine l'argomento l'avesse stancata, o disgustata. Trad. di A. Veraldi. L'amico americano è una delle storie di Tom Ripley (del 1974), un po' tirata per i capelli e eccessiva, in cui il protagonista dà inizio per gioco a una mattanza in cui c'entra la mafia (una famiglia mafiosa di Milano...) ma ovviamente alla fine lui ne esce indenne. Trad. di T. Dobner. Di Muro di fuoco, il primo libro con l'ispettore Wallader come protagonista che leggevo (e non ci sarà un secondo) dico solo che l'ho trovato inverosimile, noioso, confuso, stralungo a vuoto, macchinoso e scritto in modo insopportabile, piatto e pieno di particolari inutili, con uno stucchevole abuso della tecnica di descrivere piccoli atti intercalati all'azione principale. Trad. di Giorgio Puleo.

domenica 22 marzo 2009

(Ri)scoperta, Patricia Highsmith

Prima di tutto un ringraziamento all'amica Margherita Giacobino che con la sua passione mi ha indotto a buttarmi nella lettura di Patricia Highsmith, di cui avevo finora letto, credo, solo una raccolta di racconti dal titolo italiano Delitti bestiali. Negli ultimi tempi ne ho letti quattro, Il talento di Mr Ripley, Quella dolce follia, Diario di Edith e Acque profonde, inoltre ne ho comprati tre in inglese e sono lì che mi aspettano. Libri che mi hanno acchiappato come non mi succedeva da tempo, proprio al livello adolescenziale di cadere in un mondo parallelo e vivere le vicende dei personaggi come fossero amici del cuore. In questo senso mi hanno fatto pensare a Ann Tyler, maestra nel raccontare piccole vite in maniera appassionante. Ma a differenza di Tyler, che alla fine ha una visione normalizzatrice e sostanzialmente conformista della vita (sfido a trovare un romanzo che cominci in maniera più esaltante, per qualsiasi lettrice donna, di Per caso, e che finisca in maniera più cocentemente deludente) Highsmith ha un occhio abrasivo e sovversivo. Le sue famigliole perfette non hanno scampo, le sue felicità contengono il verme della follia, i sobborghi residenziali, le casette con giardino, i fiumi di alcol prima e dopo cena, le macchine parcheggiate nel vialetto, i vicini di casa premurosi, tutto quello che abbiamo visto migliaia di volte in migliaia di film e telefilm americani nei suoi romanzi ci viene presentato in una luce illividita e spaventosa. I suoi protagonisti, maschi o femmine, sono personalità borderline, folli ma lucidi e soprattutto infinitamente più simpatici e umani delle persone "normali". Mr Ripley, assassino e ladro di vite altrui, pur essendo un ignobile psicopatico ci trova tutti dalla sua parte, anche più che nel film di Anthony Minghella del 1999, dove aveva la faccia anonima di Matt Damon. La follia di Edith, del Diario di Edith, moglie sfruttata, tradita e abbandonate, madre di un figlio disturbato, utopista illusa e volonterosa, è il frutto delle pressioni che, di nuovo, il mondo dei "normali" esercita su di lei. E Vic, il magnifico protagonista di Acque profonde, ci trova tutti dalla sua parte a seguire il percorso che segue lui, da marito comprensivo, intellettuale, padre, membro autorevole di una comunità di "normali", a pluriassassino, con un'empatia totale, abbracciando le sue ragioni e anzi, con la voglia di incoraggiarlo sulla strada dello sterminio. Le donne comprimarie, in compenso, sono insopportabili ficcanaso, goffe, noiose, terra terra come Susan del Talento di Mr Ripley, o perfide sgualdrine ignoranti e false come Melinda di Acque profonde, o stupide, grevi e assolutamente incapaci di capire come l'amata del protagonista di Quella dolce follia. Mai all'altezza, forse sane ma grossolane, prive di sfumature, banali, stupide, volgari, sempre tra i piedi, e fonte di guai. Puri intralci. E lo sguardo sull'America degli anni '50, quella dell'american dream realizzato, è agghiacciante. Ma la cosa principale è che si tratta di libri divertenti, avvincenti, pieni di sapienza umana – nel senso che Highsmith conosce benissimo l'animo umano, ci vede dentro fino al nucleo più profondo, e quel che vede fa spavento.