venerdì 27 febbraio 2015

Per tutti i gusti: due letture british, La casa dei fantasmi di Charles Dickens e Memorie di un vecchio giardiniere di Reginald Arkell, e un thriller all'acqua di rose, Sei proprio una scema di Gaia Giordani

Tre libri per cui non mi sento di spendermi a spada tratta, ma che possono magari interessare a altri.
Il primo ha un titolo che mi ha subito acchiappata ma è un po' ingannevole: La casa dei fantasmi (The Haunted House) di Charles Dickens e altri autori (Hesba Stretton, George Augustus Sala, Adelaide Anne Procter, Wilkie Collins, Elizabeth Gaskell). Pubblicato nel 1859 per il settimanale All the Year Round
forndato da Dickens nel 1859 e da lui posseduto fino al 1895, è un numero-strenna natalizio. La struttura è particolarmente interessante, perché il protagonista narra come, trovatosi a passare qualche mese in una casa che ha la fama di essere infestata, per scacciare l'opprimente atmosfera invita un gruppo di amici e a ognuno affida una camera e il compito di narrare quello che il "fantasma" residente gli racconterà. Gli amici sono altrettanto razionali e il risultato è un'antologia di racconti ognuno incentrato su un personaggio e la sua vita, molto godibili, parecchio diversi, e per niente fantastici. Non posso negare che questo mi abbia un po' delusa, ma la lettura è raccomandabile per l'intrinseco interesse e per gli illustri nomi degli autori.
In italiano è uscito da Del Vecchio con il titolo Le stanze dei fantasmi e la traduzione di Stella Sacchini (non sono riuscita a scoprire in che anno), ma ne esistono altre versioni in ebook e audiolibro facilmente reperibili.


Il secondo è un altro prodotto very british, cioè Memorie di un vecchio giardiniere di Reginald Arkell, pubblicato nel 1950 con notevole successo. Diciamo che non porta bene la sua età, ma di sicuro piacerà a chi ama zappettare e trapiantare, anche solo su un balconcino urbano. Con magistrale understatement l'autore delinea un personaggio a tutto tondo, il trovatello Herbert Pinnegar, testardo e monomaniaco, la cui vita coincide totalmente con la sua attività di giardiniere del parco di una grande casa appartenente alla signora Charteris, per lui la cosa più vicina a un amico o un amore. Pinnegar non sfigurerebbe a Dawnton Abbey, e sicuramente si giocherebbe ai punti con il maggiordomo Mr Carson il record di fedeltà, lealtà e totale aderenza ai valori della classe dominante. Un po' lentino, monotono (ma è piuttosto breve) ma sicuramente interessante e vivamente consigliato ai veri anglofili. Traduzione di Franca Pece.


L'ultimo è tutta un'altra storia. Opera prima di una giovane che si presenta come esperta in SEO copywriting, social media management, web content editing oltre che coordinatore del blog del settimanale Grazia e Web Content Manager del sito di Cosmopolitan in Hearst Magazines Italia. Ci sarebbe da spaventarsi, ma Sei proprio una scema di Gaia Giordani è un brevissimo, veloce e abbastanza confuso esempio di chick-lit nostrana. Per esplicita ammissione dell'autrice è stato scritto in tre giorni, e forse dedicargli una settimana non sarebbe stato un male. Comunque cominciandolo sapevo quello che facevo e non ho intenzione di lamentarmi affatto, tanto più che la storia di Gaia (la protagonista, non l'autrice) e il suo amato-odiato Stronzo non ha nessun senso ma è scritta con brio, la giusta dose di cliché e altrettanta capacità di trascinare il lettore in un crescendo che vede la storia passare dal rosa dejà-vu al blando mistero al turbine di giravolte e ribaltamenti che conducono al sorprendente (o inconsulto?) finale. Consigliato a chi ama il rosa pallidissimo e le pagine leggerissime, vuole dedicare poco tempo alla lettura e non tollera di essere confrontato con nulla che ricordi la realtà.     
















giovedì 19 febbraio 2015

Abbasso le emozioni! Siccome non ho niente da recensire, ripubblico un post del 10/12/08 che tratta una delle mie fissazioni più pervicaci

 Sono della vecchia scuola, mi piace usare la testa e non la pancia quando affronto qualsiasi situazione. Se ci riesco, ovviamente, cosa che non succede sempre. Sul pc ho appiccicato una vignetta di Altan dove il solito tipo con il naso a proboscide dice: emozionatemi, sennò mi tocca di pensare. Negli anni c'è quasi sempre stata una vignetta di Altan sul mio pc, è un genio con la capacità di fotografare il peggio in una frase, e mi trovo sempre in assoluta consonanza con lui. Adesso navighiamo in questo brodo spesso, e sostanzialmente primordiale, di emozioni. E non quando baciamo il moroso o troviamo i ladri in casa, no, basta mangiare un cioccolatino o una pasta e fagioli. Adesso, anche entrare in un museo. Tutto deve comunicare emozioni, niente deve richiedere la vecchia trafila guardare, interrogarsi, pensare, capire. Per carità, troppo difficile, noioso. Richiede sforzo. Non sia mai che sudiamo e il cervello ci puzzi. Ma a parte queste amenità, io diffido delle emozioni perché sono ricattatorie, ottundono i sensi, offuscano la lucidità, sono già padrone di per sé di metà della nostra esistenza senza che gli affidiamo anche l'altra. Quella che faticosamente cerchiamo di governare con la razionalità. Piangere e ridere va bene, abbracciarsi come in un telefilm americano un po' meno, però ogni tanto fermarsi e riflettere un pochino a mente fredda prima di scegliere a me sembra indispensabile.
L'altro manierismo attuale è quello della narrazione. Tutto deve raccontare una storia. Dai profumi agli apriscatole. Però è più che altro aria fritta, un modo di dire, una posa modaiola che perdono magnanimente a quelli molto, molto più avanti di me.

E visto che di fissazioni personali si tratta, voglio registrare un caso di demenza linguistica letto sulla Repubblica del 10/12, pagina 10, in un articolo di Francesco Bei. Si parla di un pranzo al Quirinale con mezzo governo per discutere del prossimo consiglio europeo: erano attovagliati nella sala del Torrino i ministri.... Non ho la minima stima per i membri di questo governo, ma mi dispiace pensarli attovagliati. Nessun essere umano, per quanto spregevole, dovrebbe subire questa sorte.

venerdì 6 febbraio 2015

Amici miei a Torino e Napoli: libri che conosco di persone che conosco

Il Lato a Sud del Cielo di Daniele Cutali, ambientato a Chivasso nel 1972, dove si parla di adolescenti ribelli ma non troppo, fughe e spari ma soprattutto di rock. Qui il trailer.











La famiglia di Zebedeo di Anna Maria Dalla Torre, le vicende di un gruppo di immigrati dall'Italia del sud in una grande città del Nord, negli anni '60, con un risvolto thriller. Lo trovate qui.















Letti a undici piazze di Mario Bianco e Euro Carello, Torino raccontata dai due autori e illustrata da Mario Bianco attraverso undici piazze. Qui il trailer.














Trasgressioni di Elisabetta Chicco Vitzizzai, tutti i racconti dell'autrice riuniti in un ebook che trovate qui













Solo a Napoli, fiabe e dintorni di Rosaria Fortuna, personaggi, storie e parole di una città tra poesia e prosa. Lo trovate qui.

mercoledì 4 febbraio 2015

Come scrivere un grande romanzo, guadagnare un milione di dollari e farsi venire gli occhi azzurri: La verità sul caso Harry Quebert, di Joël Dicker

Questo bel giovanotto dagli occhi cerulei e il petto villoso si chiama Joël Dicker, è nato a Ginevra nel 1985 e ha scritto un romanzo di gran successo, La verità sul caso Harry Quebert, uscito in Svizzera nel 2012 e nel 2013 in Italia per Bompiani. Il romanzo, bestseller in Europa dove ha raggiunto i vertici delle classifiche (in Italia nei top 10 per diverse settimane), è stato tradotto in trentatre lingue e ha  fruttato all'autore i premi Goncourt des lycéens e Grand Prix du Roman de l'Académie française. Tutto questo per sottolineare che sono ben cosciente che sto parlando di un libro che è piaciuto moltissimo a critica (fatico a crederlo) e pubblico (e qui, ahimè, mi tappo la bocca per non dare giudizi). E' stato interpretato come un omaggio a La macchia umana di Philip Roth per l'amicizia tra due scrittori, la riabilitazione del proprio mentore e l'ambientazione in una provincia americana; ricorda inoltre la serie TV Twin Peaks di David Lynch per la scomparsa di una ragazzina e Lolita di Vladimir Nabokov per l'amore proibito con una minorenne. Io che non ho letto né La macchia umana Lolita e mi sono persa Twin Peaks, ci ho visto una serie senza fine (è di lunghezza sterminata) di cazzate spaziali condite da perle di saggezza come I libri sono come la vita, non finiscono mai del tutto, che mi pare notevolissima nel suo genere. Però, ho letto che anche se il primo libro di Joël Dicker, Les derniers jours de nos pères, ha venduto solo 3.500 copie, gliene hanno subito chiesto un altro, e quando ha  tirato fuori dal cassetto La verità sul caso Harry Quebert che gli sembrava troppo lungo, glielo hanno strappato di mano impedendogli di togliere un po' di pagine e pubblicato correggendo solo l’ortografia. Niente editing per un capolavoro (ma un autore che sbaglia l'ortografia già mi sembra un po' strano). D'altra parte il racconto racchiude al suo interno una piccola guida per aspiranti scrittori in trentun consigli inseriti all'inizio di ogni capitolo.

La storia è ambientata in piani temporali differenti che si alternano per fortuna in modo chiaro, con tanto di data all'inizio, e si svolge a Aurora nel New Hampshire, con qualche puntata a Concord, dintorni e New York. Nel 2008, il giovane scrittore di successo Marcus Goldman si reca a Aurora per scoprire chi ha ucciso Nola Kellergan, ragazza di quindici anni scomparsa nel 1975, il cui cadavere è stato scoperto nel giardino della villa di Harry Quebert, anziano scrittore di successo che è stato insegnante, pigmalione letterario e amico di Marcus, che viene accusato dell'assassinio. Gli altri personaggi sono abitanti della cittadina, padre e amici di Nola, poliziotti, tipi loschi e ragazze ingenue. Marcus viene a sapere che nel 1975 Harry, trentaquattrenne, ha avuto una relazione con Nola, un amore impossibile e totale. Con una serie di contorcimenti che si fanno frenetici verso la fine, la vicenda cambia continuamente prospettiva e ogni fatto si ribalta, con l'intenzione di spiazzare il lettore e costringerlo a rimanere incollato al romanzo fino all'ultima delle 784 pagine nell'edizione cartacea. In un'intervista l'autore ha affermato che con questo libro mirava a ottenere sui suoi lettori lo stesso effetto che ha avuto su di lui la serie TV "Homeland": Vedi una puntata, poi un’altra, poi cominci a fare delle stupidaggini tipo vederne quattro di fila di notte così il giorno dopo non riesci a lavorare... La mia ambizione era ottenere lo stesso risultato con un libro. Io confesso che verso la fine ero talmente stremata che chiunque avesse ucciso la povera Nola mi pareva un benefattore, e al momento dovessi dire il nome dell'assassino farei fatica a ricordarlo. Non dico una parola di più sulla trama, e passo alle osservazioni generali.

La prima è che in questo libro è impossibile mettere in atto la famosa "sospensione di incredulità" in quanto è impossibile credere anche a una sola parola che vi è scritta, sostanzialmente per due motivi: si vede che è costruito a tavolino dosando gli ingredienti dalla prima pagina all'ultima, e storia e personaggi sono talmente inverosimili che anche il più bendisposto dei lettori si scoraggia. Per il primo punto, ce la sbrighiamo in fretta notando che è ambientato negli Stati Uniti (gran mercato per i thriller!), ha al centro una delle fissazioni più pervasive della fiction americana cioè la pedofilia, è disseminato di tic e ingenui snobismi tipicamente USA: p.e. i protagonisti - compresa la quindicenne innamorata - si dilettano di opera lirica, abbondano la metaletteratura e consigli di scrittura che piacciono sempre, i personaggi vomitano quando devono dimostrare di essere scioccati, insomma sembra di essere in un serial statunitense. Per il secondo, non ho neanche voglia di stare a analizzare i personaggi. Basti dire che per dimostrare che quello tra Nola e Harry è un grande amore, i due si ripetono a vicenda in continuazione ti amo da morire, e la quindicenne ribadisce: non ho mai amato così tanto, e qui possiamo crederle senz'altro. Nola, poverina, è un personaggio talmente insensato che fa persino pena pensare al numero di capriole cui lo costringe l'autore, e ciononostante rimane assolutamente sfocato. Cura il suo amato come una mamma ansiosa, gli fa da mangiare, lo accudisce e rilegge quello che lui scrive ripetendo è bello! è meraviglioso! (e a giudicare dai brani riportati rimane qualche dubbio sulla sua capacità critica) mentre lui ha l'ispirazione (giuro).
 
Mi ha colpito (ma questa non vuol essere una critica, è solo un'osservazione) il modo in cui sono rappresentate le madri: la parodistica, grottesca madre ebrea di Marcus; l'intrigante, isterica, interferente, arrampicatrice, stupida, avida (con doppia capriola finale) madre di Jenny, e, in absentia, la perfidissima madre di Nola (con triplo salto mortale anche lei). Parodistica risulta anche la figura dell'editore di Marcus, Barnaski, con la sua mania dei ghost writers, i suoi anticipi milionari e le sue piratesche strategie di marketing, e qui salta fuori il discorso più irritante, o divertente, a seconda dei punti di vista. Divertente per involontario umorismo: perché il modo come è presentato lo scrittore, anzi gli scrittori, è a dir poco caricaturale. Sia Harry che Marcus a un certo punto della loro vita decidono di scrivere un grande romanzo. Proprio così. Vanno a passare qualche mese in New Hampshire con questo intento, e entrambi naturalmente ci riescono, almeno in apparenza. 

L'unico valore riconoscibile è quello economico: il numero di copie vendute, l'anticipo, il guadagno, e non parliamo di bruscolini ma di milioni di dollari (l'anticipo di Barnaski a Marcus). E il successo: ma davvero a New York fermano gli scrittori di un unico libro al Central Park per fargli i complimenti, o si siedono al loro tavolo da McDonald's per chiedergli notizie del prossimo libro, annunciato ma non ancora uscito? e i benzinai li riconoscono da una quarta di copertina? E gli abitanti di Aurora sono così scemi che, saputo che un'abitazione locale è stata affittata da uno scrittore, danno per scontato che sia un grande scrittore famosissimo e ne fanno una delle glorie locali? Insomma, siccome l'ironia non alberga in queste pagine, alla fine tutto pare un'enorme parodia.        
Per non parlare delle incongruenze, o ingenuità, se vogliamo essere buoni. Qualche piccolo esempio. Massima cura di Harry e Nola è non far scoprire la loro relazione che sarebbe uno scandalo per la minore età di lei, ma passano una settimana in albergo a Martha Vineyard: lì nessuno gli chiede i documenti né si insospettisce? E quando Nola è in clinica, Harry può entrare indisturbato a spiarla e lasciarle bigliettini sul cuscino. O l'amicizia ferrea e il debito di riconoscenza che lega Marcus a Harry, così forte che quando finalmente agguanta il successo con il primo libro (di cui non ci è dato sapere neppure di che cosa parla) si dimentica di chiamare il suo mentore per più di un anno. O la collanina perduta che salta fuori all'ultimo momento in puro stile CSI, l'indiziato di rapimento e stupro che scopriamo essere gay proprio al minuto dell'incriminazione... ma non voglio infierire, perché l'autore implicito che ne viene fuori, cioè Joël Dicker medesimo, alla fine risulta simpatico, uno che si impegna allo stremo per scrivere il best seller seguendo tutti i trucchi e i tic che ha studiato diligentemente (e ci è riuscito infatti!), ma non ha pelo sullo stomaco, è trasparente. 

Poi, e non ditemi che sono fissata: nemmeno una parola sul sesso, che pure si può immaginare sia un notevole incentivo per Harry, e un terreno da esplorare per Nola; insomma un elemento, molto importante in qualsiasi storia, a maggior ragione fondamentale in questa vicenda in cui un trentaquattrenne si innamora ricambiato di una quindicenne, in modo esaltato e totale. A parte un episodio del tutto ridicolo in cui alla povera Nola si attribuisce una grottesca machiavellica seduttiva da Mata Hari (ma forse anche questa è la voluta soddisfazione di un american dream) e che non coinvolge Harry, la nostra coppietta del ti amo da morire è pura siccome un angelo. Perché, poi? Forse negli USA il sesso non vende bene? Non direi, per quel che ne so. Oppure a Ginevra si usa così... paese che vai, usanze che trovi. Io comunque ho aspettato fino a pagina 784 una rivelazione, un colpo di scena che mi spiegasse l'omissione, ma La verità sul caso Harry Quebert si conclude senza nemmeno una copula, mannaggia. 

La bella traduzione è di Vincenzo Vega.

Avrei ancora da dire moltissime cose (ho preso una marea di appunti mentre leggevo) ma mi accorgo che ho scritto veramente troppo su questo libro. In una cosa sono d'accordo però con l'autore: si può sempre scoprire qualcosa di nuovo ripensando al passato. Scoprire verità dopo trenta, cinquant'anni, che rivoluzionano il punto di vista, cambiano tutto, la storia come le storie. E quasi mai in senso positivo.