giovedì 30 gennaio 2014

Tra fiaba e e realtà nelle nevi dell'Alaska: La bambina di neve di Eowyn Ivey



Alaska, più o meno secondo decennio del secolo scorso: una coppia di mezza età, Mabel e Jack, abbandona la vita comoda e sicura degli stati dell’Unione per ricominciare da zero. Alle loro spalle lasciano una grande famiglia e una società in cui il loro privato dolore per un figlio morto appena nato è diventato insostenibile, quasi una colpa o una tara. Ma la vita into the wild è durissima, l’idea romantica di Mabel di ritrovare un’intimità con il marito non si realizza, e il romanzo si apre con un tentativo più o meno deciso di suicidio da parte della donna, che si inoltra sul fiume gelato nella speranza che il ghiaccio si spezzi, però ritorna indietro in tempo. Lo spettro della fame aleggia sulla fattoria, bisogna uccidere i polli perché non ci sono più soldi per il mangime, il fallimento dell’avventura è vicino. Ma ci sono ancora momenti felici, come quello in cui Mabel e Jack, sotto una fitta nevicata, costruiscono un pupazzo di neve che trasformano nella copia gentile di una bambina. Il giorno dopo il pupazzo non c’è più, e una strana figura di bambina biondissima comincia a comparire nei dintorni della capanna, avvicinandosi e allontanandosi in modo così capriccioso che è difficile anche essere sicuri della sua esistenza. Mabel e Jack fanno conoscenza con una coppia di coloni che si rivelano amici preziosissimi, disposti a farsi sostegno nei momenti difficili e condividere le esperienze. Da questo punto in poi la vicenda procede sempre in bilico tra la fiaba e il realismo, e secondo me questo avviene perché anche l’autrice non aveva le idee chiare. Diciamo che non bisogna cercare la verosimiglianza, come in una sceneggiatura televisiva: le domande senza risposta sono tantissime, e non solo quelle dovute all’ambiguità della vicenda, ma quelle ben più inquietanti che derivano dall’uso, anche moderato, della ragione. A parte il fatto che si accordava perfettamente con queste cupe giornate in bianco e nero e con la neve che copre i lucernari sprofondando la mia casa in una luce piuttosto sinistra, per tutto il tempo, leggendo La bambina di neve di Eowyn Ivey, sono stata accompagnata dal dubbio: ma è un bel romanzo o la solita americanata tuttifrutti con le viscere in mano? Incantato, commovente, poetico lo definisce la presentazione dell’editore; forse è vero, ma sono anche effetti molto voluti, anche in modo un po’ ingenuo, e non del tutto convincente. Io, man mano che proseguivo (e sono 409 pagine) ero sempre più dubbiosa, e la fine, confesso, non mi ha né delusa né soddisfatta perché ormai non riuscivo più a credere neanche a una parola di Eowyn Ivey. Nell’insieme non ho amato questo libro, che all’inizio mi piaceva e mi pareva interessante per l’ambientazione insolita, ben descritta, perché non mi è parso sincero. Insincero e zoppicante. Nessuno dei personaggi è ben costruito, neanche la protagonista Mabel, e men che meno Pruina, la bambina di neve, che non riesce mai a acquistare fascino né spessore, anche lei sempre sul filo del rasoio tra la creatura fatata e una ragazza di carne e sangue, e assolutamente inverosimile. Sono figure labili, senza sfaccettature, solo dette. Comunque penso che valga la pena di leggere questo romanzo che ha avuto parecchio successo, e sono sicura che piacerà moltissimo a chi ama essere trasportato dalle emozioni. Mi piacerebbe che molti lo leggessero e mi confutassero parola per parola, convincendomi. Un merito è che è ben scritto, e benissimo tradotto da Monica Pareschi. Io, confesso, l’ho comprato su una bancarella e solo dopo un po’ mi sono accorta che dietro c’era scritto “Queste sono bozze non corrette, rilegate per rendere più gradevole la lettura. Nelle citazioni da questo libro per recensioni o qualsiasi altro scopo, è essenziale che venga controllato il testo finale, poiché l’autore potrebbe operare dei cambiamenti prima che il libro vada in stampa”. Be’, questo mi ha aperto il cuore perché a pagina165 c’è un “nemmeno a me fa impazzire” che mi ha fatto tanto, tanto soffrire, e sono certa che è sparito nella versione definitiva (insieme a un “implorevole” a pagina 238, gradevole neologismo).       

Elisabetta Chicco Vitzizzai, Gli ossibuchi di Nietszche



Lunedì 3 febbraio 2014 alle 18, Elisabetta Chicco Vitzizzai insieme a Renzo Gozzi, neuropsichiatra forense, presenta al Centro Pannunzio il suo ultimo libro Gli ossibuchi di Nietzsche, Il leone verde Edizioni. Nella collana “Leggere è un gusto”, Elisabetta Chicco Vitzizzai ha già pubblicato La cucina golosa  di Madame Bovary, Alla tavola di Virginia Wolf, A tavola con Scarlett O’Hara e Piccole donne in cucina. In questo volume, attraverso la ricostruzione del soggiorno di Nietzsche a Torino nella primavera del 1888 e tra l’autunno e il gennaio 1889 a casa di Davide Fino, in via Carlo Alberto 6, l’autrice scrive un piccolo e acuto saggio sul filosofo, inseguendone i passi per le strade nella città e i pensieri nelle lettere. A questa parte molto documentata, interessante e di gradevolissima lettura, segue una ricca scelta di ricette che Nietzsche amò o avrebbe potuto amare, tratte dalla tradizione piemontese o tedesca di fine ottocento. Un libro che unisce informazione e svago in dosi perfettamente calibrate, come in una ricetta di finanziera.      

mercoledì 29 gennaio 2014

Una tazza di tè per festeggiare La lametta nel miele in versione ebook. versione ebook

Posso invitarvi a prendere una tazza di tè? Sono di buon umore perché ora potete leggere anche La lametta nel miele in versione digitale. E' un libro cui voglio bene. Mi piacerebbe che anche altri gliene volessero.
E mentre ci sono vi ricordo che nella medesima pagina Amazon potete trovare Il gioco della masca, Est di Cipango, Ragazza brutta, ragazza bella, Lei coltiva fiori bianchi, Racconti fantastici e del margine. Su DuDag c'è La ragazza in tailleur rosso fuoco. E su Alga la Trilogia delle donne virtuose. La santa, la sorella, la sposa.
(La foto è stata fatta a Samarcanda, 4 settembre 2011)

giovedì 23 gennaio 2014

Parliamo tanto di me: è disponibile la versione digitale dei miei libri

Allora, parliamo tanto di me per favore. Da oggi potete trovare nella mia pagina Amazon altri tre titoli in formato ebook: Il gioco della masca, Est di Cipango e Ragazza brutta, ragazza bella, tutti al prezzo di 0,89 €. Tra pochi giorni ci saranno anche La lametta nel miele e Irene a mosaico. Vi si trovano già, sempre in formato digitale, Lei coltiva fiori bianchi e Racconti fantastici e del margine. Altri due ebook, Trilogia delle donne virtuose e La ragazza in tailleur rosso fiamma potete trovarli rispettivamente su Alga (anche in cartaceo) e DuDag. Non è un'occasione fantastica per buttarsi a acquistarli e persino per leggerli? Io garantisco che: a) li ho scritti tutti io, b) nient'altro. Come si può vedere a fianco, ci metto la faccia. Una faccia di parecchi anni fa, per motivi di marketing. E fatemi sapere.


lunedì 20 gennaio 2014

Più leggero del cioccolato, più economico dello shopping, più efficace del Laroxil: Stefania Bertola, Ragazze mancine


Mettiamo che piova. Mettiamo che lì, da qualche parte nello stomaco, ci sia quella fastidiosa sensazione di rimpianto, di perdita irreparabile, che ogni tanto prende a tradimento nelle giornate di pioggia. Mettiamo che non abbiate voglia di uscire, che non sappiate a chi telefonare, che insomma urga un rimedio di quelli immediati e infallibili. Be', c'è: un libro di Stefania Bertola quando è in stato di grazia come in Aspirapolvere di stelle, Biscotti e sospetti, Ci vediamo a cena, La soavissima discordia dell'amore, A neve ferma o persino Romanzo rosa che era un po' più stanco. Stefania Bertola è una di quelle scrittrici capaci di rimetterci in pace con la vita senza farci vergognare. Sì, scrive romanzi rosa, sì, smussa gli angoli e non si sottrae certo al lieto fine (il Cielo la benedica e ce la conservi), e poi è spiritosa, colta (e le piace farcelo sapere), maliziosetta e un filo dispettosa, molto molto divertente e sa creare incantevoli personaggi. E poi, anzi prima di tutto, le piacciono i congiuntivi e ne fa uso spesso e volentieri. Mai, in nessuno dei suoi libri, neanche il personaggio più sciamannato e straniero dirà mai "vuoi che faccio questo" o "credi che ho fatto quello". (O almeno lo spero).

Comunque. Questa volta si tratta di due ragazze, l'ex ricca Adele e la spiantatissima Eva, rappresentante della razza delle "belle stordite", dirette discendenti dell'indimenticabile Penelope di Aspirapolvere di stelle. Adele cerca un marito ricco per poter vivere di cultura e si trascina dietro un cane bielorusso di nome Zarina, Eva lavora senza sosta per dare cibo e un tetto alla piccola Jezz, ma un medaglione perso e trovato, intorno al quale si snoda tutta la trama, le mette nella stessa macchina e poi nella stessa casa di proprietà di un'oblata brigidina. Insieme fanno conoscenza con Clotilde Castelli, esperta di poetesse serbe e pessima madre, i suoi figli, la sua testardaggine e altre caratterisitiche che non vi rivelo; Marta Biancone, avvocata divorzista dalla molte risorse, tra cui un marito conte guidatore di Jaguar; si innamorano e non si innamorano, fanno un pacco di lavori e un sacco di confusione, mentre Jezz e Zarina stringono un patto indissolubile. Nessuna delle due ha fiducia nell'amore né aspettative romantiche, la crisi non si lascia dimenticare, la precarietà economica è dietro l'angolo per chiunque, ma siamo in un romanzo di Stefania Bertola che ha la magica capacità di farci contenti (sia noi lettori, o meglio lettrici, che i personaggi) senza mai, nemmeno per sbaglio, sfiorare la melassa.

La vicenda è sufficientemente complessa da tenere desta l'attenzione e abbastanza marginale da permetterci di concentrarci sui particolari. L'occhio dell'autrice è acuto e spietato con i tic e gli snobismi torinesi, la vicenda si svolge tra piazza Maria Teresa e Vanchiglietta, la collina e Andezeno, Chivasso e il lungopo Antonelli. C'è una Maria Consolata, naturalmente, avvocato esperto in cose editoriali (meno male!). C'è l'aiuola di corso Belgio, bizzarria urbana su cui avevo tutte le intenzioni di scrivere qualcosa io e Stefania Bertola mi ha fregata sul tempo! Ma lo farò comunque. C'è Modern family, programma televisivo che mi fa ridere senza limiti, proprio come Adele e il taxista. Ci sono molti cognati e cognate, nessuno particolarmente simpatico. Madri  tutte distratte e snaturate, a parte ovviamente Eva. Insomma ci sono un'infinità di motivi per leggere Ragazze mancine, ma il principale è che Stefania Bertola fa parte della stirpe "un nome una garanzia", un suo libro ci garantisce qualche ora di divertimento sano, intelligente e senza controindicazioni.   

martedì 14 gennaio 2014

Racconti crudeli, limpidi e originalissimi: Dieci dicembre di George Saunders (e altre storie)

Non sono un'appassionata di letteratura americana contemporanea che mi sembra un po' fatta con lo stampino delle scuole di scrittura creativa, ma ho sempre apprezzato molto George Saunders, di cui ho letto con molto piacere Pastoralia, Il declino delle guerre civili americane e Il megafono spento. A seguire ne trovate le recensioni. Eppure, a rischio di fare sempre il bastian contrario, la sua ultima raccolta di racconti (del 2013), Dieci dicembre, mi è piaciuta meno. Questo non significa che non mi sia piaciuta, ma visto che ha avuto tutto questo successo mi aspettavo molto di più. Mi è mancata l'ironia, l'imperturbabile gusto del paradosso, ho sentito un'accentuazione del lato drammatico che si spinge, in qualche caso, fino a sfiorare il patetico. Ciò detto si tratta di racconti di alto livello, scritti benissimo e molto acuti, tradotti come gli altri libri di Saunders da Cristina Mennella, ottima traduttrice che odia i congiuntivi. Giro d'onore mette in campo tre personaggi impegnati in un balletto mortale che rivela quella realtà che tutti sono impegnati a nascondere. Croci, racconto perfetto nella sua estrema brevità, rivela impietosamente quanto l'esistenza di ciascuno sia una tragica, breve illusione e l'amore una parola a scadenza. Il cagnolino è un crudele confronto tra i punti di vista di due madri, talmente lontani da non potersi che fare del male a vicenda. In Fuga dall'aracnotesta ritroviamo il futuro stralunato caro all'autore, in cui i condannati per crimini violenti vengono usati come cavie per aberranti esperimenti comportamentali, e l'umanità sta tutta dalla parte dei criminali, mentre Esortazione è un'esilarante e inquietante esempio di circolare aziendale e Al Roosten ci porta con abile lentezza alla rivelazione della disperazione nascosta sotto l'euforia del protagonista. Le Ragazze Semplica è forse il più inquietante: nel diario di un quarantenne padre di famiglia scopriamo tutta la miseria di un mondo incui conta solo quello che si può acquistare, gli esseri umani (le Ragazze Semplica) sono ridotti a elemento ornamentale, mentre ciò che può sembrare una fortuna è in definitiva un disastro se la vostra figlioletta è troppo sensibile. Il protagonista di Casa è un reduce il cui ritorno a casa è disastroso anche se tutti quelli che incontra gli stringono la mano dicendo "grazie di aver servito la patria", ma ha uno spiraglio finale di speranza. Fiasco cavalleresco si svolge in un parco a tema medievale, dove i rapporti tra i sessi non seguono regole cavalleresche e le migliori intenzioni possono provocare disastri per tutti. Infine il racconto eponimo, Dieci dicembre, racconta l'incontro sul ghiaccio e nella neve tra un bambino coraggioso e infelice e un vecchio disperato, ma è difficile dire se sia un incontro fortunato come sembra. Racconti belli e crudeli, un po' amari, come se George Saunders avesse perso molto della giocosità e delle illusioni della giovinezza per approdare a una visione disincantata del mondo in cui ci muoviamo alla cieca, privi di capacità di decisione e tutto sommato anche di buon senso. Un libro da leggere perché comunque, secondo me, spicca nella media della produzione corrente.             



IL MEGAFONO SPENTO, minimum fax 2009, ed. orig. 2007, trad. di Cristiana Mennella
Sottotitolo: cronache da un mondo troppo rumoroso. E si capisce subito che George Saunders, giornalista e scrittore statunitense nato nel 1958, non ama l’eccesso di rumore, né soprattutto chi parla a voce troppo alta, gli scoppi di mine e missili, gli spari di fucile. Fa parte dell’associazione CUA, Quelli Contrari a Uccidere per un’Astrazione. È insomma un pacifista molto critico con la politica di esportazione della democrazia praticata dagli Stati Uniti  negli ultimi decenni. Sono testi precendenti all’elezione di Barak Obama, scritti durante la presidenza di G.W.Bush. La sua è una voce pacata, molto ironica, a volte comica, sempre coinvolgente. Racconta quel che vede e quel che pensa, e lo comunica al lettore senza filtri né artifici. Questa raccolta di interventi e articoli si legge con lo stesso piacere che dà una chiacchierata con un amico, entrando subito in empatia con lo scrittore. Gli argomenti sono vari, spaziano tra una fantastica visita a Dubai, paradiso del lusso che conquista con la sua bellezza artificiale molto più bella di quello che possa offrire la natura, brani di critica letteraria su Vonnegut, Barthelme, Mark Twain, consigli di scrittura e confessioni di scrittore, magnifici réportage sul confine tra Stati Uniti e Messico (compresa una notte in compagnia dei Minutemen, sorta di ronde spontanee di stampo razzista antimessicano), e sul piccolo Buddha nepalese che medita sotto un pipal senza assumere cibo da mesi. Di Saunders, narratore oltre che giornalista, ho apprezzato moltissimo Pastoralia (Einaudi 2001) e Il declino delle guerre civili americane (Einaudi 2005), esilaranti raccolte di racconti incentrate sui parchi a tema che mi hanno divertato sorprendendomi e facendomi pensare. Questo libro lo consiglio a tutti, anche a chi non legge saggi normalmente, per la sua forte vena narrativa. Però ha un grosso difetto, non imputabile di certo all’autore: manca del tutto un paratesto che ci informi 1) dove sono comparsi questi testi, e quando; 2) chi sono i personaggi della cronaca citati qua e là come esempi e paragoni, evidentemente famosissimi nel Stati Uniti ma sconosciuti da noi, come se si traducesse in inglese un testo in cui si accenna a Noemi Letizia, a Garlasco, a dei calzini turchesi senza fornire luci che possano guidare lo sventurato lettore.    


PASTORALIA, Einaudi Stile Libero, 2001, ed. orig. 2000

Una raccolta di sei racconti di un giovane scrittore statunitense, che in patria ha avuto un grande successo di pubblico. Secondo me, del tutto giustificato. Sono storie di un'America stralunata, marginale ma normalissima nella sua follia, di personaggi che si arrabattano docilmente, schiavi di una società priva di senno e di speranza, ma vitali e miti nella loro miseria. Uomini afflitti da un eccesso di immaginazione e dall'incapacità liberarsi dalle pastoie della vita, sovente rappresentate da madri, sorelle, cugine, zie e compagne di lavoro, insopportabili zavorre di ricatti affettivi.      

Il primo racconto, il più lungo e il più bello, dà il titolo alla raccolta e ci sbatte in una cornice tanto assurda che pare subito assolutamente quotidiana. Il narratore senza nome e la sua collega Janet lavorano in un Parco a Tema dove interpretano la parte di primitivi. Trascorrono le giornate in una caverna, mugolando e fingendo di acchiappare scarafaggi, in attesa di visitatori che non arrivano quasi mai. Una volta al giorno gli viene inviata una capra che devono scuoiare e mangiare arrostita. Comunicano con l'esterno attraverso un fax, da cui arrivano messaggi demenziali di Nordstrom, il loro capo. Entrambi hanno dei bei problemi: il narratore un figlio di tre anni malato di una malattia misteriosa, Janet un figlio di ventiquattro drogato e delinquente. Ogni sera devono compilare un modulo sul comportamento del collega. Janet è del tutto inaffidabile, parla con i visitatori - cosa proibitissima -, beve sul lavoro, fa le parole crociate invece di cacciare scarafaggi, ma il narratore, comprensivo, la copre. Però il Parco perde colpi, si rende necessaria una riduzione dei dipendenti, i fax del capo si fanno sempre più folli e blateranti, i visitatori sono sempre più scarsi, la necessità stringe i due lavoratori isolati nella loro puzzolente caverna… Una miscela geniale, insieme esilarante e angosciosa, personaggi precisi come disegni, problemi che coinvolgono tutti e un tocco di follia. Un racconto assolutamente perfetto.

 In Winky un impiegato, troppo debole per liberarsi della sorella pazza, cerca sostegno in un seminario di autoaffermazione dove si impara, secondo l'elegante metafora del conduttore, a 'liberarsi da chi ti caca sui cornflaches'. In Quercia del  Mar una sfigatissima non-morta torna dai suoi sfigatissimi nipoti alla ricerca delle soddisfazioni che le sono mancate in vita, ma non è detto che morire serva a qualcosa. La fine di un Firpo nel mondo racconta la corsa in bicicletta di un bambino con troppa fantasia e nessun amico, Il parrucchiere infelice è, forse, una storia d'amore a lieto fine, Le cascate ci mostra come si possa diventare eroi senza desiderarlo minimamente.

Un racconto di Saunders è presente nella raccolta Burned children of America (v. Libri Nuovi n. 22, estate 2002), ma secondo me non è all'altezza di questi. In Pastoralia l'autore segue i suoi personaggi senza cattiveria né derisione, e il lettore simpatizza, si diverte, non può che affezionarsi a questi ometti umanissimi e assurdi, disperatamente alla ricerca di una via d'uscita in un mondo che non ha tempo né voglia di accorgersi di loro. Inoltre, cosa che ho apprezzato in modo particolare, la modernità non è interpretata banalmente come mode e tecnologia, ma l'occhio sbieco dell'autore ne individua le tendenze più insensate e malsane, prima fra tutti la spietata emarginazione di chi non è adeguato ai modelli vincenti di bellezza, ricchezza e successo. Il ritmo è teso, veloce, efficacissimo, e molto ben reso dalla traduzione di Cristiana Mennella (con qualche fastidioso eccesso, forse, nell'eliminazione dei congiuntivi). Per chi ama i racconti, una lettura di puro piacere.


 
IL DECLINO DELLE GUERRE CIVILI AMERICANE Einaudi Stile Libero 2005, ed. orig. 1996, trad. di Cristina Mennella
Di George Saunders la quarta di copertina dice solo che ha pubblicato con Einaudi nel 2001 Pastoralia  e un racconto nella raccolta di minimumfax Burned children of America dello stesso anno (entrambi in LN – LibriNuovi 23), che è amatissimo da Thomas Pynchon e fa parte della generazione di Dave Eggers ecc. Si parva licet, posso aggiungere che è amatissimo anche da me. Tra gli scrittori statunitensi contemporanei che ho letto forse solo David Sedaris, pur diversissimo, è riuscito a procurarmi altrettanto divertimento stralunato e non gratuito, anzi, sempre legato a un’idea di umanità piena di desideri, bisogni, disgrazie in cui riconoscersi è facile. Questa raccolta di sette racconti si distingue per l’ambientazione in contesti deliranti, che sono poi semplicemente la proiezione alle estreme conseguenze delle follie dei nostri tempi. Nel Parco a Tema Terra della Guerra Civile, l’addetto alla Valutazione di Verosimiglianza, persona volonterosa costretta dal bisogno a svolgere un lavoro ingrato come tutti gli altri protagonisti, si barcamena tra capi spietati, gang giovanili, fantasmi polemici, rivendicazioni sindacali e un vigilante paranoico killer di ragazzini. Jeffrey, l’obeso e tenero impiegato di un’impresa per lo smaltimento dei procioni, vessato dai colleghi e dal perfido Amministratore Delegato, si illude per un attimo che un riscatto sia possibile, per poi incappare in un destino tanto obbrobrioso che solo Dio lo potrebbe aiutare. Nel museo che spazia dal Castello Fatato di Ileana nei Secoli dei Secoli ai Bebè sotto Spirito, la novantaduenne Mary cerca la vendetta contro i sadici capi sabotando la Mucca Trasparente, ma non riesce neppure a mettere fine alla sua vita disastrosa suicidandosi. Bengodi, l’ultimo, più corposo e trascinante racconto, inizia nella Terra della Generosità, mondo parallelo a metà tra il lager e il parco dei divertimenti, e si dipana poi nella picaresca avventura on the road di Cole, trentunenne vergine alla ricerca della sorella perduta, in un futuro apocalittico in cui la popolazione degli Stati Uniti è divisa tra Normali e Difettosi, gente di seconda scelta che in certi stati può essere venduta come schiava, e sa offrire una speranza di riscatto che somiglia stranamente a un lieto fine. I protagonisti sono tutti sfigati che cercano di sfangarsela in un mondo insensato, senza mai perdere la loro capacità di partecipazione e  umana pietà. Infatti una delle componenti più originali di questi racconti è la vena patetica che si intreccia all’assurdo. Si può ridere anche essendo infelici, e senza farsi beffe dell’infelicità altrui.
Il piacere più intenso, per me, proviene dalla scrittura precisa, veloce, oggettiva, intrisa di formule burocratiche, vacui gerghi e personalissimi tic linguistici, che trasformano la follia e la tragedia in comicità assurda. Saunders sa veramente colpire al cuore ogni insensatezza dell’oggi ingrandendola e rendendola ovvia, normale. Efficacissima e spiritosa la traduzione (ma il “coltello di burro” usato dal liceale per minacciare il gestore del Grande Magazzino e rubare una manciata di caramelle, non sarà un “coltello da burro”, cioè smussato in punta e senza filo?).