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martedì 19 novembre 2024

Un libro un po' diverso dal solito, che vale veramente la pena leggere: Luisa Ramasso, La ragazza che non parlava

 


In questo periodo sono pigrissima per cui continuo con le segnalazioni brevi, e comincio da un romanzo autobiografico molto particolare, molto interessante e pieno di umanità.

Luisa Ramasso racconta la sua vita con grande consapevolezza e semplicità, senza mai cadere nel vittimismo o nell'eccesso di psicologismo. Parla di sé, perché di questo si tratta, ma sempre con gli occhi ben spalancati sul mondo. Nata nel 1960 in una famiglia attiva e compatta, con una sorella maggiore che la segue da vicino e la sostiene, Luisa soffre fin piccola di alcuni sintomi molto debilitanti - mutismo volontario, stereotipie motorie, crisi di angoscia e di pianto, che ora fanno pensare subito all'autismo, ma allora non erano ancora così ben note né riconoscibili come oggi. Solo quando raggiunse i sedici anni Luisa ricevette una diagnosi precisa che le permise poi di fare scelte mirate. 

 Ragazzina notevolmente intelligente e con gli occhi ben aperti sulla realtà in cui si muoveva, la giovane Luisa era molto attenta alle amicizie, aveva idee chiare (anche se pronte a cambiare, come succede a qualsiasi adolescente) su quello che le interessava e quello che avrebbe voluto fare nella vita, al tipo di studi eccetera. I vari momenti della sua esistenza, che nell'infanzia e nella prima giovinezza è semplice, si svolge tra scuola, famiglia, Torino e Rubiana ma poi si allarga negli interessi e nelle attività, sono narrati in modo chiaro, leggero e senza giudizi, prendendo atto dei fatti con quella che pare una serena accettazione. Naturalmente fu seguita da medici e psicologi, e a sedici anni fu riconosciuto il suo autismo. I genitori premurosi e protettivi le offrivano tutta l'attenzione possibile, e la sorella Silvia le era sempre vicina con grandissimo affetto. Crescendo anche i suoi rapporti e le sue attività si ampliarono e si moltiplicarono come per qualunque persona, comprendendo il lavoro (dapprima nella tipografia del padre, poi nella casa editrice Neos fondata dalla sorella), la scoperta della musica e della scrittura, la politica, gli amori, gli incontri, e ci furono anche momenti difficili. Nell'età adulta, il volontariato, la frequentazione di gruppi religiosi e figure carismatiche, la morte dei genitori, i viaggi e i nuovi amici si susseguono fino a oggi.  

Tutta la narrazione riesce a essere accattivante anche se non c'è una trama vera e propria, la voce di Luisa Ramasso narra la sua vita come una serie di episodi, con tono calmo e molta sincerità. Il testo è diviso in brevi capitoli, ognuno con un titolo che ne annuncia e riassume il significato. L'insieme comunica alcune sensazioni nettissime: sincerità coscientemente perseguita, padronanza della scrittura, una voce narrativa robusta e interessante.

Ecco, questa direi che è la caratteristica principale di "La ragazza che non parlava", quello per cui ne consiglio vivamente la lettura: è un testo insolito, fuori dai soliti schemi narrativi, e molto stimolante, sia per la tematica coinvolgente che per la grande perizia con cui è stato concepito e scritto. Certo non è adatto a chi spera di trovare in ogni libro un nuovo Montalbano o un amore travolgente, ma chi legge per scoprire qualcosa che gli apra orizzonti sconosciuti ne sarà molto soddisfatto.   

    

sabato 27 aprile 2024

Toh, guarda chi si vede! Begli incontri dal gionalaio: Guido Gozzano, L'altare del passato

  

 
Non credevo ai miei occhi quando l'ho visto: una copia sola della più che meritevole casa

editrice Capricorno, ma era proprio lui, il mio amatissimo Guido che mi guardava dalla copertina di un libro sul ripiano  traboccante di gialli nostrani e stranieri! E per di più era una raccolta di racconti, quindi un volume doppiamente prezioso. A dir la verità li avevo già letti abbastanza recentemente, ma non ho resistito, l'ho comprato e ho passato alcune ore di piacere sfrenato in compagnia del poeta che amo senza riserve. 
Non sono molti i poeti che amo leggere, nel senso che detesto lirismo, emozioni, eccesso di sentimenti, parole accostate per épater le bourgeois, ermetismi vari e preziosismi. Amo la limpidezza mentale e emotiva, la chiarezza verbale, l'ironia se c'è (ma non è indispensabile), le immagini concrete, la capacità di comunicare. Gozzano possiede tutte queste qualità, come anche altri naturalmente, ma siccome non è che i miei gusti personali siano così interessanti rimaniamo nel seminato. 
Io penso che Gozzano sia uno degli scrittori italiani più sottovalutati. Si dice il suo nome, e tutti immediatamente dicono "le buone cose di pessimo gusto" o "Signorina Felicita" e finisce lì. Ma c'è ben altro, anche a fermarsi alle sue bellissime, limpide poesie. C'è l'ironia che tutti riconoscono ed appare nelle situazioni, nelle descrizioni o anche solo nella scelta dei termini, c'è un filo di cattiveria, persino di crudeltà sottile (vedi "Le due strade"), c'è la capacità di parlar chiaro, c'è un onnipresente senso di morte unito a una profonda e spietata autoironia. Bisogna sempre ricordare che Gozzano, con tutto il suo raffinato snobismo culturale, era giovanissimo: malato da sempre, probabilmente prevedeva il suo futuro, si dovette curare per anni, e morì nel 1916 a 32 anni. Le sue opere più note, La via del rifugio e I colloqui, furono pubblicate rispettivamente nel 1907 e nel 1911. Le opere in prosa uscirono per lo più postume.
In questa raccolta di racconti, L'altare del passato, uscito nel 1918, si trovano tutti i suoi temi, e altri si notano ancora di più: come l'attenzione verso le donne, benevola, critica, ammirativa o spaventata, ma comunque sempre vivissima e assolutamente dominante rispetto a quella verso gli uomini. Ma in generale in tutti i testi quello che conta sono i personaggi, descritti, osservati, studiati, non tanto lo sviluppo narrativo, quasi inesistente o almeno di pochissimo impatto. Gli interni, descritti con particolari mai superflui, gli esterni pieni di fascino, si fanno palcoscenico e quinta per l'esibizione di personaggi indimenticabili come il conte Fiorenzo in "L'altare del passato", inquieto tombeur de femmes e solidissimo punto di riferimento per il nipote e i suoi amici, ma soprattutto di donne straordinarie, la ballerina Palmira Zacchi, la sadica piccola Eleanor che sarà punita dalla vita, un'altra Eleanor, mostruosa e un po' soprannaturale, o per reminiscenze della Torino d'antan, come la "bela madamin" e Madama Reale, e infine per storie ambientate in paesaggi esotici, Porto Said e l'India, che dall'esotismo dell'ambientazione prendono forme magiche e coloratissime. 
Insomma, io consiglio a tutti di leggere questi racconti (o comunque di accostarsi alle opere in prosa di Guido Gozzano come Verso la cuna del mondo e l'epistolario con Amalia Guglielminetti). È un aspetto dell'opera di un grande scrittore tutto sommato poco conosciuto malgrado la sua fama, e non deluderà nessuno, se non forse chi dalle pagine di un libro si aspetta solo thriller o romance (e ho usato questi due termini apposta, quel gran snob di Guido si sarebbe fatto una risata).  
Per concludere, un pensiero che mi viene tutte le volte che leggo qualcosa di suo, Guido Gozzano è morto a 32 anni, e ha passato molto tempo a combattere la malattia. Chissà, se ne avesse avuto le forze e il tempo, che cosa avrebbe saputo raccontarci ancora, con le sue parole limpide e colte.      

 


mercoledì 17 gennaio 2024

Anche gli editori piangono: Solo piccole tentazioni, di Teodora Trevisan

 Un romanzo insieme veloce e capace di scendere nel profondo dei suoi personaggi, senza perdersi in psicologismi eccessivi ma attento a non trascurare i particolari per inseguire le svolte narrative. 


La protagonista è Camilla, energica e sicura editrice che vive a Torino. Attorno a lei i suoi collaboratori sono figure vivaci e ben delineate. Camilla vive una grande storia d'amore con il marito, Paolo, famoso architetto che vive a Genova, e la coppia si divide tra le due case di Torino e Genova, vedendosi nei weekend dato che nessuno dei due può, né vuole, rinunciare al suo lavoro. A interrompere questo sereno equilibrio giunge una proposta di lavoro a Camilla, curiosa e insolita ma allettante. E di qui parte una vicenda apparentemente tranquilla, che ha il grande pregio (per una come me che si interessa a questo mondo) di spiegare il funzionamento interno di una casa editrice in modo molto chiaro. Ma la trama non è né ingenua né prevedibile, e da un certo punto in poi si sviluppano sorprese davvero inaspettate e la storia prende una piega sorprendente, per concludersi nel rasserenante paesaggio di Venezia. Della trama ovviamente non posso dire altro (anche se non si tratta di un giallo, il fattore sorpresa è molto importante), ma quello che posso dirvi è: leggete Solo piccole tentazioni, ne trarrete piacere, spunti di riflessione e la coscienza di esservi imbattuti in un libro di valore.   


venerdì 25 novembre 2022

Per non dimenticare Elisabetta Chicco Vitzizzai, la donna e la scrittrice

Oggi è il 25 novembre, quindi sono in ritardo di una settimana (non per distrazione né per dimenticanza, ma per una serie di circostanze esterne), nel ricordare la scomparsa di Elisabetta Chicco Vitzizzai avvenuta il 19/11/17. E cinque anni sono tanti, ma certo non sono bastati per scordarla. Ogni volta che passo sotto casa sua, in via Cavour, alzo gli occhi ai suoi balconi e penso che non bisogna dimenticarla Elisabetta, e soprattutto bisogna continuare a leggere i suoi libri. Ripubblico il post che ho scritto in occasione della sua dipartita e invito a leggere anche gli altri che le ho dedicato (i link sono in fondo). E' una scrittrice da leggere e rileggere, soprattutto se si ama Torino e e si cerca una rappresentazione acuta, spiritosa ma anche critica e profonda di una città che non esiste più.


     

Questo è un post che non avrei mai voluto dover pubblicare. E mi viene in mente un solo modo per ricordare un'amica, una donna bellissima, una scrittrice tanto raffinata quanto ironica: parlare, e continuare a parlare, delle sue opere, cominciando dalla mia preferita.  

Il più bel vizio è la vita
Questa nuova fatica di Elisabetta Chicco Vitzizzai, pubblicata da Instar, è un libro agile che dà piacere a ogni parola, perché ogni parola è studiata e limata da una scrittura priva di qualsiasi sbavatura o compiacimento. Non si tratta di un romanzo ma della ricostruzione di un mondo perduto, la Torino (e dintorni) degli anni che stanno tra il ‘45 e gli anni ’60 del secolo scorso. L’autrice è figlia di un pittore, Riccardo Chicco, molto conosciuto a Torino sia per l’eccellenza delle sue opere (una è in copertina) che per essere stato un vero personaggio: nella parole della figlia fondamentalmente era un esteta e un pittore, accessoriamente un amante, sempre un seduttore. Marginalmente anche insegnante di storia dell’arte al liceo classico, dove io sono stata sua allieva. È naturale che la sua figura campeggi in queste pagine, ma in effetti non è l’unica né la principale. Tutta la famiglia della protagonista, una Elisabetta prima bambina poi adolescente, è dipinta con tratti nettissimi e precisi, e senza sconti. Sono pagine divertenti e divertite, abbastanza perfide. C’è la bella madre, piena di carattere ma del tutto priva di senso materno, c’è la zia Eva che mantiene la linea vivendo di whisky e sigarette, la tremenda zia Titina (la figura più esilarante e spaventosa) dedita alle opere di bene, gli zii, i vicini di casa, le figure di una Torino che si lascia alle spalle la guerra. 

È la Torino del Sollazzo Gastrico, della Turris Eburnea, della Tampa Lirica, dell’Escargot, nomi che forse non dicono molto ai più ma fanno sobbalzare chi quei tempi li ha vissuti o ne ha sentito parlare da zii e fratelli maggiori, l’altra faccia della Torino deprimente, grigio ostaggio della Fiat, in cui si aggirano personaggi trasgressivi e anticonformisti, come appunto Riccardo Chicco o Carol Rama e altri presentati dalle semplici iniziali. Torino è sempre stata assai più complessa e divertente di quel che il luogo comune voleva. Come supremamente divertenti sono gli episodi e i personaggi di questo libro, in apparenza svagato collage di ricordi, in realtà monumento alla distanza che permette di vedere un’epoca passata per quel che è, fuori dal compiacimento, dalla nostalgia. Non “come eravamo” ma “come erano”, bizzarri, ridicoli, cattivi, unici, umani, comunque nostri, e per fortuna che noi siamo diversi. Almeno fino a quando una nipote dalla penna intelligente, perfida e spiritosa come quella di Elisabetta Chicco Vitzizzai non deciderà, in un lontano futuro, di raccontarci. La parsimonia era una delle esecrabili virtù di famiglia. […] L’indole sospettosa e l’eccessiva precisione erano un’altra caratteristica di famiglia. […] Zia Luda sembrava una sedia liberty. Di quelle sedie allampanate, smunte, scivolate nei braccioli e nello schienale. […] Le due figlie di zia Luda, Mati e Matè, sembravano due poltrone imbottite, solide e goffe. […] La Cicci faceva un mestiere ormai in declino, la mantenuta. […] Zia Titina aveva una vera passione per le deformità e le collezionava si può dire con gusto ed esaltazione feticistici. Viene freddo al pensiero e insieme si scoppia a ridere.

Vedi anche L'amore come sai, Trasgressioni, Gli ossibuchi di Nietszche, Eros in bicicletta, Dio ride 

martedì 14 gennaio 2020

Se vi volete bene, se sognate un matrimonio da favola, se le ragazze strambe vi sono simpatiche, ecco per voi Stefania Bertola, Divino amore

E per rimettermi dalle durezze degli ultimi due libri, a chi rivolgersi se non all'amatissima Stefania Bertola, penna incantevole per leggerezza e divertimento? E naturalmente Divino amore non mi ha delusa, mi ha dato un paio (o forse uno) di giorni di serenità come lettrice. E' un libro di 272 pagine che però sembrano molte meno, perché scivolano via lisce come un tè freddo in estate. Scritto bene, vivace, con un lieto fine a tutto tondo.

Divino amore è il nome dell'agenzia di wedding planner di Lucia Lombardi, dono d'addio (e risarcimento danni) del suo ex Tony Cosenza, famosissimo calciatore che lei non riesce a dimenticare da quindici anni. Intorno ruotano alcune ragazze di varia età, Gemma, Stella, Carolina, più qualche maschio assortito, Kevin, Rodrigo, legati oltre che dall'attività anche da una fitta rete di parentele. Ognuno ha il suo problema che naturalmente alla fine vedrà la soluzione, dopo che nell'arena sono entrate Linda, l'ex di Kevin che porta con sé una grossa sorpresa, le sorelle Corbani, Maria Elisabetta, famosa scrittrice, che si deve sposare ma non dirò con chi, e Maria Vittoria, grecista fidanzata con un biologo renitente al matrimonio ma molto romantico... E sullo sfondo spunta, come sempre nei romanzi di Stefania Bertola, anche una Maria Consolata. 

La vicenda è tutta fatta di incontri, coincidenze, desideri, malintesi che poi vanno a posto, e non sto a perderci tempo perché non conta particolarmente, vive nella lettura, nei dialoghi, nelle trovate che non fingono di non essere quello che sono né di mordere nella realtà. Esilaranti descrizioni delle spose e delle loro prestese, delle mamme delle spose, della moda demenziale dei matrimoni a tema, vivacizzano le pagine. Ecco, non è il tipo di romanzo che chiede la famosa "sospensione di incredulità": non c'è bisogno di crederci, basta lasciarsi andare al gioco, come fare inalazioni d'aria di montagna nello smog cittadino. E siccome teatro di tutto è Torino, di smog ce n'è parecchio. Curiosa la scelta della zona in cui vivono e si agitano i personaggi, intorno a Regio Parco e al Cimitero Monumentale, una zona che in effetti sta diventando velocemente fashion.

Molto più romantico e rosa che umoristico, Divino amore non raggiunge le vette di altri romanzi di quest'autrice, ma rimane un prodotto di ottima qualità, che fonde in giuste proporzioni una leggerezza totale con un occhio acuto e una voce narrante intelligente e complice, che non pretende di spacciare per vero quello che è chiaramente un allegro scherzo, e alla fine lascia il lettore del tutto soddisfatto.

In questo blog trovate le recensioni di Aspirapolvere di stelle, La soavissima discordia dell'amore, Ragione e sentimento, Solo Flora, Romanzo rosa, Ragazze mancine, Il primo miracolo di George Harrison.

martedì 17 dicembre 2019

Clamoroso ritrovamento archeologico rivela l'origine dell'Anaconda Anoressica: Anna a Natale, racconto inedito


Niente di meno che l'atto di nascita dell'Anaconda Anoressica, di Samantha la pittrice di città, Vana Gloria e Maso Sadomaso le danzatrici di strada, Denis e tutta la Torino underground e surreale di "Ragazza bella, ragazza brutta" nel racconto che ha dato origine a tutto, e che nel romanzo non è stato incluso perché non mi pareva in sintonia con gli altri, soprattutto per quel che riguarda la scrittura. Comunque è del 1991, quindi si tratta di un vero ritrovamento archeologico, totalmente inedito e per di più adattissimo al momento.
                       

          ANNA A NATALE

    La corsa al consumo natalizio era al culmine. Anna non era riuscita a finire i suoi acquisti prima che si scatenasse, per cui, approfittando del fatto che suo marito e i figli erano andati in montagna, decise di dedicare quel sabato pomeriggio di libertà alla ricerca degli ultimi regali. Alle quattro era già quasi buio, e nevischiava; indossò un giaccone giallo di tessuto impermeabile, si calcò in testa un cappello di feltro nero, si munì di libretto degli assegni, tessera del Bancomat e carta di credito, e uscì. In centro c'era un sacco di gente carica di sacchetti di plastica e buste di carta, affannata a correre da un negozio all'altro come se avesse paura di non trovare più niente sugli scaffali. Anna non aveva le idee chiare su quello che cercava, camminava sotto i portici tentando di trovare ispirazione nelle vetrine. Percorse via Roma e via Po scansando a fatica la folla che procedeva in senso opposto, talmente compatta che era difficile persino riuscire a sbirciare nei negozi.
    Ben presto ne ebbe abbastanza e svoltò in via San Massimo, dove la mancanza di portici e la neve ormai  molto fitta avevano assottigliato la calca. Riuscì a entrare in un'erboristeria e poi in una cartoleria elegante, e ne uscì anche lei con un paio di buste di carta piene di pacchetti. Era completamente buio e la neve si trasformava in fanghiglia appena toccava per terra. Anna, stanca e bagnata, guardava le vetrine con  interesse sempre minore. Tra un negozio e l'altro c'erano delle botteghe di artigiani, un calzolaio, un corniciaio, una tintoria, la gente sui marciapiedi portava borse della spesa e sacchetti del pane. Anna entrò in un bar per bere un tè e quando uscì vide che, dal lato opposto della strada, era stato aperto un portone di legno che prima non aveva notato.
    Attraversò tra le macchine che procedevano a passo d'uomo e si avvicinò al varco buio  tra una macelleria e un negozio di ferramenta. Si vedeva un vicolo scuro che si inoltrava tra due pareti di mattoni dove si aprivano finestre chiuse da ante di legno e portoncini di cantine o magazzini, con un tappeto di neve intatta per terra. Anna fu presa da reminiscenze di letture infantili, David Copperfield che scendeva verso il Tamigi attraverso vicoli umidi come quello e Oliver Twist che fuggiva disperatamente sotto una nevicata fitta. Non resistette alla tentazione di lasciare le sue orme nette sulla neve, ed entrò.
    Le fu sufficiente inoltrarsi di pochi metri perché i rumori e le luci della strada svanissero; i suoi passi sulla neve erano silenziosi come un volo e solo il chiarore giallastro del cielo si distingueva, in alto, dalle due pareti scure che la stringevano ai lati. Si voltò indietro per guardare i complicati disegni lasciati dalle suole di para delle sue scarpe, e vide in fondo al vicolo la parete compatta di macchine che si muovevano lentamente e l'insegna luminosa del negozio di fronte, che diceva: 'Antica Gastronomia Perotti'.
    Avanzò ancora alla cieca e si trovò di fronte un muro di mattoni viscidi di muffa. Non aveva voglia di tornare indietro, perciò cercò a tentoni se c'era un varco per proseguire; sulla sinistra trovò un passaggio ad arco, completamente buio, che si inoltrava nell'interno della casa. Non c'era neve ma era umido lo stesso, e Anna procedette appoggiandosi al muro bagnato con un certo ribrezzo. Il pavimento era scivoloso, l'odore di muffa intenso. Ben presto si trovò nuovamente di fronte a un muro, ma dalla sua destra sentì venire un soffio di freddo e vide luccicare qualcosa di bianco; proseguì in quella direzione e si trovò in un piccolo cortile, circondato da quattro pareti di mattoni prive di aperture e alte parecchi piani. Anche qui la neve per terra era intatta ed era spessa alcuni centimetri. Non si sentiva nessun rumore, come se la città e il suo traffico fossero lontani chilometri; i fiocchi bianchi scendevano perfettamente verticali, confondendosi silenziosamente con il candido tappeto che ricopriva il terreno. Anna si fermò all'uscita dell'andito cercando di abituarsi alla penombra; solo il riflesso aranciato delle luci della città rischiarava il cielo e faceva luccicare lievemente la neve.
    Rimase alcuni minuti in piedi osservando le pareti scure e chiedendosi che cosa potesse succedere all'interno degli edifici che circondavano il cortile. Probabilmente le centinaia di persone che ci vivevano non erano mai arrivate fin lì, nessuno sospettava l'esistenza di quello spazio buio. Forse d'estate i raggi del sole giungevano fino al terreno e tra i ciottoli spuntava l'erba. Il silenzio e la neve davano un senso di pace, il cielo aranciato era un magico scrigno che rovesciava senza posa fiocchi tranquilli. Anna si tolse il cappello e lo scosse; presto sui suoi capelli si posò uno strato di neve che sciogliendosi le colò nel collo. Si ritrasse sotto l'andito per  guardare la nevicata, e notò un filo di luce rasoterra.
    Il filo di luce si allargò, disegnando un rettangolo sulla parete, e una porta si aprì di fronte a lei. La sagoma scura di una figura umana si stagliava sul fondo  illuminato.
    "Chi c'è lì?" disse una voce femminile.
    "Nessuno" rispose Anna "passavo di qui, ho visto il portone aperto e sono entrata."
    Si sentì subito in colpa e fece per ritrarsi, ma la voce riprese:    
    "Venga un po' qua, che la voglio vedere. Il portone non è mai aperto, non potrà uscire da quella parte."    
    Anna attraversò il cortile e si avvicinò alla porta.
    Una ragazza giovane la guardò con aria severa e disse:
    "E' tutta bagnata, ma è matta? Venga dentro, che si gela con la porta aperta."
    Anna entrò nella pozza di luce e si trovò in una grande stanza caldissima. La ragazza davanti a lei dimostrava sedici anni, aveva dei capelli corti ossigenati e le palpebre tinte di viola. Le gambe coperte da spessi collant neri uscivano da un paio di pantaloncini di pelle.
    "Mi chiamo Samantha Cocilovo, con l'acca" disse "e lei?"
    "Anna Martinengo."    
    "Non capisco proprio come ha fatto a finire qui. Vuole qualcosa di caldo?" 
    "No no, ora me ne vado, non volevo intromettermi, credevo..."
    Samantha con un gesto della mano spazzò via i goffi convenevoli di Anna. Aveva unghie lunghe e viola come le palpebre, e un body di lurex nero da cui usciva un décolleté così bianco da sembrare incipriato. Le pareti della stanza erano coperte da affreschi di spiagge con palme e corpi avvinghiati; in un angolo un grosso pescecane apriva una bocca fitta di denti per azzannare una ragazza nuda. C'era una stufa a cherosene, un letto disfatto e delle poltrone di skai rosso a sacco, di quelle in cui si perde l'equilibrio e si sprofonda. Su un tavolo, vicino a un fornello a gas, piatti sporchi e bucce d'arancia. L'aria calda sapeva di cherosene e di incenso. Nessuna finestra si apriva nelle pareti, ma da una presa d'aria in alto veniva un rumore sordo e ritmico di musica.
    "Una tisana" disse la ragazza, prendendo un bollitore dalla stufa e versando dell'acqua in una tazza.
    Porse l'intruglio ad Anna che l'annusò. Sapeva di salvia.
    "Grazie" disse, e bevve un sorso.
    Samantha si tolse le pantofole di peluche fosforescente a forma di rana e infilò degli stivaletti neri a tacco alto, allacciati sul polpaccio.
   "Che fa lei?" chiese senza voltarsi. "Scommetto che è casalinga, sposata con due figli."
    "Tre" disse Anna illuminandosi, " uno ha suppergiù la sua età."
   "Allora possiamo darci del tu" ribatté Samantha, "che c'è di bello nei sacchetti? Regali di Natale? Io so già che cosa mi regalerà il mio ragazzo: vernice spray in dodici colori. Sai, io sono un'artista. Dipingo i muri." 
    Anna accennò alle pareti.
    "Questi li hai fatti tu?"
  "Oh no, questi sono antichi! Almeno vent'anni, o forse dieci. Io dipingo solo muri esterni. Soprattutto sotto i ponti, o nelle fabbriche abbandonate. Però non ho ancora deciso che cosa regalare a Denis. Denis" aggiunse dopo una pausa, con orgoglio "il mio ragazzo, ha dei gusti molto difficili. Forse una tartaruga, o delle tablas."    
    Indossò un giubbotto di pelle nera rilucente di borchie, mezzi guanti di pizzo di nailon nero e guardò Anna con aria dubbiosa.
    "Un ombrello?" disse, e si rispose da sola. "Ma no, ci sono i portici. E poi la neve fa bene."
    Anna, in piedi in mezzo alla stanza con l'impermeabile gocciolante, i pacchi accatastati intorno alle gambe e i capelli umidi e arricciati, si sentiva imbarazzata. Posò la tazza ancora mezza piena sul tavolo e disse:
    "Io devo proprio andare. Devo fare un po' di spesa e comprare il giornale e mio marito e i figli torneranno per cena affamati e..."
    Di nuovo Samantha spazzò via le sue parole con la mano.
    "Non ti agitare, c'è un sacco di tempo. Intanto usciamo, poi si vedrà."
    Si diresse verso il pescecane e aprì una porta che gli fece spalancare la bocca minacciosa.
    "Di qua" disse, "seguimi."
    Un corridoio buio le condusse a una stanza dalle pareti coperte di interruttori e scatole elettriche; tutt'intorno giacevano casse e seggiole accatastate, l'aria pulsava, i muri vibravano e il pavimento tremava di musica. Samantha sorrise e mimò una tremenda scarica di batteria.
    "Guarda un po'" disse ad Anna, scostando una tenda di velluto che copriva un finestrino.
    Anna vide un grande locale quasi buio, in cui una ressa di corpi si agitava tra improvvisi sprazzi di laser e fumi colorati.
    "L''Anaconda Anoressica', il locale del papà di Denis. Sua mamma canta il giovedì sera, per i vecchi. Canzoni degli anni '60, noiosissime, ma lei è famosa: Patty Paris, la conosci? Veramente" aggiunse  per scrupolo "si chiama Loredana Sperandio, ma quello è il suo nome d'arte."
    Anna confessò che non la conosceva, e per scusarsi ammise che usciva pochissimo.    
    "Però le canzoni degli anni '60 mi piacciono" disse.
    Samantha la guardò comprensiva e aprì una porta che dava nel locale. Un'ondata di musica le avvolse e le trascinò fino al margine della pista dove i ballerini si agitavano ognuno per conto suo, perso in un solitario delirio cinetico. C'era puzza di sudore e di qualcos'altro che Anna non conosceva. Samantha baciava tutti quelli che incontrava, maschi e femmine, che le restituivano l'abbraccio meccanicamente, senza nemmeno guardarla in faccia.
    "Denis non c'è" le urlò in un orecchio, "è a casa che studia per la patente. Andiamo a salutare suo padre."
    Anna scosse il capo, cercando l'uscita con gli occhi.
    "Devo andare" disse, ma Samantha la trascinò verso il bancone del bar.
    Un uomo bellissimo, con la camicia aperta sul petto dove brillava una catena d'oro, le guardò con cipiglio.
    "Da dove è entrata la tua amica?" gridò. "Non si può venire vestiti così in discoteca di sabato pomeriggio."
    Anna arrossì ma per fortuna le luci erano troppo basse perché si vedesse.    
    "Lascia perdere" urlò Samantha "è una nuova moda."
    Si sporse sul bancone per baciare l'uomo, che si chinò compiacente.
    Anna la tirò per un braccio e sillabò:
    "Devo andarmene!"
    "Occhei" rispose Samantha e la pilotò attraverso un muro di corpi sudati verso una porticina coperta da una tenda rossa.
    Si trovarono in una stanza senza finestre, tappezzata di scozzese e con una moquette scura per terra. C'era silenzio finalmente, ma la puzza di sudore era ancora più forte.    
    "Non possiamo uscire dalla porta principale" disse Samantha "lì c'è Loredana, se scopre che ti ho fatta entrare dal retro si incazza."
    Anna sospirò. Era stanca.
    "Devo andare" ripeté, cambiando di mano i sacchetti. Le facevano male le braccia e i piedi, e sentiva arrivare un raffreddore.
    "Hai visto che bello il padre di Denis?" disse Samantha. "Si chiama Salvo, e sua moglie è gelosissima. Ha ragione, perché lui si fa tutte le amiche di Denis. Ci ha provato anche con me, ma io non ci sono stata, perché se poi lo sapeva Denis, sai che casino! A te piace?"
    "Bello" disse Anna, "però non l'ho visto bene, era troppo buio."    
    "A te piacciono gli uomini? Lo tradisci tuo marito?"
    "No, veramente non ci ho mai pensato. Figurati un po'! Non mi è mai venuto in mente di tradirlo."
    "E lui ti è fedele?"
    "Certo" disse Anna, ma poi aggiunse: "Almeno credo. Non mi ha mai detto niente."
    "Vorrei vedere!" Samantha scoppiò a ridere. "Che cosa ti aspetti, che una sera torni a casa e ti dica: cara, oggi ho scopato con un'altra?"
    "Che discorsi stupidi" disse Anna, "dai, fammi uscire di qui. Devo andare a casa. Chissà che ora è."
    Guardò l'orologio, ma non c'era abbastanza luce e non aveva portato gli occhiali.
    "Io l'orologio non ce l'ho" disse Samantha, "non l'ho mai voluto, mi fa solo venire i nervi."
    "Ma come si esce di qui?"
    "Vieni, ti porto fuori."
    La ragazza tastò una parete e una porzione di tappezzeria si aprì sul buio. Si infilarono in un corridoio senza luci; Samantha afferrò Anna per la mano e se la trascinò dietro.
    "Come si chiamano i tuoi figli?" disse.
    "Giovanni, Bianca e Andrea."
    "Bei nomi! E che fanno?"
    "Giovanni è all'università, studia legge, gli altri due sono al liceo."
    "Ce l'ha il ragazzo Bianca?"
   "Penso di sì, c'è sempre un certo Luca che le telefona e viene a studiare con lei."
    "Prende la pillola?"
  "La pillola!" Anna si fermò di botto e boccheggiò. "Ma ha solo diciassette anni!"
   "E quanti credi che ne abbia io? La pillola la prendo già da due anni, non sono mica un'incosciente. E speriamo che non lo sia neanche Bianca."
    Anna strinse le labbra e tolse la mano da quella della ragazza.
    "E gli altri due?"
    "Gli altri due cosa?"    
    "Scopano?"
    "Smettila" disse Anna fermamente. "Non mi piacciono questi discorsi."
    "Non ti raccontano niente, eh? Non te la prendere, neanche Denis non racconta niente a sua madre. Veramente Loredana è così suonata che tanto non lo starebbe a sentire."
    Il corridoio continuava dritto e buio e Anna era preoccupata. Infine si vide una luce e Samantha le prese il braccio.
    "Vieni, ti faccio vedere una cosa" disse "qui c'è una mensa clandestina."
    Entrarono in uno stanzone illuminato da una fila di lampade al neon, pieno di sedie e tavolini di plastica. In fondo c'era una serie di grossi fornelli attorno ai quali si muovevano alcuni nordafricani; dalle pentole uscivano vapori profumati di cibo.
    "La gestiscono dei miei amici marocchini, con viveri rubati ai mercati o nei supermarket. Qui con cinquemila lire puoi mangiare benissimo, altro che le schifezze delle mense di beneficienza. Io ci vengo sempre."
    Baciò i cuochi che le sorrisero e guardarono Anna senza curiosità.
    "Che si mangia oggi?" chiese Samantha scoperchiando le pentole.    
    Gli uomini la cacciarono con una pacca sul sedere e lei si mise a ridere.
    "Non gli piace essere disturbati quando cucinano" spiegò, "c'è un sacco da fare, tra un po' cominciano ad arrivare i clienti."
    Distribuì ancora qualche bacio e scivolò via tra i tavoli. Le pareti di mattoni a vista erano umide di vapore e l'odore di cibo era così forte che Anna si sentì travolta dalla nausea. Corse dietro a Samantha sbattendo i sacchetti nei tavolini.
    "Usciamo" disse con voce implorante.    
    "C'è ancora un po' di strada" rispose l'altra.
    Il corridoio ora era illuminato da qualche lampadina, si vedevano delle porte, alcune chiuse e altre aperte da cui delle scale scendevano verso il basso.
    "Cantine" disse Samantha, "sapessi quante ce n'è e che cosa ci succede!"
    "Non voglio saperlo" gemette Anna. "Ma tu non ce li hai i genitori? Vivi da sola in quella stanza dove ti ho incontrata?"
    "Genitori? Mai avuti. Ero già orfana prima ancora di nascere. Poi sono stata un po' qua e là, in affidamento. Donne che si facevano chiamare mamme, altre che si facevano chiamare per nome... Tutte noiose. Sono scappata, e adesso ho la mia casa."
    "Ma come vivi?"
    "Sono un'artista, non te l'ho detto? Dipingo i muri, sono bravissima nel mio campo. Anche famosa. Hai mai visto quello che ho fatto sotto il ponte delle Molinette? C'è tutta Torino, le case, le strade, persino la Mole. Ci sono anche i miei amici, e io che dipingo i muri. Devo ammettere che mi ha aiutato Enzino, un altro artista. Ma lui ha solo dato i colori, il disegno è tutto mio."
    Si fermò di botto e aggiunse:
    "Ti faccio vedere un'altra cosa."
    "Ma dove trovi i soldi per vivere?" insistette Anna.
    "Be', mi arrangio. Non ho mica bisogno di molto."
    Samantha aprì una porta che, a differenza delle altre, era stata ridipinta di recente di un bel rosso pompeiano. Dietro, una stretta scala ricoperta di moquette rossa scendeva facendo un gomito.
    "Vieni" disse, e Anna, troppo esausta per protestare, la seguì.
     Sbucarono in una cantina a volta, alta e molto illuminata. Faceva caldo e c'era odore di chiuso. In fondo alla cantina, un gruppo di persone faceva giravolte e complicati movimenti di danza.
    "I Danzatori della Notte" disse Samantha. "Anche loro sono artisti come me, solo che loro danzano la città, invece di dipingerla."
    Una ragazza vestita di nero, con  corti capelli color rosso-viola, avanzò verso di loro.
    "E' Vana Gloria, il capo del gruppo" spiegò Samantha prima di correre a baciarla.    
    Anna rimase ferma in mezzo ai sacchetti posati per terra mentre le due ragazze si fronteggiavano in un breve passo di danza.
    "Non ci siamo ancora, Samantha" disse Vana Gloria. Parlava a voce bassa, bisbigliando così velocemente che era difficile capire quello che diceva. "Devi esercitarti molto se vuoi davvero venire con noi. Abbiamo una fama da tenere alta."
    "Per il momento non posso, Vana. Sto facendo un lavoro molto impegnativo: il muro esterno della Venchi Unica. Ci ho messo anche voi, e le Sorelle di Dracula, e Maso Sadomaso. Sta venendo bene, ma per finirlo devo aspettare che Denis mi regali delle vernici. Possiamo stare un po' a guardarvi? La mia amica qui non ha mai visto niente, ma è simpatica."
    Vana fece un sorriso ad Anna e tornò verso il gruppo che continuava le sue evoluzioni.
    "Alba alla Falchera Nuova" bisbigliò, e gli altri si disposero a quadrato.
    Anna non avrebbe saputo dire se quello che si svolgeva davanti ai suoi occhi fosse un balletto, una rissa o un rituale dell'orda: rimase ferma a guardare, sobbalzando ogni volta che dal gruppo si levava un urlo o un grugnito. Non c'era musica.
    "Carino" disse alla fine, mentre Samantha in un parossismo d'entusiasmo distribuiva baci a tutti.
    "Siete i primi" disse, "nessuno vi può raggiungere, nemmeno quella spocchiosa di Maso."
    "Sì, questo non è male" sussurrò Vana Gloria massaggiandosi le caviglie. "Vieni a esercitarti con noi, Samantha. Ti farebbe bene ballare un po' mentre aspetti le vernici."
    "Cercherò di trovare il tempo, Vana. Ora andiamo, che la mia amica ha fretta di tornare a casa. Pensa, ha una figlia che scopa senza precauzioni! Ho sempre pensato che non basta studiare per diventare responsabili. Ciao, ragazzi!"
    Anna raccattò i sacchetti e si affrettò dietro a Samantha che correva su per le scale.
    "Sono forti, davvero" disse la ragazza mentre svoltavano in un altro corridoio buio "vanno in giro per i quartieri di notte e li ballano."
    "Ballano cosa?" chiese Anna.
    "I quartieri, no? Come io li dipingo. Loro ballano la città, io la coloro, tu la compri. I ragazzi della mensa la rubano, e di giorno la vendono sotto i portici. Tutto a posto!"    
    Samantha camminava in fretta e Anna le arrancava dietro.
    "Sbrighiamoci, Denis a quest'ora ha finito di studiare e mi aspetta all''Anaconda Anoressica'. Se non arrivo s'incazza."
   "Ma che ora sarà?" chiese Anna ansimando per la fatica.
    "E' notte di certo! Lo so dalla fame che ho. Per fortuna Loredana la sera prepara delle cose buonissime da mangiare."
    Samantha si fermò di colpo e guardò Anna ridendo:
    "Mi sa che tuo marito e i tuoi figli ti stanno aspettando incazzati anche loro! Gli hai lasciato qualcosa di pronto?"
    "Proprio niente" disse Anna, e affrettò il passo.
    Il corridoio terminava con una porta sbarrata da una stanga di ferro. Samantha l'aprì con un certo sforzo e la richiuse dall'altra parte.
   "Qui ci stanno gli sballoni" disse sottovoce, scavalcando un ragazzo seduto per terra sul cemento.
    Il locale in cui erano entrate era una specie di magazzino, disseminato di casse e poco illuminato. Vi erano parecchie persone sedute o sdraiate, in gruppi di due o tre. Anna cercò di non guardare nessuno in faccia, ma non poté evitare di vedere le siringhe sparse sul pavimento.
    "Ma devi passare di qui tutte le volte che esci di casa?" chiese.    
    "No di certo!" rispose Samantha. "Ci sono un mucchio di strade, ma adesso abbiamo fretta e questa è la via più breve. E poi, perché non dovrei passare di qua? Loro la città la sognano, non c'è niente di male."
    Anna si sentiva mancare il respiro e una paura irrazionale la spinse a mettersi a correre verso la porta in fondo al locale.
    Sbucarono in un cortile circondato da facciate illuminate di case di ringhiera, porte e finestre e poggioli e bucati stesi coperti da teli di plastica e verande di fortuna e vasi pieni di piante rinsecchite. Nevicava ancora, il terreno era coperto da una fanghiglia rossastra, come se ci avesse camminato sopra un esercito di elefanti. Samantha si infilò in un andito e spinse una porta a vetri. Fuori c'era la luce indifferente dell'illuminazione notturna, e si trovarono sotto i portici di via Po proprio all'angolo di via San Massimo.
    "Eccoci arrivati" disse Samantha, "e qui ci salutiamo." Fece segno verso una porta circondata da festoni di lampadine che brillavano a intermittenza, formando la scritta: 'L'Anaconda Anoressica Superdiscoteca'. "Sai tornare a casa di qui? Hai la macchina?"
    "No, sono venuta in autobus perché avevo paura di non trovare posteggio."
    "Con questa neve, gli autobus sono certo fermi, e taxi non ne trovi. Telefona a tuo marito che ti venga a prendere."
    C'era un telefono in un bozzolo di plastica trasparente attaccato a una piglia lì accanto. Samantha baciò Anna con trasporto su tutte due le guance e disse:
    "Mi ha fatto proprio piacere conoscerti. Salutami la famiglia e di' a Bianca che non è prudente come si comporta. Almeno il preservativo!"
    Agitò una mano coperta dal mezzo guanto nero e si avviò verso l''Anaconda Anoressica'. Dai fagotti di stracci ammonticchiati attorno alle piglie, mani nere di venditori ambulanti si tesero verso le sue gambe coperte solo dai collant. Lei le schivò abilmente e abbozzò un passo di danza.
    "Niente da fare, ragazzi! Sono impegnata."
    E sparì nel vortice di lampadine colorate.
    Scavalcando un venditore di elefantini di finto ebano, Anna raggiunse il telefono e cercò una moneta nel portafogli. La voce ansiosa di suo marito rispose dopo un solo squillo.
    "Vienimi a prendere, Carlo" gridò lei con infinito sollievo.
    "E dove sei? Che cosa hai fatto in giro fino a quest'ora? Ci hai fatto morire di preoccupazione e di fame."
    "Sono in via Po, terza piglia a sinistra di via San Massimo guardando verso casa. E che cosa vuoi che abbia fatto? Sono stata in giro, a comprare la città." 

Nota topografica: la discoteca Anaconda Anoressica sta tra via Po e Via San Massimo dove un tempo c'era la discoteca sotterranea del Faro, ora cinema Greenwich. Invece il passaggio umido e erboso tra due palazzi (Palazzo Graneris, alias Circolo dei Lettori, e quello adiacente andando verso via Po) stava in via Bogino, e esisteva veramente finché non è diventato l'accesso a un garage a silos, dove non credo succeda niente di così interessante come ai tempi di Samantha e Denis.