Finalmente un romanzo magnifico, ma soprattutto importante, che mi ha risvegliata dalla sonnolenza da letture inutili che mi ha accompagnata negli ultimi mesi. Il libro dell'acqua e di altri specchi di Nadeem Aslam sveglierebbe la Bella Addormentata nel Bosco senza nessun bisogno di stare a baciarla, con la semplice forza della sua scrittura incantata e delle tremende vicende narrate, che miracolosamente si fondono in perfetta armonia. L'autore racconta storie oggettivamente tragiche, eppure piene di umanità e equilibrio nel dipingere un paese che vive in uno stato di continua violenza, corruzione, prepotenza, ingiustizia: ma abitato da personaggi veri e pieni di vita, umanità, capaci di dolcezza e di rigore, di rispetto e attenzione verso gli altri, di interessi e curiosità culturali. Si parla molto di libri, di biblioteche, di architettura, Nadeem Aslam descrive luoghi di incredibile fascino utilizzando una scrittura sapientissima che in certi punti vola verso la poesia, in altri è precisa e economica come una lama di coltello.
Siamo in Pakistan, nella cittadina (immaginaria) di Zamana. La coppia Nargis e Massud è formata da due architetti sulla cinquantina, islamici ma convintamente laici, intellettuali illuminati tanto che, essendo senza figli, hanno praticamente adottato Helen, figlia dei loro servitori cristiani Grace, uccisa da un musulmano in circostanze terribili, e Lily, ora guidatore di ricsciò, impegnandosi a pagarle gli studi fino alla laurea. Un giorno si trovano nel luogo sbagliato nel momento sbagliato, e Massud viene ucciso in una sparatoria tra ladruncoli in moto e un americano dall'ambigua identità. La situazione è molto più grave di quello che appare e presto la vedova e tutti quelli che le stanno attorno vengono travolti da una spirale di violenza statale, dei poteri occulti, della polizia, dei gruppi religiosi, di singoli terroristi. Non entro nei particolari della trama perché è davvero appassionante e orrifica, bisogna farsene avvolgere per avanzare passo per passo nella violenza senza speranza insieme ai personaggi il cui punto di vista si alterna accompagnandoci verso il finale.
La vita di tutti viene stravolta, devono nascondersi e fuggire, e in questa terribile realtà c'è posto per invenzioni letterarie incantevoli, come l'enorme biblioteca degli architetti in cui ci sono due stanze mobili che riproducono una la grande Moschea di Cordova e l'altra Santa Sofia di Istanbul e offrono riparo dai rigori invernali, mentre d'estate vengono sollevate fino al soffitto. O il libro distrutto e strappato dagli spietati agenti, che viene riparato cucendo ogni pezzo di pagina con filo dorato (come una coppa giapponese) fino a essere ricostruito interamente; o l'ignoto fustigatore di costumi che di notte diffonde dagli altoparlanti delle moschee i segreti degli abitanti esponendoli alla ferocia della punizione popolare. I personaggi sono costruiti con grande forza, attraverso parole e comportamenti, e affidando loro alternativamente il punto di vista narrativo. Oltre alla protagonista Nargis, donna forte ma minata da un segreto che la divora e non ha mai rivelato neppure all'amore della sua vita, Massud, e Helen, determinata e intelligente, hanno grande risalto Imran detto Mosca, giovane musulmano proveniente dal Kashmir (anch'esso dilaniato dalle lotte tra popolazione musulmana e governo indiano), Lily e la sua amante Aysha, figlia del chierico della moschea adiacente alla casa degli architetti, i vari emissati governativi e dei servizi segreti che minacciano, imprigionano, torturano e uccidono chiunque si metta sulla loro strada. Sullo sfondo ci sono i poteri forti, l'America che manovra e finanzia.
E' un romanzo potentissimo e estremamente avvincente, ricco di riferimenti culturali che non appesantiscono la lettura, dove l'intreccio è forte e l'ambientazione ipnotica, di grandissima attualità come argomento, ma insieme slegato dalla cronaca. E' tutto vero quello che ci racconta, ma, citando il disclaimer posto alla fine del libro, Questa è un’opera di finzione. Tutti i personaggi, gli eventi e le organizzazioni che vi sono descritti sono una creazione dell’autore. Nessuna somiglianza con persone vive o morte, né con organizzazioni o eventi passati o presenti, è intenzionale. Dello stesso autore, oltre al bellissimo Mappe per amanti smarriti che me l'ha fatto conoscere, altri libri che mi sento di consigliare sono (soprattutto) Note a margine di una sconfitta e La veglia inutile. L'impeccabile traduzione è di Norman Gobetti.
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venerdì 3 gennaio 2020
martedì 8 aprile 2014
Nadeem Aslam, Note a margine di una sconfitta: un gran bel romanzo che parla di guerra e di vita; Mappe per amanti perduti, perché l'amore non basta a tenere uniti.
La quarta di copertina di questo romanzo non la dice proprio giusta, e forse fa bene perché con tutta probabilità se fosse stata sincera non l'avrei comprato. E avrei fatto malissimo, perché è un romanzo davvero speciale, di quelli che lasciano il segno, fanno pensare e avvincono durante la lettura senza afferrare le viscere del lettore o tirargli calci nella pancia. Tutto il contrario, per dire, dell'orrido (e di bassissima lega) Il cacciatore di aquiloni. Anche qui si parla di Afghanistan, di guerra e di talebani, ma a tutt'altro livello, e l'autore, non abbracciando il punto di vista dell'Occidente (rappresentato nella violenta e spietata forza delle armi e dei dollari americani), conserva un equilibrio ammirevole narrando dall'interno dell'Islam e riuscendo così, senza dare giudizi, a esemplificare gli squilibri di una società condannata a nutrire in seno la pianta velenosa dell'integralismo e del terrorismo.
Siamo a Heer, città immaginaria in Pakistan, poco dopo l'11 settembre 2001, e in Afghanistan gli americani hanno scatenato l'operazione Enduring Freedom. L'anziano Rohan, ex proprietario di una scuola ora trasformata in luogo di formazione per terroristi, ha due figli naturali, Jeo e Yasmine, due adottivi, Mikal e Basie, e un grande cruccio perché l'amatissima moglie Sofia è morta da apostata malgrado tutti i suoi sforzi per ricondurla alla fede. Il ventenne Jeo, studente di medicina, nonostante sia sposato con la diciannovenne Nadeen, parte per l'Afghanistan per dare aiuto alla popolazione locale, e Mikal lo segue. Mikal e Nadeen si sono amati prima del matrimonio di lei, e si amano ancora, ma la vita ha disposto diversamente per loro. Da questo nodo di rapporti personali e spaventosi avvenimenti storici nasce la vicenda che vede protagonista Mikal, venduto a un signore della guerra appena messo piede in Afghanistan, poi prigioniero degli americani, da tutti torturato e quasi ucciso, poi in fuga da tutti, sempre alla ricerca di Jeo e con il desiderio di Nadeen nel cuore.
La trama (di cui taccio perché l'ansia di vedere che cosa succederà nella pagina successiva è uno dei motivi di fascino di questo romanzo) è complessa, insieme molto costruita e insensata, proprio come la guerra che le fa da sfondo. I numerosi personaggi (oltre ai già citati, Tara la madre vedova di Nadeen, David il soldato americano, il fachiro dalle catene, padre Mede, e molti altri) sono tutti necessari e delineati con acuta e felice sommarietà, come gli schizzi a matita dei diari di viaggio degli antichi esploratori. E viaggiano molto, corrono come animali inseguiti avanti e indietro tra Pakistan, Waziristan e Afghanistan, tra città e deserto, tra colline e praterie di fiori gialli, tra moschee che sorgono in mezzo al nulla e scuole affollate di bambini e ragazzi. Ci sono tutti i regni della natura: il bellissimo giardino di Rohan con i suoi alberi nominati con i loro nomi come figli, curati con amore, conosciuti e osservati in tutte le loro trasformazioni; le colline e le montagne di cui l'autore nomina le formazioni geologiche con precisa attenzione perché anche quella è storia, meno cruenta e distruttiva di quella umana; gli animali riassunti nel cucciolo di leopardo delle nevi, affidato da una donna a Mikal per confortarlo nelle sue dolorose vicende, che ognuno dei molti in cui si imbatte vuole tenere per sé, per godere della morbidezza della sua pelliccia e del calore del suo peso in grembo; e gli uomini e le donne, naturalmente, non certo i migliori né i più necessari.
E alla fine la sconfitta è di tutti, perché anche gli innocenti, anche i giusti fanno errori dalle conseguenze spaventose. Sono sconfitti i talebani feroci e ottusi, gli americani feroci e prepotenti, i signori della guerra feroci e avidi, ma anche i poveri e i semplici, i credenti sinceri, quelli che cercano di comportarsi con giustizia e compassione, perché la guerra è una sconfitta in sé comunque si concluda. E tra i molti legami che si stringono tra gli uomini, anche se l'amore ha un grande peso, il più importante appare quello tra fratelli, e sorelle: fratelli di sangue e adottivi, fratelli acquisiti, fratelli perché si combatte dalla stessa parte, e alla fine fratelli perché tutti condividiamo la stessa natura umana.
Questo libro non è viscerale ma neanche freddo, è desolatamente oggettivo, è difficile perché non è consolatorio né semplificatorio. Questo risultato è ottenuto attraverso un linguaggio poetico che crea distacco anche nelle scene più crudeli. Non bisogna dimenticare che Nadeem Aslam nasce come poeta, ed è figlio di un famoso poeta pakistano, citato anche nelle pagine del romanzo. E quanto più bello e significativo di quello italiano è il titolo originale, The blind man's garden, con allusione alla cecità cui Rohan è condannato e insieme metafora della vita umana. Non fatevi spaventare dal fatto che si parli di guerra. Non è un romanzo di guerra, è un bel romanzo sull'uomo e la fragilità delle passioni umane. Fa vedere dall'interno che cosa è stata la guerra in Afghanistan che ormai abbiamo dimenticato tutti, il caos, l'ingiustizia e le spaccature insanabili che ha provocato. Ci dice che l'istinto di salvarsi dell'uomo è insopprimibile, e che anche il confine tra morti e vivi è labile. Alla fine, la morte vince sempre ma la continuità della vita è altrettanto forte e inestinguibile.
L'autore, nato nel 1966 in Pakistan, è emigrato in Inghilterra all'età di quattordici anni. Attualmente vive tra Londra e Kabul. Presto leggerò anche La veglia inutile. Bella traduzione di Delfina Vezzoli.
Intanto consiglio vivamente il bellissimo Mappe per amanti perduti, uscito nel 2006 sempre nella traduzione di Delfina Vezzoli.
Questo romanzo doloroso e affascinante ha richiesto undici anni di lavoro al suo autore. Ambientato ai giorni nostri in una cittadina in cui vive una numerosa comunità di immigrati provenienti dal subcontinente indiano, ha per protagonista Shamas, musulmano, sposato con Kaukab, più legata al mondo da cui proviene che alla realtà in cui vive, e padre di due figli grandi, un maschio che ha sposato un’inglese da cui ha avuto a sua volta un figlio e si è già separato, e una ragazza in fuga da un matrimonio tradizionale. Shamas è direttore del Comitato per le relazioni della comunità, abituato a trattare i complicati rapporti tra gli immigrati spesso incapaci di parlare inglese, ignoranti delle leggi, e le autorità governative. Il suo è un incarico importante che lo porta a frequentare indù e sihk, e a differenza degli altri membri della comunità islamica è uomo di ampie vedute, indifferente al bisogno di restare fedele alle tradizioni religiose. Ma un giorno suo cognato Jugnu e Chanda, una ragazza musulmana con cui convive pubblicamente, spariscono senza lasciare tracce. Sospettati sono i fratelli della ragazza, poi arrestati per l’omicidio della coppia che però non viene mai ritrovata. Da qui si innesca un percorso straziante durante le quattro stagioni del mondo occidentale (in Pakistan le stagioni sono cinque, inverno, primavera, estate, monsone, autunno) in cui Shamas si inoltra con grande fatica, incontrando un amore tardivo e storie terribili di incomprensione tra le diverse religioni, violenza familiare, impossibilità di accettare le tradizioni e incapacità di staccarsene del tutto per integrarsi nel paese di arrivo. Si parla degli immigrati di oggi, che possono permettersi di tornare in Pakistan in vacanza, liberi dalla necessità primaria della fame e della miseria, ma sempre in bilico tra due mondi e stritolati da entrambi. Molto curato nella scrittura, ricco di personaggi interessanti e problematiche per ora irrisolte, Mappe per amanti smarriti è un romanzo pieno di vita, che insegna molto su una civiltà con cui ci troviamo tutti a fare i conti e lascia una traccia profonda nel lettore.
Siamo a Heer, città immaginaria in Pakistan, poco dopo l'11 settembre 2001, e in Afghanistan gli americani hanno scatenato l'operazione Enduring Freedom. L'anziano Rohan, ex proprietario di una scuola ora trasformata in luogo di formazione per terroristi, ha due figli naturali, Jeo e Yasmine, due adottivi, Mikal e Basie, e un grande cruccio perché l'amatissima moglie Sofia è morta da apostata malgrado tutti i suoi sforzi per ricondurla alla fede. Il ventenne Jeo, studente di medicina, nonostante sia sposato con la diciannovenne Nadeen, parte per l'Afghanistan per dare aiuto alla popolazione locale, e Mikal lo segue. Mikal e Nadeen si sono amati prima del matrimonio di lei, e si amano ancora, ma la vita ha disposto diversamente per loro. Da questo nodo di rapporti personali e spaventosi avvenimenti storici nasce la vicenda che vede protagonista Mikal, venduto a un signore della guerra appena messo piede in Afghanistan, poi prigioniero degli americani, da tutti torturato e quasi ucciso, poi in fuga da tutti, sempre alla ricerca di Jeo e con il desiderio di Nadeen nel cuore.
La trama (di cui taccio perché l'ansia di vedere che cosa succederà nella pagina successiva è uno dei motivi di fascino di questo romanzo) è complessa, insieme molto costruita e insensata, proprio come la guerra che le fa da sfondo. I numerosi personaggi (oltre ai già citati, Tara la madre vedova di Nadeen, David il soldato americano, il fachiro dalle catene, padre Mede, e molti altri) sono tutti necessari e delineati con acuta e felice sommarietà, come gli schizzi a matita dei diari di viaggio degli antichi esploratori. E viaggiano molto, corrono come animali inseguiti avanti e indietro tra Pakistan, Waziristan e Afghanistan, tra città e deserto, tra colline e praterie di fiori gialli, tra moschee che sorgono in mezzo al nulla e scuole affollate di bambini e ragazzi. Ci sono tutti i regni della natura: il bellissimo giardino di Rohan con i suoi alberi nominati con i loro nomi come figli, curati con amore, conosciuti e osservati in tutte le loro trasformazioni; le colline e le montagne di cui l'autore nomina le formazioni geologiche con precisa attenzione perché anche quella è storia, meno cruenta e distruttiva di quella umana; gli animali riassunti nel cucciolo di leopardo delle nevi, affidato da una donna a Mikal per confortarlo nelle sue dolorose vicende, che ognuno dei molti in cui si imbatte vuole tenere per sé, per godere della morbidezza della sua pelliccia e del calore del suo peso in grembo; e gli uomini e le donne, naturalmente, non certo i migliori né i più necessari.
E alla fine la sconfitta è di tutti, perché anche gli innocenti, anche i giusti fanno errori dalle conseguenze spaventose. Sono sconfitti i talebani feroci e ottusi, gli americani feroci e prepotenti, i signori della guerra feroci e avidi, ma anche i poveri e i semplici, i credenti sinceri, quelli che cercano di comportarsi con giustizia e compassione, perché la guerra è una sconfitta in sé comunque si concluda. E tra i molti legami che si stringono tra gli uomini, anche se l'amore ha un grande peso, il più importante appare quello tra fratelli, e sorelle: fratelli di sangue e adottivi, fratelli acquisiti, fratelli perché si combatte dalla stessa parte, e alla fine fratelli perché tutti condividiamo la stessa natura umana.
Questo libro non è viscerale ma neanche freddo, è desolatamente oggettivo, è difficile perché non è consolatorio né semplificatorio. Questo risultato è ottenuto attraverso un linguaggio poetico che crea distacco anche nelle scene più crudeli. Non bisogna dimenticare che Nadeem Aslam nasce come poeta, ed è figlio di un famoso poeta pakistano, citato anche nelle pagine del romanzo. E quanto più bello e significativo di quello italiano è il titolo originale, The blind man's garden, con allusione alla cecità cui Rohan è condannato e insieme metafora della vita umana. Non fatevi spaventare dal fatto che si parli di guerra. Non è un romanzo di guerra, è un bel romanzo sull'uomo e la fragilità delle passioni umane. Fa vedere dall'interno che cosa è stata la guerra in Afghanistan che ormai abbiamo dimenticato tutti, il caos, l'ingiustizia e le spaccature insanabili che ha provocato. Ci dice che l'istinto di salvarsi dell'uomo è insopprimibile, e che anche il confine tra morti e vivi è labile. Alla fine, la morte vince sempre ma la continuità della vita è altrettanto forte e inestinguibile.
L'autore, nato nel 1966 in Pakistan, è emigrato in Inghilterra all'età di quattordici anni. Attualmente vive tra Londra e Kabul. Presto leggerò anche La veglia inutile. Bella traduzione di Delfina Vezzoli.
Intanto consiglio vivamente il bellissimo Mappe per amanti perduti, uscito nel 2006 sempre nella traduzione di Delfina Vezzoli.
Questo romanzo doloroso e affascinante ha richiesto undici anni di lavoro al suo autore. Ambientato ai giorni nostri in una cittadina in cui vive una numerosa comunità di immigrati provenienti dal subcontinente indiano, ha per protagonista Shamas, musulmano, sposato con Kaukab, più legata al mondo da cui proviene che alla realtà in cui vive, e padre di due figli grandi, un maschio che ha sposato un’inglese da cui ha avuto a sua volta un figlio e si è già separato, e una ragazza in fuga da un matrimonio tradizionale. Shamas è direttore del Comitato per le relazioni della comunità, abituato a trattare i complicati rapporti tra gli immigrati spesso incapaci di parlare inglese, ignoranti delle leggi, e le autorità governative. Il suo è un incarico importante che lo porta a frequentare indù e sihk, e a differenza degli altri membri della comunità islamica è uomo di ampie vedute, indifferente al bisogno di restare fedele alle tradizioni religiose. Ma un giorno suo cognato Jugnu e Chanda, una ragazza musulmana con cui convive pubblicamente, spariscono senza lasciare tracce. Sospettati sono i fratelli della ragazza, poi arrestati per l’omicidio della coppia che però non viene mai ritrovata. Da qui si innesca un percorso straziante durante le quattro stagioni del mondo occidentale (in Pakistan le stagioni sono cinque, inverno, primavera, estate, monsone, autunno) in cui Shamas si inoltra con grande fatica, incontrando un amore tardivo e storie terribili di incomprensione tra le diverse religioni, violenza familiare, impossibilità di accettare le tradizioni e incapacità di staccarsene del tutto per integrarsi nel paese di arrivo. Si parla degli immigrati di oggi, che possono permettersi di tornare in Pakistan in vacanza, liberi dalla necessità primaria della fame e della miseria, ma sempre in bilico tra due mondi e stritolati da entrambi. Molto curato nella scrittura, ricco di personaggi interessanti e problematiche per ora irrisolte, Mappe per amanti smarriti è un romanzo pieno di vita, che insegna molto su una civiltà con cui ci troviamo tutti a fare i conti e lascia una traccia profonda nel lettore.
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