Una breve nota a proposito dell'ultimo libro di Ismail Kadare, La bambola. Breve perché è brevissimo (127 pagine con molti spazi) e anche perché ho le idee un po' confuse al proposito, ma non voglio passarlo sotto silenzio. Suppongo sia tradotto dal francese perché ho letto che da quando si è trasferito in Francia, nel 1990, scrive in quella lingua (ma sulla questione delle traduzioni di Kadare leggete questo interessantissimo articolo di Francesca Spinelli), però l'ottima traduttrice Liljana Cuka Maksuti è albanese e vive a Roma. La scelta editoriale è di tacere sia sulla lingua d'origine che sul titolo e l'anno di pubblicazione originale. Va be', sarà un mistero in più ad avvolgere con le sue morbide spire La bambola.
Perché di un testo misterioso si tratta, o magari sono io che non ho capito niente.
Confesso che l'ho comprato perché si svolge a Argirocastro, bellissima città che a Kadare ha dato i natali e dove sorgeva la casa della sua famiglia paterna in cui si svolgono molti degli episodi che racconta. Distrutta da un incendio nel 1999, in seguito è stata ristrutturata (ma quando ci sono stata io, nel 2013 o 2014, non era ancora visibile). La casa è il centro della narrazione, molto più della madre (la bambola del titolo) che dovrebbe essere la protagonista. Ecco, per togliermi il dente dico subito che questa della madre mi è parsa la parte più debole del libro. Descritta come una bambola di carta, incapace di comprendere e di parlare, non si riesce bene a farsene un'idea anche se il figlio vuole fare capire come sia stata piegata e rachitizzata dalla vita. Entrata a diciassette anni nell'enorme casa della famiglia del marito (fornita persino di una prigione privata!), subito in silenzioso contrasto con la suocera, trascurata dal marito cui interessa solo fare continui lavori di ristrutturazione, pone ogni tanto timide e preoccupate domande al figlio, precoce nella scrittura e nella pubblicazione.
La parte che mi è piaciuta di più è proprio quella relativa alla vita e alle abitudini a Argirocastro negli
anni lontani della sua infanzia, ai rapporti tra gli abitanti, ai segreti delle grandi case, alcune delle quali ancora oggi perfettamente conservate, visitabili e veramente affascinanti (tra cui quella, modesta, di Henver Hoxha). Ci sono particolari divertenti e sorprendenti, e conferme, come per esempio l'inserimento e la vicinanza della popolazione zingara nella vita cittadina. Con pochi tratti Kadare dipinge una società per noi molto esotica, ed estremamente interessante.
Ma accanto ai ricordi dei genitori, dei nonni, fratelli zii ecc, Ismail Kadare srotola quelli che gli interessano assai di più, l'inizio della sua vocazione di scrittore, gli amici e poi via via i primi successi, i viaggi e i ritorni, le morti e gli amori. Si vede benissimo che in fondo l'argomento che lo appassiona è Ismail Kadare. C'è una certa reticenza forse dovuta a motivi autobiografici, e una frammentarietà che in certi punti riesce un po' fastidiosa. Ho avuto come l'impressione che procedesse un po' svagatamente, senza un preciso progetto. La traduzione è bella e fluida, ma in certi punti è difficile capire il senso: non so se questo effetto di vaghezza dipenda dal testo originale. Comunque la lettura è gradevole, piena di spunti interessanti, veloce e avvolgente. E se vi viene voglia di andare a Argirocastro, seguite l'impulso, ne vale la pena.
Visualizzazione post con etichetta Ismail Kadare. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ismail Kadare. Mostra tutti i post
lunedì 20 novembre 2017
lunedì 11 febbraio 2013
L'Albania, chi lo sa che cosa sia? Ismail Kadare, The file on H
Va
be’, non è granché come titolo, ma tutto sommato quanti siamo, nel nostro Bel
Paese gnurante e facile ai pregiudizi, a sapere esattamente che cos’è
l’Albania? Quando gli albanesi ci mettevano ansia non ci interessava capire chi
fossero e da dove venissero, e adesso che abbiamo i rumeni su cui scaricare
paure più nuove, ce li siamo un po’ dimenticati. Non mi tiro certo fuori. Però
l’Albania, questa sconosciuta sulla soglia di casa, mi ha sempre incuriosita. Fin da quando scrutavo le luci di Saranda dalle spiagge di Corfù, o da quando
per passare dalla Dalmazia alla Grecia bisognava arrampicarsi sulle montagne
dalle Bocche di Cattaro, e poi fare il periplo del lago di Scutari spingendo il
collo per cercare di vedere che cosa c’era al di là dei confini albanesi, e
attraversare Montenegro, Kosovo e Macedonia su stradine sterrate, facendo lo
slalom tra le greggi in transito, perché l’Albania era out of bonds, proibita,
più esotica di Timbuctù e più lontana del deserto del Kalahari. Una strada, tra
l’altro, che ora rimpiango moltissimo di aver fatto di corsa, con l’unico scopo
di arrivare presto in Grecia, mentre ricordo che era fascinosissima oltre che
faticosissima (poche centinaia di chilometri, ma non si riusciva a farla tutta
in un giorno, bisognava fermarsi a dormire a metà) dove si incontravano
viandanti e pastori vestiti ognuno con il proprio costume nazionale, che io non
sapevo decifrare. Niente ne sapevo. Anche le città, Titograd (Podgorica,
Montenegro) e Peć (Kosovo), Skopje (Macedonia), erano affascinanti per
un esotismo che mescolava elementi orientali, moschee, polvere, palta,
abitudini di vita sconosciute, cibo insolito, gente incomprensibile... insomma
un’occasione di scoprire mondi che mi sono persa, e non è certo l’unica.
Comunque. In anni recenti ci sono finalmente riuscita a mettere piede in Albania, ho visitato Saranda (dove ho comprato due libri di Ismail Kadare in inglese) e Butrinto, e mi è rimasta la voglia di tornarci con più tempo per girarla tutta. E, ovviamente, hanno contribuito a tener viva la mia curiosità le scarse letture che ho fatto in proposito. Certo il bel romanzo di Anilda Ibrahimi Rosso come una sposa (Einaudi 2008), la straordinaria antologia Altri generi (a cura di Flora Bisogno e Francesco Ronzon, Il dito e la luna 2007, più che raccomandata) dove ho scoperto l’incredibile storia delle vergini giurate, e adesso quella che mi ha dato lo spunto, The file on H di Ismail Kadaré. Premetto che questo post probabilmente è del tutto inutile come consiglio di lettura, in quanto non sono riuscita a trovare traccia di una traduzione italiana nella pur vasta bibliografia di questo autore. Quella che io ho letto è una traduzione inglese a sua volta effettuata a partire da una traduzione francese dall’albanese... boh, spero di avere letto qualcosa che si possa ascrivere all’autore. È un breve romanzo ambientato negli anni ’30, quando l’Albania era una monarchia nata poco dopo l’indipendenza dall’Impero Ottomano (1912) che durò fino al 1939 (invasione italiana). Fu pubblicato a puntate su rivista nel 1981 e in volume vide la luce solo nel 1990; è una trasparente satira delle paranoie del regime comunista di Enver Hoxa, il che probabilmente non gli rese facile la vita al momento in cui uscì.
L’argomento è dei più accattivanti, ed è ispirato a un episodio storico, la spedizione degli studiosi Millman Parry e Albert Lord. Il governatore della cittadina di N, nel nord del paese, viene avvertito dal governo centrale che arriveranno Bill Ross e Max Norton, due accademici di Harvard che vogliono studiare gli ultimi rapsodi che vivono nelle montagne tra Albania e Serbia. La notizia getta scompiglio nell’ambiente provinciale di N., eccitando la fantasia di Daisy, l’inquieta moglie del governatore, e delle altre signore locali, scatenando la competizione delle spie (specializzate tra chi guarda e chi ascolta), creando grattacapi a tutti. I due ignari studiosi pensano solo alla loro meravigliosa avventura: muniti di un registratore, nuovissima invenzione, sperano di raccogliere più versioni dei poemi epici ancora cantati dai rapsodi per confrontare le versioni, studiare le variazioni, capire quanti versi può ricordare un rapsodo, e giungere alla fine a svelare il mistero di Omero (l’H. del titolo): fu un creatore, un poeta, o un raccoglitore di versi tramandati? Insomma dirimere la famosa “questione omerica” di cui ancora si dibatte nei licei. Dai miei lontanissimi studi, ricordo un’espressione che mi è sempre sembrata madornale e assurda: se non era un poeta a pieno titolo, forse Omero era “il popolo greco poetante”. A parte certe assonanze che non sto a sottolineare ma mi facevano molto ridere, l’idea di tutto un popolo che stava lì a poetare (con pardon), tutti insieme, in coro, ditemi voi se non è esilarante. Comunque. Ross e Norton passano in mezzo a mondanità speranzose, intrighi, tensioni politiche locali, spiati dalle travi del soffitto, affaticati, testardi, abitano locande infestate dagli insetti, aspettano e inseguono la specie in via di estinzione dei rapsodi, fino a un finale davvero spettacolare. La rappresentazione di questa esoticissima comunità, ai confini del mondo civile pur trovandosi a pochi chilometri dalle nostre coste, è appassionante. Veniamo a sapere che i conflitti che noi abbiamo scoperto solo con la guerra dell’ex Jugoslavia si trascinavano in realtà da secoli, e i due studiosi ci finiscono in mezzo senza accorgersene. Anche per Daisy la spedizione omerica avrà delle conseguenze, anche se molto diverse da quelle che lei sperava. Insomma un romanzo veloce, denso e davvero pieno di interesse. Peccato che non compaia tra le moltissime traduzioni di Ismail Kadare pubblicate in Italia. Nato nel 1936 a Argirocastro, nel sud dell’Albania, Kadare ha studiato in Russia, si è auto esiliato a Parigi, è tornato in patria nel 1999 ed è stato più volte candidato al Nobel. Ne riparlerò presto.
Intanto, a chi sta a Torino consiglio la mostra di Palazzo Madama "L'Albania e i suoi tesori", uno spottone pubblicitario per spingere il turismo, piccola, interessante e ricca di belle fotografie. Vale la pena.
Comunque. In anni recenti ci sono finalmente riuscita a mettere piede in Albania, ho visitato Saranda (dove ho comprato due libri di Ismail Kadare in inglese) e Butrinto, e mi è rimasta la voglia di tornarci con più tempo per girarla tutta. E, ovviamente, hanno contribuito a tener viva la mia curiosità le scarse letture che ho fatto in proposito. Certo il bel romanzo di Anilda Ibrahimi Rosso come una sposa (Einaudi 2008), la straordinaria antologia Altri generi (a cura di Flora Bisogno e Francesco Ronzon, Il dito e la luna 2007, più che raccomandata) dove ho scoperto l’incredibile storia delle vergini giurate, e adesso quella che mi ha dato lo spunto, The file on H di Ismail Kadaré. Premetto che questo post probabilmente è del tutto inutile come consiglio di lettura, in quanto non sono riuscita a trovare traccia di una traduzione italiana nella pur vasta bibliografia di questo autore. Quella che io ho letto è una traduzione inglese a sua volta effettuata a partire da una traduzione francese dall’albanese... boh, spero di avere letto qualcosa che si possa ascrivere all’autore. È un breve romanzo ambientato negli anni ’30, quando l’Albania era una monarchia nata poco dopo l’indipendenza dall’Impero Ottomano (1912) che durò fino al 1939 (invasione italiana). Fu pubblicato a puntate su rivista nel 1981 e in volume vide la luce solo nel 1990; è una trasparente satira delle paranoie del regime comunista di Enver Hoxa, il che probabilmente non gli rese facile la vita al momento in cui uscì.
L’argomento è dei più accattivanti, ed è ispirato a un episodio storico, la spedizione degli studiosi Millman Parry e Albert Lord. Il governatore della cittadina di N, nel nord del paese, viene avvertito dal governo centrale che arriveranno Bill Ross e Max Norton, due accademici di Harvard che vogliono studiare gli ultimi rapsodi che vivono nelle montagne tra Albania e Serbia. La notizia getta scompiglio nell’ambiente provinciale di N., eccitando la fantasia di Daisy, l’inquieta moglie del governatore, e delle altre signore locali, scatenando la competizione delle spie (specializzate tra chi guarda e chi ascolta), creando grattacapi a tutti. I due ignari studiosi pensano solo alla loro meravigliosa avventura: muniti di un registratore, nuovissima invenzione, sperano di raccogliere più versioni dei poemi epici ancora cantati dai rapsodi per confrontare le versioni, studiare le variazioni, capire quanti versi può ricordare un rapsodo, e giungere alla fine a svelare il mistero di Omero (l’H. del titolo): fu un creatore, un poeta, o un raccoglitore di versi tramandati? Insomma dirimere la famosa “questione omerica” di cui ancora si dibatte nei licei. Dai miei lontanissimi studi, ricordo un’espressione che mi è sempre sembrata madornale e assurda: se non era un poeta a pieno titolo, forse Omero era “il popolo greco poetante”. A parte certe assonanze che non sto a sottolineare ma mi facevano molto ridere, l’idea di tutto un popolo che stava lì a poetare (con pardon), tutti insieme, in coro, ditemi voi se non è esilarante. Comunque. Ross e Norton passano in mezzo a mondanità speranzose, intrighi, tensioni politiche locali, spiati dalle travi del soffitto, affaticati, testardi, abitano locande infestate dagli insetti, aspettano e inseguono la specie in via di estinzione dei rapsodi, fino a un finale davvero spettacolare. La rappresentazione di questa esoticissima comunità, ai confini del mondo civile pur trovandosi a pochi chilometri dalle nostre coste, è appassionante. Veniamo a sapere che i conflitti che noi abbiamo scoperto solo con la guerra dell’ex Jugoslavia si trascinavano in realtà da secoli, e i due studiosi ci finiscono in mezzo senza accorgersene. Anche per Daisy la spedizione omerica avrà delle conseguenze, anche se molto diverse da quelle che lei sperava. Insomma un romanzo veloce, denso e davvero pieno di interesse. Peccato che non compaia tra le moltissime traduzioni di Ismail Kadare pubblicate in Italia. Nato nel 1936 a Argirocastro, nel sud dell’Albania, Kadare ha studiato in Russia, si è auto esiliato a Parigi, è tornato in patria nel 1999 ed è stato più volte candidato al Nobel. Ne riparlerò presto.
Intanto, a chi sta a Torino consiglio la mostra di Palazzo Madama "L'Albania e i suoi tesori", uno spottone pubblicitario per spingere il turismo, piccola, interessante e ricca di belle fotografie. Vale la pena.
Iscriviti a:
Post (Atom)