Giovanni, perché pioveva.
Clelia e Giovanni, giovani sposi di buone possibilità
economiche, abitavano in una cascina ristrutturata in collina, a dieci minuti
di macchina dal centro. Clelia aveva voluto le pareti della camera da letto di
un tenerissimo rosa carne. Nell'ex tinaia avevano messo un grande tavolo di
legno, una credenza liberty con una collezione di piatti spaiati, mazzi di
ortensie secche, un braciere cinese di bronzo e un forno a legna.
"Soprattutto, niente barbecue", aveva detto
Clelia, recisa.
"Barbecue, per la carità!" le aveva fatto
eco Giovanni. Ridendo, si erano versati un bicchiere di Ferrari e avevano
brindato alla loro nuova casa. Alla felicità coniugale, anche, naturalmente.
Clelia era fotografa, Giovanni copywriter in una
società pubblicitaria. Sulla casa ristrutturata splendeva sempre il sole, gli
amici accorrevano numerosi nei fine settimana ad assistere alla gioiosa e
giocosa convivenza. A Clelia piaceva civettare, a Giovanni corteggiare. Lei
amava gli abitini sottoveste di seta impalpabile, lui i jeans strizzapalle con
camicie Oxford buttondown.
Una sera di ottobre ci fu un temporale tremendo. Per
una settimana dopo piovve a dirotto, il fiume, giù in basso, straripò,
crollarono case in tutta la regione, paesi interi rimasero isolati, mucche
gonfie galleggiavano sull'acqua e bambini arrampicati sugli alberi venivano
strappati via dalla corrente. I morti furono centinaia.
Il tetto della cascina ristrutturata era solido, ma il
vento strappò via qualche tegola. Il tenero rosa carne della camera da letto fu
macchiato da lunghe colate marroni.
"Porcamianonna!" gridò Giovanni. "In
questa casa non si può vivere. Te l'avevo detto io che non ha senso stare fuori
città. La gente normale abita nel centro storico. Fanculo te e il tuo stupido barbecue".
Prese le chiavi della Thema e sgommò via tra schizzi
di fango.
Clelia si versò una vodka lemon e guardò fuori dai
vetri rigati di pioggia.
"Barbecue?" rifletté. "Va be' che è
molto sdato, non è trendy, ma a me piacciono da matti le salcicce ben bruciate
e i pomodori arrosto. Ci penserò".
Luigi, per amore.
Ogni volta che usciva dal portone e attraversava la
strada per raggiungere la fermata del 61, Luigi, anche se era in ritardo,
perdeva qualche minuto a guardare nella vetrina dei sarti. Dentro c'erano due
uomini tra la mezza età e la vecchiaia, con la bocca piena di spilli, le mani
di gessetti e forbici, gli occhi di vuoto. Quando tornava dall'ufficio erano
ancora lì. Quando andava al cinema con Amalia, al secondo spettacolo, erano
ancora lì. Quando tornava, non c'erano più.
"Ma non avranno una casa?" diceva Amalia.
"Niente moglie, né figli o nipoti? Niente gatti? Piante da bagnare?
Sapranno che esiste la televisione? Quasi quasi domani glielo chiedo".
"Se lo fai ti picchio. Guai a te se spingi quella
porta".
"Basta aspettare la primavera, che la tengono
aperta. Ci sarebbe la tua giacca di tweed verde, ti ha sempre fatto difetto
sulla spalla..."
Era una sartoria da uomo. Veramente era un
bugigattolo, arredato con un manichino coperto di mezze giacche e brani di
cappotti, la macchina da cucire, due sedie e un tavolo non più grande di un
banco di scuola. Le pareti erano gialline, dal soffitto pendeva una lampadina
senza paralume, però da cento watt. I due sarti non si parlavano mai, ma
lavoravano in continuazione.
C'era una cosa che Luigi non capiva. In sette anni che
abitava di fronte alla bottega, non vi aveva visto un cliente.
Un sabato mattina che faceva la spesa, interrogò il
macellaio di fianco.
"Lei si serve alla sartoria qui vicino? Sono
bravi?"
"Quale sartoria?"
"Quella tra l'antiquario e il bar Castello".
"Sa che non l'ho notata? Non esco mai di bottega,
quando chiudo sono di fretta".
I figli di Luigi, Marcella e Vittorio, portavano solo
giubbotti, jeans, minigonne e T-shirt che appena si scucivano erano da buttare.
Amalia, impiegata al Comune, cucinava scatolette e surgelati dal lunedì al
venerdì, lasagne al forno e melanzane alla parmigiana. Gli avanzi li dava al
gatto. Non le piaceva tanto scopare, ma si sforzava di gemere e muovere le
anche per fare contento Luigi. Nello stesso tempo, faceva attenzione che i
ragazzi non sentissero suoni strani provenire dalla stanza da letto.
Una sera Luigi non tornò a casa dal lavoro. Verso le
nove, quando già la famiglia agitatissima aveva interpellato ospedali e
carabinieri, telefonò da una cabina. Si sentiva il traffico in sottofondo.
"Chiamami tua madre," disse a Marcella che
rispose con il fiato corto.
"Luigi, dove sei? Cazzo ti è successo? Sono fuori
di me dall'ansia".
"Sto benissimo, non ti preoccupare. Non tornerò
più a casa. Ho un'altra donna, vado a vivere con lei. Ti farò telefonare dal
mio avvocato".
"LUIGI!!!"
Luigi si era innamorato della cassiera del bar
Castello. Si trasferirono in un'altra città, dove c'era una filiale della ditta
in cui lui lavorava. Lei, che aveva un po' di soldi, aprì un'erboristeria. Due
anni dopo ebbero una bambina che chiamarono Veronica. La separazione, e poi il
divorzio, gli costarono un sacco di soldi.
I sarti non c'entrano niente, ma erano lì a lavorare
prima, durante e dopo il misfatto. Se è per quello, sono ancora lì.
Mario e Benedetta, contemporaneamente.
Mario insegna fisica all'università e vuole molto bene
a Benedetta, dietologa d'ospedale. Hanno un figlio solo, Giorgio, che sta
facendo un master in economia all'MIT e vive con una ragazza cambogiana, ex profuga
e brillante analista di mercato.
Ora, Mario ha una profonda crisi esistenziale. Scopre,
lui marxista positivista materialista da sempre, che le convinzioni che hanno
sorretto tutta la sua vita non gli bastano più. Di nascosto comincia a
frequentare un gruppo di meditazione di cristiani sconcertati, un po' buddisti,
un po' mistici, un po' bahai, un po' arancioni. È molto gratificato dal fatto
che la sua formazione scientifica gli dà autorità. A ogni questione teorica
viene interpellato. A lui piace dire che non ha risposte, invece ne ha sempre
una pronta.
Benedetta non vuole tanto bene a Mario. Gli serba
rancore per la freddezza sessuale, per la spocchia maschile, per le garbate
prepotenze della vita coniugale. Comunque, è suo marito. Però c'è una sua
collega giovane, o almeno abbastanza giovane, che le si appoggia in tutto, la
cerca, la corteggia. Perché no? Benedetta sperimenta un rapporto omosessuale.
La scoperta la sconvolge. Forse tutta la vita ha desiderato proprio questo, e
adesso non vuole rinunciarci.
Mario decide che ha bisogno di un periodo di ritiro
nella casa centrale della setta, in Himachal Pradesh, India del nord.
Benedetta decide di andare a vivere con l'amica, nel
suo grazioso appartamento di semiperiferia.
Mario non vuole far del male alla moglie.
Benedetta non sa come dirlo al marito.
Mario dà le dimissioni, mette a posto tutti i suoi
affari, versa un sacco di soldi sul conto comune. Torna a casa a metà
pomeriggio, fa i bagagli, manda un'email alla moglie. "Dillo tu a Giorgio,
vi voglio bene," è l'ultima frase. Se ne va stringendo passaporto e
biglietto d'aereo tra le mani sudate.
Benedetta torna a casa poco dopo. Non entra nello
studio, fa i bagagli con cura, bagna le piante, butta via gli avanzi del frigo,
lava la vasca da bagno e fa una lavatrice con le lenzuola del letto coniugale.
Lascia un foglio in bella vista sul tavolo di cucina. "Dillo tu a Giorgio,
non tornerò," è l'ultima frase. Uscendo, non dimentica di inserire il
sistema d'allarme.
Nell'appartamento abbandonato il computer acceso ronza
dolcemente, lo schermo ormai nero per il risparmio energetico. Le piante dopo
qualche giorno penzolano assetate, il biglietto in cucina si copre di polvere.
Le tarme svolazzano, gli scarafaggi escono da sotto al lavello, il frigo puzza.
Ogni tanto il telefono squilla. La segreteria risponde cortesemente: "Non
siamo in casa, ma se volete lasciare un messaggio, vi richiameremo. Parlate
dopo il segnale acustico. Grazie!"
Camilla, per distrazione.
Una mattina Camilla, moglie di un politico affluente e
telegenico, uscì di casa per andare dal pedicure. Al ritorno si accorse che
aveva dimenticato le chiavi.
"Guardi che io ne ho una copia," disse la
portinaia, solerte.
"Scherza?" rispose Camilla.
Mollò la spesa davanti alla porta, e sparì.
Fortunatamente si era ricordata di prendere la carta di credito e il libretto
degli assegni.
Stefano e Silvia, insieme, felici.
Un matrimonio d'amore come quello di Stefano e Silvia
non s'era mai visto. Belli, giovani, sensuali e fortunati, scopavano come ricci
dalla mattina alla sera nei giorni di festa e dalla sera alla mattina durante
la settimana. Stefano, idraulico, guadagnava bene, e Silvia, estetista, non era
da meno. Quando giunse il primo figlio ebbero un premio dalla Nestlé per il
neonato più bello e grosso dell'anno. Lo chiamarono Kim. La seconda, Giada, fu
esibita alla trasmissione televisiva "Cuccioli allo sbaraglio", ma
non passò la prima selezione. Dalla rabbia, Silvia fece causa a Mediaset, e la
vinse, dimostrando che quel giorno Giada aveva il raffreddore. Nacque ancora un
terzo figlio, Oronzo come il nonno paterno, affettuosamente detto, in famiglia,
Zorro dai genitori e Stronzo dai fratelli.
Stefano e Silvia continuavano a scopare, con qualche
precauzione in più. Tre figli erano tanti da allevare. Crescendo, i bambini
dettero qualche problema. Giada, figlia mezzana, soffriva di enuresi notturna.
Kim rubava tutto quello che gli capitava a tiro, dalle merendine dei compagni
ai soldi nella borsa della madre. Zorro picchiava gli amichetti all'asilo e
toccava le bambine in punti delicati. I genitori, incolti ma informati,
consultarono psicologi, assistenti sociali, maghi e santoni, ottennero
un'udienza privata dal papa per fare benedire i figli, tentarono un esorcismo
con un monsignore africano, parteciparono a "La vita in diretta" per
narrare la propria odissea. Niente da fare. Raggiunta l'adolescenza, Kim si
drogava, Giada si prostituiva e Zorro frequentava un vecchio pedofilo
affettuoso.
Stefano e Silvia si erano conservati giovani, malgrado
le traversie. Continuavano a guadagnare bene. Amavano i figli, ma avevano
voglia di scopare in pace senza doversi interrompere continuamente per correre
in questura o alle Molinette a ricuperare l'uno o l'altro.
La sera in cui Zorro compì quindici anni, dopo il taglio della torta, i
due coniugi baciarono i tre ragazzi, consegnarono a ognuno un assegno non
trasferibile, scrissero a pennarello il numero di telefono dei nonni sulla
tappezzeria dell'ingresso, e se la filarono all'inglese. Ora lavorano in un
villaggio vacanze di Grenadine, dove Silvia trucca e depila le turiste, mentre
Stefano si occupa della manutenzione degli impianti idraulici. Vivono in un
bungalow con il tetto di foglie di palma, bevono daiquiri e margaritas, ballano
tutte le sere sotto una tettoia decorata con festoni di lampadine e scopano,
scopano moltissimo, non sempre insieme. Si sono fatti sterilizzare entrambi.
Non telefonano mai a casa, e hanno cambiato le schede Sim dei loro telefonini.
1 commento:
Mooolto belli, specialmente Mario e Benedetta. C'è qualcosa di Parise nel tono dei tuoi racconti.
Massimo
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