lunedì 16 aprile 2012

Non prendetemi alla lettera


                       

         Non me ne sarei mai accorto se non fossi stato disturbato da un leggero raschiare che mi fece sollevare lo sguardo dal giornale. Mi caddero gli occhi a terra e prima che riuscissi a riacchiapparli finirono sotto il divano dov’era acquattato un topolino.
I topi in casa mi danno un gran fastidio, mi deprime il senso di sciatteria e sporcizia che si tirano dietro nelle loro rapide fughe, come la purea di patate e il pollo bollito che mi facevano mangiare da bambino quando avevo l'influenza. Sinceramente avrei preferito non vederlo.
Mi chinai a raccattare a tentoni i miei begli occhi dall'iride azzurro mare, la cornea bianca come la panna, appena appena venati di rosso sul dietro, e me li rinfilai con cura nelle orbite. Anche questa era una cosa che mi irritava: tutto quel vorticare di coglioni dentro ai pantaloni, quel cuore che mi sanguinava o si metteva a piangere attraverso il petto, quel trovarmi ogni sorta di oggetti sulla punta della lingua quando cercavo una parola, mi stancava. Per questo avrei voluto avere un corpo un po' meno letterale, capace di riconoscere una metafora quando la incontrava, ma non c'era niente da fare, ero sempre stato così fin dall'infanzia. Prendevo tutto alla lettera, ero troppo serio, me lo diceva sempre mia mamma buonanima. Mi era rimasto un velo di polvere sulle pupille che fluttuava alla corrente d’aria. Decisi che avrei finalmente licenziato Rosa, la donna delle pulizie: era diventata davvero troppo trascurata.
Prima di uscire mi diedi una spolveratina agli occhi e sistemai una trappola con l'esca avvelenata sotto al letto. Niente pietà per il topolino di città. Avevo un appuntamento con Valeria, la mia nuova fidanzata, e speravo di riuscire a portarla su quel medesimo letto di lì a poco.
Non mi ero reso conto che la temperatura era calata e appena fui in strada, con la mia leggera giacca di canapa sulla maglietta a maniche corte, mi coprii di pelle d'oca. Gialla, grassa, spessa, irta di peluzzi e piumette, sporgeva dai polsi della giacca e dallo scollo della maglietta in maniera veramente fastidiosa, ma non avevo tempo di tornare a casa a cambiarmi. Per fortuna Valeria mi aspettava in un bar dove faceva un bel caldino.
"Ciao amore," mi salutò lei, con un sorriso che avrebbe fatto arrapare un merluzzo surgelato. Un sorriso che allargava il cuore, ed ecco che il mio cuore si allargò tanto da deformare la maglietta, tump tump tump, pulsando indiscreto fuori dalla giacca. Mi detti un pugno sul petto per rimettere ordine e le sedetti accanto.
Non mi ci volle molto per convincerla a venire a casa mia. Stretti stretti, la mano nella mano, salimmo le scale fino al mio appartamento. Per fortuna, non avevamo gli occhi negli occhi, non so se sarei stato in grado di districarli.
La trappola era ancora vuota, me ne assicurai mentre Valeria era in bagno per un ultimo veloce controllo alle sue grazie. Mi spogliai e mi infilai sotto le lenzuola, in ansiosa attesa. Lei giunse leggera e bellissima, nuda come la verità.
"Ti amo," disse in un soffio, mentre le sue mani si spingevano lungo il mio corpo in curiosa esplorazione. Io mi limitai a un "Ah" molto sentito ed espressivo. Il linguaggio dell'amore è pieno di trabocchetti per un corpo privo di sensibilità metaforica.
Più tardi, seduti al tavolo di cucina davanti a una tazza di tè, ci guardammo tenendoci per mano. Avevo finito lo zucchero, ma il tè mi parve dolce lo stesso.
"Ti amo," disse Valeria. Non aveva una conversazione brillante.
"È stato bellissimo," aggiunse.
"È stato fantastico," dissi io. Neanche la mia conversazione era brillante, ma bisogna considerare il fatto che ci conoscevamo appena. Non sapevo quasi niente di lei, a parte il fatto che guardandola mi veniva in mente una cosa sola.
Si alzò aggiustandosi la gonna che le era scivolata su per le cosce.
"Mi accompagni a casa?"
"Certo, tesoro. Aspetta solo che mi infilo un pullover".
Mentre ero in camera da letto suonò il campanello della porta.
"Apri tu," gridai, affaccendato a scegliere un golf che stesse bene con i miei occhi.
Sentii un mormorio di voci femminili e mi affrettai ad andare a vedere chi era arrivato. Era Marianna, la mia ex fidanzata, che mi faceva una brutta sorpresa. Solo che lei non sapeva ancora di essere ex.
Mi guardò con occhi pieni di lacrime.
"Sono due settimane che aspetto una tua telefonata. Ti ho lasciato decine di messaggi sulla segreteria. Adesso ti trovo con una donna. Che cosa succede, Francesco? Che cosa ti ho fatto per essere trattata così?"
Mi sentii improvvisamente una merda, e non fu piacevole per nessuno dei tre, ve lo assicuro. Fortunatamente il topo scelse proprio quel momento per uscire dalla camera da letto (si doveva essere goduto tutto lo spettacolo, quel piccolo guardone) e attraversare il corridoio sfiorando i piedi di entrambe le ragazze.
"Francesco!" gridò Valeria.
"Francesco!" gridò Marianna.
Tanto bastò perché mi sentissi nuovamente uomo, e afferrata una scopa mi esibii di fronte alle due terrorizzate fanciulle in una caccia che più maschia non si poteva. Alla fine, vincitore, afferrai il topolino tramortito per la coda sottile e lo feci dondolare davanti ai loro occhi. Loro si guardarono, facendo una smorfia speculare.
"Che crudeltà," disse Marianna.
"Che schifo," disse Valeria.
Mi sforzai di resistere con tutte le mie forze, cercai di pensare a come si comportavano le due stronzette in certi momenti intimi, mi ripetei una te la sei appena scopata, l'altra piangeva per te dieci minuti fa, ma non potei fare a meno di sentirmi un gran coglione. Il guaio era che non ero solo, e le squinzie che assistevano allo spettacolo lo trovarono molto ridicolo.
Ridendo come matte, ma in pieno possesso delle loro facoltà mentali, Valeria e Marianna se ne andarono sottobraccio. Io rimasi solo con il topo che si riprese subito e mi lanciò uno sguardo velenoso prima di infilarsi in cucina. Poco dopo sentii il rumore fastidioso e insolente dei suoi dentini che sgranocchiavano i biscotti nella scatola sulla tavola.
Quando riuscii a riprendermi andai in cucina a preparami qualcosa da mangiare. Le emozioni mi fanno sempre venire fame. Il topo schizzò via senza degnarmi di un'occhiata. Mi sentivo uno straccio, e questo mi rese molto difficile manovrare pentole e fornelli. Comunque, alla fine riuscii a cucinare due uova al burro.
Non avevo sonno, per cui mi misi davanti alla televisione nel tentativo di distrarmi dall'umiliazione. C'era un programma che di solito mi appassionava, una specie di salotto dove un gruppo di persone confessava le sue più riposte e vergognose depravazioni, ma non riuscivo a seguire il cicaleccio. Nessuno mi sembrava più abbietto di me. Un paio di volte mi sciolsi in lacrime, e non fu facile ricompormi. Alla fine andai a letto con un libro, ma dal gran piangere avevo la testa in fiamme e dovetti perdere più di mezz'ora per spegnere l'incendio del cuscino e pulire il pasticcio che avevo combinato. Non volevo addormentarmi subito perché avevo il cuore in gola e rischiavo di soffocare nel sonno. Mi infilai due dita nella strozza per rimetterlo al suo posto, con il risultato che mi venne immediatamente da vomitare. Chino sul water, scosso dai conati, avevo un solo pensiero in testa:
"Non devo vomitare anche l'anima!"
Finalmente mi addormentai e dormii un sonno di piombo. C'è da stupirsi? La mattina dopo avevo tutte le ossa rotte, un sapore schifoso in bocca e un principio di avvelenamento. Strisciando sul pavimento, mi trascinai fino in cucina per bere un po' di latte come antidoto. Quando riuscii a tenermi dritto sui femori rinsaldati e riprendere il controllo di falangine e falangette, cancellai con molta cura i numeri di telefono di Valeria e Marianna dalla mia agenda. Dopo mi sentii più leggero. In effetti, pesandomi sulla bilancia del bagno, vidi che ero calato di quindici chili.
Però in quel lontano giorno di primavera mi sono fatto una promessa che non ho mai più infranto: ricordarmi sempre di lasciare una fidanzata prima di farmene una nuova.


 


6 commenti:

Massimo Citi ha detto...

Delizioso. Inevitabile pensare che i tre bipedi siano altrettanto idioti e schierarsi dalla parte del topino. Il che, se non sbaglio, è esattamente nell'intenzione dell'autrice.

consolata ha detto...

Sai che per i topi ho una certa simpatia... la mia prima pubblicazione è "Per amore di un topo".
Ciao Max, come va? come sono andate queste prime settimane? che fai di bello? Stamattina sono andata al mercato di piazza Madama Cristina e il pensiero che ormai è diventato una meta e non più una tappa nel tragitto verso la CS mi ha fatto un po' stringere il cuore (eccedo in metafore, data l'occasione). Spero di vederti, vedervi, presto. Smack

Massimo Citi ha detto...

Ciao Conso! Va discretamente, un po' preso tra i cascami dell'attività ormai defunta e i giri paraburocratici per recuperare un assegnuzzo di disoccupazione. Un incubo, per farla breve. Non appena sarò uscito da questo purgatorio sarà felicissimo di vederti. Sempre che non mi capiti di passare dalle tue parti...

Unknown ha detto...

Divertentissimo. Le metafore prese "ala lettera"mi hanno fatta ridere un sacco. Brava!

Unknown ha detto...

Alla lettera

consolata ha detto...

@chiara: grazie mille del feedback! non mi ricordavo più di questo antichissimo raccontino... certo ridere sulle metafore è un gioco un po' facile, ma è sempre divertente. Felicissima di esserti piaciuta, e grazie ancora.