Ho ritrovato questo testo, scritto alcuni anni fa con uno scopo che poi si è perso per strada. Siccome parla di libri, e del mio rapporto con i libri, ho pensato di pubblicarlo qui a puntate. Questa è la prima. L'argomento è molto personale e probabilmente poco interessante, ma forse qualcuno potrà riconoscersi in qualche passione condivisa.
LEGGERE PER VIVERE – 1
La meraviglia dei libri, secondo me, è che sono fatti di parole. Senza mattoni né pietre né cazzuola né malta, senza effetti speciali né facce bellissime di attori né technicolor, parola dopo parola, aprono mondi e ti portano via, dove vogliono loro. Cattedrali di parole sontuose o ignobili, fresche o vecchie come il mondo, non hanno limiti legati ai materiali di costruzione, dicono quello che vogliono e tacciono quello che non gli interessa. Con la minima spesa possono tutto, e anche se oggi viviamo nell’età dell’immagine, rimangono il regno inarrivabile dell’economia fantastica. L’immaginazione esiste anche senza l’immagine, e prospera grazie alla parola.
Non riesco a ricordare la mia vita prima dei libri. Mio padre aveva l’abitudine, quando ero piccolina, di raccontarmi l’Iliade a puntate, dalla parte dei Troiani. Rimasi sbalordita quando ritrovandola a scuola, in prima media, scoprii che in realtà i Greci erano gli eroi, e non quegli invasori maleducati di cui mi ero fatta l’idea.. Più tardi cominciò a leggermi Salgari a voce alta, forse anche Cuore che non lessi mai. Poi c’erano i libri illustrati, certi grossi volumi con storie un po’ noiose ma figure stupende, luccicanti e precise, “perché sono fatte con il bianco d’uovo”, ricordo che diceva. Chissà che cosa significa. Mi faceva anche fare lunghi viaggi sugli atlanti: viaggi a puntate, oggi andiamo dall’Italia alla Grecia, domani arriviamo in Persia, poi in India. Di ogni paese mi raccontava tutto quello che sapeva, lui che aveva viaggiato pochissimo e si era fatto le sue conoscenze sui libri. Ecco, non riesco a scindere i libri dal viaggio. Sono stata una viaggiatrice abbastanza precoce e baldanzosa per i tempi, continuo a esserlo malgrado la deprimente globalizzazione e le tristezze portate dal turismo di massa. Ogni luogo che ho visitato mi mostrava una faccia che aveva lunghe, forti radici nelle letture fatte quando non sapevo neppure che i luoghi di cui leggevo fossero reali, raggiungibili, gremiti di persone vive. Di questo, lo so per certo, sono responsabili mio padre e la sua biblioteca.
A casa mia c’erano due biblioteche: una vera, il regno di mio padre, una grande sala con un tavolo al centro e intorno armadi a vetri, e un’altra per bambini, composta da uno scaffale rosso pieno di libri squinternati nella stanza dove studiavo e giocavo – i libri brutti, e un armadio di legno scanalato, scrigno di meraviglie inenarrabili, nell’anticamera al primo piano – i libri belli. Siccome sono l’ultima di cinque figli, molto più giovane dei miei fratelli, questa seconda biblioteca era il mio libero terreno di caccia. Ho potuto usufruire dell’eredità di quattro bambini, più quelli che mi appartenevano davvero, un territorio praticamente infinito da cui forse non sono mai uscita. Per vicende varie i libri della mia infanzia per me sono persi, tesori sepolti che so esistere ma di cui non ho la mappa. Frequentando i mercati dell’usato sto raccogliendone alcuni con fatica. Ogni tanto ho qualche emozione felice, esaltante, quando sollevando un volume qualsiasi scopro uno dei miei amici perduti. Lo vivo come un miracolo, il segno di un destino che di colpo mi sorride contento, sapendo di farmi un grandissimo favore. Ancora ne desidero molti, ma ormai ho la speranza di imbattermi in loro prima o poi, quando meno me lo aspetto, in certi giorni fausti per congiunzioni astrali che non conosco e in cui non credo, ma agiscono di sicuro indirizzandomi al banchetto giusto.
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