Che bella raccolta di racconti questi Notturni di Kazuo Ishiguro! Mi hanno
riconciliato con l’autore che, devo dire, con Non lasciarmi mi aveva tirato un colpo basso. Qui ci sono cinque
storie che si dipanano intorno alla musica e alla difficoltà dei rapporti tra
uomo e donna. Alla fragilità dei matrimoni. Alla differenza tra ciò che siamo e
ciò che crediamo di essere, tra ciò che vogliamo e ciò che riusciamo a essere.
Alle parole che sprechiamo nell’illusione di dirci qualcosa.
E malgrado gli
argomenti sono anche molto spassose, il tono è leggero e distaccato, gli
ambienti tratteggiati in modo vivido, i dialoghi naturali. Pensare che Ishiguro
è uno dei pochi autori che sia riuscito a farmi lacrimare, per di più in luogo
pubblico, cosa di cui mi sono vergognata caldamente e che non gli perdono
tanto. Per la cronaca si trattava del finale di Quel che resta del giorno, io ero seduta in un caffè all’aperto di
Diafani, nell’isola greca di Karpathos, c’era parecchia gente in giro e gli
occhiali neri non sono bastati a nascondere le lacrime che mi gocciolavano giù.
Altri suoi libri, a parte il già citato Non
lasciarmi sul quale mi astengo, non mi hanno colpita particolarmente e me
li ricordo poco.
Nel primo racconto, Crooner,
un musicista di un’orchestra da caffè in Piazza San Marco a Venezia incontra un
famoso cantante giunto a una svolta nella sua carriera, e impara che certe
volte nemmeno l’amore basta a tenere insieme due persone. Come rain or come shine è l’esilarante e malinconica fotografia di
un matrimonio che si barcamena tra disperazione e incapacità di vedere più in là
del proprio naso, e di un’amicizia altrettanto miope, rassegnata e bislacca. In
Malvern Hills troviamo di nuovo una
coppia di sposi vista attraverso gli occhi di un musicista distratto e
egocentrico, che preferirebbe molto non sapere niente di quello che è costretto
a ascoltare. Notturno è la più
bizzarra, e anche la mia preferita: un musicista abbandonato dalla moglie si
sottopone a un’operazione assurda, trascorre la convalescenza in un albergo di
gran lusso, incontra un’attrice squinternata ma il suo testardo rifiuto di accettare
la realtà disperde quel po’ di calore che si era creato tra di loro. In Violoncellisti un suonatore da caffè
racconta la storia di un’altra stralunata coppia di musicisti, un giovane
ungherese e una matura americana, che nasconde una sorpresa di quelle che fanno
ridere e lasciano un po’ d’amaro nel cuore.
Bei racconti, ripeto, capaci di
mantenersi sul filo del rasoio di una narrazione distaccata eppure di sottile
pathos. Bella traduzione di Susanna Basso.
(pubblicato su questo blog il 7/3/12)
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