Questo post mi serve per fare un esperimento: ho
notato che certe parole nei titoli fanno crollare le letture, e quindi ho
evitato di utilizzare il nome del paese di cui si parla, che appare solo
qualche riga più in basso.
Quest’estate sono stata in Albania, e la maggiore difficoltà che ho incontrato è la mancanza di una guida affidabile. Ne avevamo una, di Gillian Gloyer, ma era assolutamente incompleta e sovente imprecisa. A onor del vero devo confessare che, avendola comprata su internet, ci è arrivata in spagnolo e può essere che un po’ della precisione sia sparita passando attraverso troppe lingue. Comunque, l’unica cosa che ho trovato a Torino è questo libro, Hotel Albania. Viaggi, emigrazione, turismo che si è rivelato una lettura preziosa oltre che molto interessante. Francesco Vietti, l’autore, è dottore di ricerca in antropologia culturale, ha compiuto ricerche sul campo nei Balcani e nei paesi dell’ex Unione Sovietica, e si è occupato in particolare delle badanti provenienti dalla Moldavia. In questo libro affronta l’intreccio tra l’emigrazione e il turismo in Albania, e nelle sue pagine ho trovato molte informazioni e osservazioni che hanno completato e illuminato il mio viaggio.
Prima di tutto la consistenza e la natura dell’immigrazione albanese in Italia, ancora pesantemente condizionata nell’immaginario mediatico e individuale dai grandi sbarchi degli anni ’90, a cominciare dalla Vlora (agosto ’91) con i suoi ventimila maschi disperati. Ora tutto è cambiato e l’emigrazione albanese in Italia è caratterizzata dalla presenza di nuclei familiari ben inseriti, ben distribuiti e sufficientemente benestanti da dare origine a un fiorente turismo di ritorno, con tutte le conseguenze che questo comporta. L’Albania ha una superficie modesta, 28 mila chilometri quadrati, poco di Piemonte e Liguria,e una popolazione di 3 milioni 6000mila abitanti, meno degli abitanti del Piemonte; negli ultimi vent’anni (tra il 1991 e il 2011) è emigrato oltre un milione di cittadini, pari al 25 per cento della popolazione (romeni e marocchini all’estero si fermano a circa il dieci per cento della popolazione complessiva). Oltre all’ondata di sbarchi sulla costa pugliese dell’estate 1991 in corrispondenza al crollo del regime comunista, un picco di migrazione si registra nel 1997, in seguito al crollo delle “piramidi finanziarie” che portarono alla rovina tanti cittadini che vi avevano investito tutto, e a un’ondata di violenze e distruzioni le cui conseguenze si vedono ancora adesso. “A vent’anni dai primi arrivi, nonostante i meccanismi di stigmatizzazione e di esclusione messi in atto dalla società italiana per almeno un decennio, l’immigrazione albanese in Italia può essere definita per molti aspetti una “migrazione riuscita” […] sono oggi il gruppo più numeroso di stranieri non-comunitari residenti in Italia, con oltre 482 mila presenze, secondi in assoluto solo ai romeni(ISTAT, 2010). Tra il 1994 e il 2009 la percentuale di donne è salita da poco più del 20 per cento al 45 per cento del totale, così come la percentuale di uomini sposati è salita dal 22 al 47 per cento, e quella degli uomini con figli dal 7 al oltre il 20 per cento. 92000 gli studenti di origine albanese nell’anno scolastico 2008-2009, con una grande uniformità di diffusione sul territorio nazionale. Ora, dopo quindici anni, in realtà è il turismo, di ritorno e delle aree circostanti, Kosovo, Montenegro, Bosnia e Macedonia, oltre che il grande flusso delle rimesse di chi lavora all’estero, che ha cambiato totalmente l’aspetto del paese, in particolare le coste.
Oltre a ricostruire la storia dei viaggi in Albania nel tempo ottomano (dove spicca Edward Lear, proprio quello dei limerick, che la visitò intorno al 1850 lasciando bellissime illustrazioni di città, bazar e persone), i complessi rapporti con l’Italia e il fascismo, le strutture e i flussi del turismo nell’epoca comunista, Francesco Vietti si sofferma su due interessantissimi “casi”: un viaggio compiuto insieme a un gruppo di ragazzi di origine albanese residenti a Torino, alcuni nati in Italia altri giunti da pochi anni, e quello del villaggio di Ksamil, nel sud del paese. Entrambi sono estremamente significativi. L’itinerario dei ragazzi era più meno lo stesso che ho seguito io, e mi ha molto divertito trovare conferma a abitudini notate in loco, come il xhiro, cioè il giro, struscio serale molto importante per residenti e turisti di ritorno.
Infine due parole sul viaggio. Quando quest’estate mi chiedevano dove sarei andata e quando rispondevo “In Albania”, la reazione era invariabilmente un silenzio imbarazzato. Al ritorno, la domanda era solo: “Ti è piaciuta? È bella?”. Un vero peccato, ma bisogna ammetterlo: in Italia, l’Albania rievoca l’idea di delinquenti, prostituzione, furti, insomma un classico “Mamma li albanesi”. Non è così evidentemente per tutti, perché abbiamo incontrato parecchi turisti di altri paesi europei, oltre ai tantissimi turisti di ritorno. E non dirò se è bella, o se mi è piaciuta. Dirò che è un viaggio che vale assolutamente la pena di fare, che ci sono posti bellissimi come l’Occhio Azzurro, Gjirokaster o Berat, Butrinto, Bylis, città gradevolissime come Scutari, Durazzo, Körce, e vere sorprese come Tirana, laghi struggenti e fortezze magnifiche, gente che guida come pazzi furiosi, strade orrende e pericolose, ottima cucina (italiana), alberghi di tutti i tipi, alcuni davvero di gran livello e tutti molto dignitosi, gente gentilissima e pronta a aiutare, indicazioni stradali carenti e nessuna informazione turistica, impossibilità di avere notizie sulle strade, prezzi ottimi, acqua di mare fantastica, birra a fiumi, bar, birrerie e caffè strapieni e allegri, ecc ecc.
Soprattutto, un paese pieno di storia e storie a due passi da noi, che sarebbe una vera vergogna trascurare perché gli ultimi contorcimenti della storia lo hanno trasformato in un mistero e in uno spauracchio. Dove tornerò di sicuro perché ci sono posti che non ho ancora visto e voglio vedere assolutamente. Forse è meglio evitare luglio e agosto se volete andare sulla costa, credo che sia veramente affollata. A settembre, una spiaggia del sud si presentava così.
Anilda Ibrahimi, Non c'è dolcezza
oppure Rosso come una sposa.
3 commenti:
L'articolo è molto interessante e l'avrei comunque letto anche senza l'escamotage del titolo :-)
Ammetto che pur non soffrendo particolarmente di idiosincrasie anti-albanesi, non subisco granché il fascino dell'Albania e in generale tutto l'Est Europeo.
Ognuno/a ha i propri Paesi "d'elezione", diciamo così (spesso "l'elezione" è solo nella nostra testa... anzi quasi sempre! ^__^) e i miei stanno in altre parti del mondo.
Però devo dire che non sei la prima persona che sento ad aver apprezzato una vacanza in Albania.
Come sempre, leggere il tuo blog (oltre che i tuoi libri... delle cui edizioni in e-book attendo notizie, neh!) è sempre molto piacevole ed interessante :)
Un caro saluto.
Ciao a te! mi fa sempre un grandissimo piacere avere un riscontro ai mei post. Ti dirò che anch'io non ho particolare feeling con l'Europa dell'est, le mie patrie sono l'India, la Grecia e l'Anatolia, ma l'Albania mi ha sempre incuriosita tantissimo per il suo isolamento - mi ricordo quando andavo in Grecia in macchina, non ti dico in che anni perché mi vergogno di quanto sono vecchia, ma si passava vicino all'Albania, se si arrivava dalla Croazia si faceva il periplo del lago di Scutari, e si sognava che cosa poteva esserci dietro quelle acque scure... erano trecento chilometri ma bisognava fermarsi a dormire a metà perché le strade erano sterrate e in condizioni tremende, si incontravano pastori e viandanti vestiti nei costumi locali, Montenegro, Kosovo e Macedonia erano davvero posti esoticissimi. Io sono molto viaggiatora e mi interessano più i posti che i bei posti, per cui il viaggio in Albania mi ha interessato tantissimo. Poi che piaccia o no è un altro discorso, secondo me meno importante.
Per i libri ti rispondo in privato su fb. Ciao.
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