lunedì 5 ottobre 2020

La morte è femmina, capricciosa e irrazionale: José Saramago, Le intermittenze della morte

   Questa è l'unica immagine sorridente che ho trovato di José Saramago,

scrittore che amo moltissimo fin dal lontano 1984 in cui fui folgorata dalla lettura del Memoriale del convento. Chissà perché nelle altre è sempre ingrugnato, in fondo nella sua lunga vita gli è andata piuttosto bene, riconoscimenti e amore non gli sono certo mancati. Questo Le intermittenze della morte l'avevo scaricato da un bel po' ma se ne stava zitto e fermo nel mio kindle, con la sua copertina piuttosto respingente e quel titolo un po' così, finché è finalmente venuto il giorno giusto per leggerlo. E ho verificato che non c'era motivo per la mia diffidenza. 

La morte non è un argomento attraente, e tutto quello che ci sta attorno tocca punti dolorosi, sia che la contempliamo nello specchio sia che la vediamo strisciare subdola accanto a noi. Eppure questo libro è tutto meno che deprimente, forse perché della morte si parla sempre come in un resoconto, con distacco, non ci sono personaggi definiti (tranne due, che però non hanno niente di emotivo e non permettono al lettore di identificarsi), non ci sono nomi, insomma l'aspetto narrativo così come siamo portati a immaginarlo manca quasi del tutto. Lo stesso modo ben noto di raccontare di Saramago, il suo uso personale della punteggiatura, l'eliminazione dei segni del dialogo e i paragrafi fluviali, tutto contribuisce a creare una sensazione di irrealtà o di distacco dalla realtà, di modo che il concetto stesso di morte si diluisce nel flusso alluvionale delle parole. 

Lo spunto iniziale è che la morte smette di fare il suo lavoro. Di colpo, senza motivi apparenti, più nessuno muore nel paese indefinito in cui la vicenda si svolge. Chi non muore rimane come in bilico tra i due mondi, l'aldiquà e l'aldilà, ma i problemi che si creano di conseguenza sono squisitamente pratici: le agenzie di pompe funebri rimangono senza lavoro, gli ospedali sono intasati, le famiglie si trovano ad affrontare un carico intollerabile, si crea una nuova mafia detta "maphia" che si occupa del problema portando i morti al di là del confine, dove rendono immediatamente l'anima a dio... insomma, lo sciopero della morte viene visto esclusivamente dal punto di vista pratico, senza derive filosofiche o sentimentali. 

Nella seconda parte compaiono i due personaggi che dicevo, uno naturalmente è la grande protagonista, l'altro un anonimo violoncellista. Non voglio fare spoiler anche se questo romanzo certo non si affida alla suspance, ma posso dire che forse questa coda di vicenda è un po' meno convincente della parte più distaccata, più algida, in cui la voce narrante parla sempre al plurale dei personaggi senza nome. E' come se la prosa trascinante di Saramago, in cui proprio la mancanza di a capo, di punti fermi, spinge a una lettura continua e avvolgente, soffrisse di un rallentamento che induce anche a farsi domande sul perché delle vicende, che in fondo sono del tutto fuori luogo e inutili. Per godere di questo romanzo che non appassiona ma convince fino in fondo, bisogna lasciarsi andare alle parole, godere della grande padronanza dell'autore su lingua e fantasia, lasciare le redini in mano all'immaginazione e alla maestria. Un romanzo che mi sento di raccomandare senza esclusioni, ma che certamente richiede un lettore un pochino sofisticato, privo di impazienze e capace di fidarsi dell'autore.     

2 commenti:

Orlando Furioso ha detto...

Mi sono fermato a leggere il tuo scritto subito prima della trama: ho comprato il libro da poco e non l'ho ancora letto, non volevo rovinarmi eventuali sorprese :-)
Ho conosciuto l'autore recentemente, nei primi Anni 2000 con "La Caverna", libro che - seppur so giudicato non tra le sue opere migliori - mi ha completamente stregato!
L'ho adorato e credo che prima o poi lo rileggerò.
Sono seguiti immediatamente Memoriale del Convento, che ho trovato lungo e difficile, ma mi è piaciuto lo stesso tantissimo. Poi mi hanno regalato Cecità, che non ho ancora letto. Poi ci sono stati i vari Vangelo di Caino e poco altro. Ha avuto su di me lo stesso effetto che ebbe Kundera anni fa quando lessi L'insostenibile leggerezza ecc. ecc., cioè voglia di leggere TUTTO di quell'autore.
Ciao, a presto!

consolata ha detto...

Sono felice che anche tu abbia incontrato Saramago. Per me è stato fondamentale, un impasto di amore e ammirazione. Un piacere grande leggerlo. L'anno della morte di Ricardo Reis, La storia dell'assedio di Lisbona, altri che ora non ricordo distintamente, ma sopra tutto Il memoriale del convento. Anche Una terra chiamata Alentejo, anche se è molto più tradizionale e forse una parte del piacere di leggerlo derivava anche dal fatto che in quegli anni sono stata parecchie volte in Portogallo. Comunque Saramago è davvero un'esperienza, e quello che è straordinario è che il suo modo di scrivere così particolare, immediatamente riconoscibile e personale, non diventa mai maniera. In questo romanzo secondo me è un elelmento fondamentale della narrazione, proprio perché permette di trasformare una materia che poteva essere rovente in un resoconto quasi burocratico, acchiappante ma distaccato. Non posso dire che sia il mio preferito ma è sicuramente da leggere, e ha confermato la mia ammirazione per l'autore.