Questo La risata del barbaro, romanzo della scrittrice turca Sema Kaygusuz, mi ha veramente messa in crisi. Non sono in grado di farne una vera presentazione, anche se ho letto un'intervista con l'autrice e un paio di recensioni che in sostanza condivido, ma non mi hanno chiarito le idee.
E' un romanzo, diciamo così, corale, in cui un certo numero di personaggi agiscono e soprattutto parlano, discutono, succedono delle cose, ma sempre come se il lettore potesse avere accesso esclusivamente alla superficie, e oltre all'interfaccia non ci fosse niente. L'ambientazione, del tutto contemporanea, è quella che molti conoscono, un albergo a bungalows sul mare come ce ne sono dappertutto sulle coste turche. L'autrice non specifica dove si trova, e già questo è un po' spiazzante. Vi si incrociano vite molto differenti, dal personale con alla testa l'indaffarata direttrice Ferhan, i camerieri Selcuk e Alikar che filosofeggiano fumando marijuana, il giardiniere, agli ospiti tra cui spiccano coppie come quella, feroce e omosessuale, costituita da Ismail e Melih, Ufuk e Eda che vuole spiegare al suo compagno come funziona il piacere femminile, Turgay e Nihan, le famiglie come Ozak e Serpil e il loro inquietante figlioletto Ozan, la famiglia numerosa, la silenziosa e solitaria Simin, e molti altri.
I fatti che turbano la quiete dei vacanzieri scatenando reazioni incontrollate sono due: primo, Turgay fa pipì in mare, secondo, cuscini, lenzuola e altra biancheria vengono sporcati di pipì. Tutti si indignano e alcuni si scandalizzano, molti se ne vanno, altri restano fino alla fine delle vacanze pur essendo sempre più sconvolti da quello che è successo. Intanto parlano, scrivono, riflettono, mangiano, ballano. Discutono di tutto, dell'essere turchi e della situazione in Turchia (ma sempre con prudenza, non bisogna dimenticare che l'autrice vive in patria), del cibo e del sesso, dell'amore e della storia.
Romanzo molto ambizioso, si affida a una scrittura alta, ricercata, che si lancia volentieri nel lirico e nel poetico, scivola e pattina sulle parole come se volesse evitare l'eccesso di concretezza. Parla e parla, ma non dice quasi niente dei personaggi che possa motivarne i comportamenti. Io, ripeto, non ho trovato il senso. L'ho letto con un certo piacere, riconoscendovi particolari della Turchia che tanto amo, ma mi sfugge quello che ci sta sotto. Io sono abbastanza ottusa, ho bisogno che le cose siano dette chiaramente, e non sono riuscita a capire se si tratta di necessaria reticenza per non incappare nella censura, o se l'ambizione del progetto comprendeva anche un alto grado di ermetismo. C'è anche una certa satira di costume, ma poca ironia. Mi piacerebbe tantissimo che qualcuno che ha letto La risata del barbaro mi spiegasse che cosa c'è sotto quella lingua ricercata e sfuggente. Sema Kaygusuz è una scrittrice notevole e sono sicura che ne varrebbe la pena, ed è per questo che ne parlo qui. Traduzione di Giulia Ansaldo.
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