Le notti di Reykjavík è un libro di Indriðason Arnaldur, autore islandese di cui ho già parlato su queste pagine per cui non mi dilungherò. Giusto la moda perdurante (ma forse siamo al fondo del barile?) dei gialli scandinavi (e l'offerta lampo Kindle che mi ha indotto a comprarlo) può giustificare la lettura di questo romanzo, in cui si narrano gli esordi dell'ispettore Erlendur Sveinsson, che qui ha ventisette anni, sta alla stradale e ha appena concepito il primo figlio, o figlia che sia. Siamo nel 1976 (ma il romanzo è uscito in Islanda nel 2012), e questo fa sì che l'inchiesta sia tutta fatta solo di colloqui e scarpinate.
Erlendur si trova casualmente a assistere alla scoperta del cadavere di un senzatetto annegato in una palude. L'aveva incontrato molte volte in vita, e qualcosa non lo convince nella sbrigativa definizione di incidente. Testone e cortese, si mette a scavare nella vita del barbone, tra le sue conoscenze e parentele, e intanto coltiva anche la sua curiosità per i casi di sparizione mai risolti. Ben presto i due filoni si intrecciano, e intanto la sua vita privata si sviluppa con una mancanza di entusiasmo che fa un po' senso. Alla fine la soluzione non arriva proprio inaspettata, dopo che siamo stati edotti anche su molti casi di risse, violenze domestiche, furti regolarmente sventati, funzionamento dei rifugi per senzatetto e similia; e Erlendur riceve la giusta ricompensa per la sua testarda ricerca della verità. Confesso che non mi è rimasta l'impressione che le notti di Reykjavík siano proprio eccitanti. L'idea che mi è piaciuta di più è che un barbone può chiedere ospitalità alla centrale di polizia, e se ci sono celle libere lo accolgono a braccia aperte. Ma l'insieme, vi avviso, è appassionante come un rosario e appetitoso come un petto di pollo avanzato.
Traduzione di Alessandro Storti.
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