martedì 3 novembre 2015

Il ragazzo che si pavoneggiava in uniforme e gli orrori della guerra civile in Nigeria: "Sozaboy, il soldato bambino" di Ken Saro-Wiwa

Quanto ne sappiamo della Nigeria? Io, confesso, pochissimo. Per questo Sozaboy. Il bambino soldato, di Ken Saro-Wiwa, è un libro di cui vorrei poter dire tutto il bene possibile, perché è ambientato in Nigeria negli anni della guerra civile (1967-1970) seguita al tentativo di secessione del Biafra, è scritto da un personaggio straordinario e tratta temi di importanza universale. Ma non ci riesco, e spiego perché. 


Pubblicato nel 1985, si tratta del racconto in prima persona dell'odissea di Mene, ragazzo ingenuo del villaggio di Dukana presso Pitakwa (Port Harcourt, sul delta del Niger), pieno di vita, di prospettive (lavora come apprendista di un trasportatore in attesa di prendere la patente), di sogni anche d'amore come tutti i ragazzi della sua età. Dukana appare un tranquillo eden di campagna abitato da agricoltori che coltivano igname, banane, plantain dando retta al capo e al prete, bevendo e ballando. La storia è semplice e terribile: sedotto dal fascino dell'uniforme, spinto dal desiderio di fare colpo sulla bella Agnes che ha appena sposato, convinto dai discorsi degli abitanti di Dukana che chi non è soldato non è un vero uomo, senza sapere che guerra si sta combattendo, chi sono i nemici e perché lo sono, attraversa fronti, eserciti e ogni sorta di orrori senza capire, così come non capiva quando ha pagato per potersi arruolare, portare una bella divisa, essere ammirato e amato. La sua è una storia di formazione, un'educazione al dolore che non lo porta da nessuna parte se non a riconoscere l'inutilità, l'assurdità e la crudeltà senza limiti della guerra. 

Sozaboy lo dovrebbero leggere tutti perché come ho già detto, delle guerre in Africa non sappiamo (non so) niente, leggendo i titoli dei giornali proviamo un brivido di virtuosa compassione poi passiamo a articoli più comprensibili. Ma è una storia in prima persona e proprio quello secondo me è il punto: l'autore l'ha scritto in un particolare pidgin english, l'inglese che i popoli sottomessi usano per comunicare con i padroni, (il titolo originale è Sozaboy, A Novel in Rotten English), estremamente creativo, una lingua inventata l'hanno definita. Il bravo, anzi l'eroico, traduttore Poberto Piangatelli si è trovato davanti a un compito quasi impossibile che ha affrontato con coraggio, ma il risultato è una lingua che non esiste. Nessuno parla come Mene, e questo alla lunga oltre a sconcertare diventa irritante. A questo proposito consiglio di leggere prima l'interessantissima e esauriente postfazione della curatrice Stella Vivan, Nota critica, che chiarisce molti interrogativi. Naturalmente man mano che si va avanti si dimentica un po' il fastidioso accumulo di mica, ben bene ecc che si alternano a congiuntivi e condizionali improbabili nel contesto. Insomma il realismo disperato della vicenda è pesantemente disturbato, mentre la poetica ingenuità e la spontaneità del personaggio diventano ridicole. Capisco che il compito, ripeto, era davvero immane.

La prima parte risulta un po' lunga e insulsa, molto virata al comico nel riportare gli oziosi discorsi degli abitanti di Dukana mentre alcuni personaggi si distinguono per originalità e verità, poi la vicenda decolla quando Mene entra in contatto con la vita militare e si addentra negli orrori della guerra. Non ci sono mai indicazioni precise, fatti storici, il nemico non viene mai definito né i nomi delle tribù esplicitati, ma in filigrana si comprende l'insensatezza, la corruzione a ogni livello, si intravede il piccolo gruppo di individui che decide di approfittarne mentre la popolazione viene distrutta. Nell'incomprensibilità della spirale di crudeltà e degrado, la persistenza di un sostrato magico viene alla luce e diventa un elemento di orrore in più. 

L'autore Ken Saro-Wiwa (1941-1995) è stato un personaggio davvero straordinario. Molto noto in patria e all'estero, fu scrittore, commediografo, uomo di televisione (scrisse la prima sit-com africana, che ebbe grandissimo successo), ricoprì incarichi istituzionali e fin dagli anni '80 si fece portavoce del Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni da lui fondato, interpretando le rivendicazioni del popolo ogoni il cui territorio fu devastado dalla scoperta e dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi nel delta del Niger. Tra le multinazionali interessate, la Shell deteneva il 20% e l'Agip il 10%. Nel 1995 fu arrestato, sommariamente processato e impiccato l'11 novembre insieme a altri otto attivisti per ordine del dittatore Abacha. Recentemente la Shell è stata chiamata in giudizio in USA per la morte di Saro-Wiwa e di altri sei intellettuali, e pur negando le proprie responsabilità ha patteggiato pagando 15 milioni di dollari.

Oltre alla già citata, fondamentale postfazione di Stella Vivan, l'edizione Baldini & Castoldi offre un Glossario (da cui si apprende che soza è una corruzione dell'inglese soldier) e una prefazione di Roberto Saviano vagamente retorica, ma è difficile evitare la retorica su un testo simile e una vicenda umana come quella del suo autore. Un testo, ripeto, di non facile lettura ma che restituisce molto di più della fatica che si affronta per leggerlo, e vivamente consigliato, con le avvertenze del caso.    

2 commenti:

Silvia Pareschi ha detto...

Invece ho sentito che il romanzo vincitore del Man Booker Prize, in italiano "Breve storia di sette omicidi" presentava analoghi problemi di traduzione, ma la traduttrice Paola D'Accardi è riuscita a fare un miracolo e a reinventare una lingua che funziona perfettamente.

consolata ha detto...

Grazie della segnalazione! Non conosco per niente Marlon James e sono ignorantissima di letteratura giamaicana & dintorni. Me lo scarico subito.
P.S.: faccio tanto la furba e questo post era pieno di refusi. Colpa della fretta, quando finalemente finisco una recensione non vedo l'ora di liberarmene, ma non è una buona ragione...