Il romanzo d'esordio di Celeste Ng, Quello che non ti ho mai detto, è un "literary thriller", qualunque cosa ciò voglia dire, che racconta di una famiglia americana in Ohio negli anni '70. La famiglia Lee è composta da un padre di origine cinese e modesta che ha studiato e ora insegna in un'università di provincia, la cui maggiore aspirazione è di integrarsi, di essere accettato; da una madre americana con gli occhi azzurri e i capelli biondo miele, che aveva ambizioni di diventare una scienziata e invece si ritrova casalinga con tre figli; da un fratello maggiore, Nath, in procinto di partire per Harvard, una ragazza che ha appena compiuto sedici anni, Lydia, su cui si sono riversate tutte le aspettative dei genitori, e una figlia piccola, Hanna, piuttosto trascurata da tutti, che ha imparato a ascoltare e osservare nascondendosi, e naturalmente si rivelerà la più solida di tutti.
La scomparsa di Lydia mette in moto la vicenda e porta alla luce tutti i motivi interni che rendono i Lee un gruppo familiare pesantemente disfunzionale, scatenando comportamenti inaspettati (ma non tanto) e costringendo tutti i componenti a arrivare al nodo degli autoinganni e delle incomprensioni che li tengono uniti.
Questo romanzo, che ha avuto un grande successo in patria e all'estero facendo di Celeste Ng una star del firmamento letterario americano di cui si attende con ansia la seconda prova, ha richiesto quattro stesure e una revisione che sono durati sei anni.
Be', si vede. Quello che non ti ho mai detto è dosato in ogni sua pagina con tutto ciò che ci vuole per piacere a un certo tipo di pubblico, è lisciato e soppesato per non sbagliare. Ci si sente la scuola di scrittura creativa e il pesante intervento dell'editor con il bilancino in mano.
Intendiamoci, non è un brutto libro, solo che suona finto, costruito. Non sorprende mai, non affascina né fa venire voglia di andare avanti. L'unico argomento veramente forte (il razzismo contro i cinesi e soprattutto contro le coppie miste) deve farsi strada in mezzo a molto psicologismo e un travestimento thriller davvero pretestuoso, in cui le epifanie sono cedimenti alle mode narrative (il libro nascosto, la goccia d'acqua) non necessari, dozzinali, che abbassano il livello già altalenante e danno un suono falso a tutto il resto.
Però si possono capire benissimo i motivi del successo: l'argomento "famiglia" nella tipica forma di ossessione americana (nei film e telefilm la frase più frequente è "non toccare la mia famiglia"), con tutto che i ragazzi se ne vanno a diciotto anni e quasi mai ritornano; il blando, e piuttosto pretestuoso, travestimento thriller; l'approfondimento psicologico dei personaggi, soprattutto padre, madre e Nath, che permette di ricostruire la vita di tutti. Se vi piacciono le vicende drammatiche e l'eccesso di famiglia non vi dà troppa claustrofobia, questo libro ve lo consiglio volentieri.
La fluida e sapiente traduzione di Manuela Faimali indulge in alcuni vezzi attualissimi, tra quelli che più mi fanno l'effetto delle unghie sul vetro, in particolare l'uso transitivo dei verbi intransitivi o il passato remoto al posto del trapassato (in una narrazione tutta al presente, che già di per sé non mi mette di buon umore). Ho sofferto leggendo perché so che ho perso, e da un bel po': queste tendenze diventeranno sicuramente uso, e forse sono tra gli ultimi che se ne accorgono. Tant'è, non posso fingere che non sia così, e può darsi che una parte di questo fastidio (involontario ma incontrollabile) abbia stinto sulla mia lettura dell'intero libro.
3 commenti:
Ottima rece, davvero. Tutti i miei complimenti.
Tu lo sai di chi è il merito, se c'è: se non fossi stata accolta a braccia aperte da LibriNuovi & friends, non mi sarebbe mai venuto neanche in mente di scrivere qualcosa sulle mie letture... Un abbraccio e un grazie sempre.
Pensare a una Consolata Lanza che non scrive recensioni è impossibile... ;)
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