mercoledì 8 luglio 2015

Neanche in Islanda tutte le ciambelle vengono con il buco: Sólveig Jónsdóttir, Reykjavik Café


Ho passato anni in ammirazione entusiastica per il numero (in percentuale su quello degli abitanti) e la strepitosa bravura degli scrittori islandesi, poi ho cominciato a ricredermi un po' leggendo qualche modestissimo giallo (o noir se preferite) e infine sono caduta su questo Reykjavìk Café che è, senza esagerazione, uno dei libri più brutti che abbia letto. 

Hervor, Mìa, Silja e Karen sono le quattro protagoniste di questa storia invernale che storia non è: si tratta di quattro decerebrate, anche se sono più volte presentate come intelligentissime, le quali soffrono tutte per amore e tradimento. Non si conoscono (o si conoscono per il motivo sbagliato) ma ci sono piccoli punti di contatto, uno dei quali il caffè del titolo dove Hervor è cameriera, e questo è l'aspetto più interessante di tutto il libro. Per il resto c'è solo da tacere e stupire. Sono ragazze variamente irresponsabili, con storie d'amore pessime (Hervor scopa con il suo ex professore d'università, Silja ha un marito che la tradisce e maltratta che lei scusa continuamente, Mìa è stata mollata per un'altra, Karen ha un'oscuro senso di colpa per qualcosa che veniamo a sapere alla fine), cuori spezzati, autostima a meno mille, risorse zero, capaci solo a ingozzarsi di alcol in tutti i modi e le varietà possibili e a finire nel letto di chiunque incontrino al bar. O di stare a casa a mangiare pizza surgelata, ma l'alcol batte la pizza dieci a uno. Ora, io non voglio fare la superiore e fingere di non avere mai pianto per un coglione, ma qui si esagera veramente. Poi, mai un minimo tentativo di capire quello che succede: è sempre colpa dell'altra (zoccola ovviamente e questa, insieme a "bere" coniugato in tutte le sue forme, è certo la parola più frequente nel romanzo). Però non state tanto a preoccuparvi, alla fine gli va bene a tutte e quattro. 

Nelle recensioni che ho visto in rete ho trovato Reykjavìk Café definito come brillante e ironico. Ora, forse io non ho ben chiaro il significato di questi termini, ma sono gli ultimi che mi sentirei di attribuire. Diciamo noioso (difficile distinguere le quattro protagoniste, malgrado l'eccesso di caratterizzazione sono opache e piatte), pieno di cliché e luoghi comuni (gli amori antichi tutti romantici e duraturi, la palestra come sinonimo di salvezza e moralità, la famiglia è l'unica realtà, l'unica fonte di calore, l'unica cosa che interessa alle donne è un uomo che si occupi di loro, ecc). Poi quello che stupisce, e davvero è interessante, è il ritratto di una società che si può leggere tra una lacrima e una sbronza. Il senso del possesso, la gelosia di queste ragazze fa l'effetto di ritornare indietro di cent'anni. Il fiume di alcol in cui si buttano fa intuire una disperazione senza fondo. Anche il sesso, frequentato con tanta costanza a e varietà, è stranamente insapore, intercambiabile, non lascia tracce né rimpianti. A nessuna importa il lavoro, neppure a Silja che è medico, nessuna cerca una realizzazione, nessuna ha un sogno, qualcosa che ama fare, qualcosa per cui mantenersi sobria. Povere loro, davvero. Quanto all'ironia non so proprio dove sia. Insomma un romanzo superleggero, veramente "al femminile", ma né rosa né frizzante come la chick-lit ci ha abituato a aspettarci. Un romanzo umido di lacrime e alcol.       

La traduzione è dell'ottima Silvia Cosimini, abituata a cimentarsi con ben altri calibri, tipo Halldor Laxness, Jon Kalman Stefannson o Kristin Maria Balsdurdottir i cui libri ho adorato e raccomando a chiunque abbia voglia di leggere qualche scrittore islandese veramente fuoriclasse. E questo è l'unico motivo per cui ho perso tempo a scrivere questa recensione, nella speranza che qualcuno magari si voglia rifare la bocca con Gente indipendente o Paradiso e inferno o Il sorriso dei gabbiani.
Sólveig Jónsdóttir ha studiato scienze politiche e vive a Reykjavìk, dove ha lavorato come giornalista alla redazione di Lifestyle Magazine. Da tre anni è capo della comunicazione di UNICEF Islanda. Reykjavík Café è il suo primo romanzo. Per parte mia, non mi precipiterò sicuramente a leggere il secondo.


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